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Storie di personaggi caduti nel dimenticatoio – The Handmaid’s Tale: Eden Blaine, testimone d’amore

Ci sono personaggi che restano presenti sulla scena per poco tempo ma che riescono a lasciare un segno indelebile in tutti coloro che li hanno amati e hanno amato la serie che li ha ospitati. Oggi parliamo di Eden Blaine, la sposa bambina di Nick Blaine in The Handmaid’s Tale, interpretata da Sydney Sweeney. Una testimone del messaggio d’amore fino all’estremo sacrificio, una ragazzina che sfodera un coraggio da leone davanti alla morte e incarna su di sé tutte le contraddizioni e le debolezze del regime di Gilead.

Conosciamo la giovane sposa di Nick Blaine, l’autista dei Waterford, la coppia che “possiede” June, nella seconda stagione, proprio quando viene data in moglie al ragazzo che, nel frattempo, ha intrapreso una relazione con l’ancella di casa, che aspetta un figlio da lui. Una cerimonia di massa, per l’esattezza, del tutto diversa da ciò che sognerebbe qualsiasi ragazzina romantica e dai principi antichi come Eden, in cui ragazze appena adolescenti appartenenti alle classi sociali più basse della società di Gilead hanno la possibilità di elevare la loro condizione sociale sposando giovani di belle speranze al servizio delle famiglie più influenti.

Eden è solo questo, merce di scambio. Un destino comune a tutte le donne di Gilead che conosciamo in The Handmaid’s Tale.

The Handmaid’s Tale (640×360)

Una ragazzina cresciuta con i “sani” valori della società patriarcale di Gilead, abituata fin dalla tenera età a essere sottomessa all’uomo, a non avere sogni che non siano il matrimonio e i figli, a subire, a non farsi domande. Sembra la perfetta incarnazione della donna ideale, almeno secondo i canoni dei patriarchi di questa nuova America, così rigida e minacciosa: giovane, ingenua, malleabile, serenamente rassegnata al suo destino.

Questa ragazzina, invece, ha in sé il seme della rivoluzione. Scrive segretamente un diario, tra le pagine dell’unico libro che sia ancora permesso leggere, a Gilead, anche se non alle donne, la Bibbia. Lo scopriamo solo dopo la sua morte, che anima ricca e piena di vita fosse Eden: nel suo diario troviamo domande, riflessioni, parole sciolte di una personalità fertile, che avrebbe potuto e dovuto sbocciare in una società giusta.

Eden, invece, nasce in una società incancrenita dal germe del fanatismo, la società di Gilead, in cui alle donne non è permesso leggere così come non è permesso essere libere. E, se ci pensiamo, è proprio da una libertà, in apparenza più piccola, che scaturisce l’altra, quella totale: leggere rende liberi. Saranno proprio delle parole, lette sull’unico libro che sia ancora permesso leggere, anche se non alle donne, a darle il senso più profondo della libertà.

La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine“.

Le parole della prima lettera di Paolo ai Corinzi sono l’inizio della fine di Eden. Lì c’è il seme di libertà che cerca, quella che la condurrà alla prova d’amore più grande: dare la vita per ciò che ama. Per chi ama. Per la libertà, per se stessa, per il suo amato Isaac.

Io credo che in questo posto ci si debba aggrappare all’amore ovunque lo si trovi”.

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Le parole di June alla giovane, invece, sono la spinta che le dà la propulsione giusta per volare tra le braccia di quell’amore incosciente e sbagliato, almeno secondo le regole di Gilead. Le parole di una donna che per prima si è aggrappata all’amore, ovunque si trovasse, per sopravvivere. Nella Gilead di The Handmaid’s Tale non c’è spazio per un amore che non sia deciso, costruito, delimitato entro i paletti del dovere e del fanatismo: e proprio Eden pareva essere la prima sostenitrice di questo sistema.

Ma se Dio opera per vie misteriose, l’amore è ancora più imprevedibile: e, come una Giulietta intrappolata in una distopica Verona, a Eden basta un bacio per cadere preda del sentimento più totalizzante, la manifestazione più vera e pura della forma che assume il sacro nelle nostre vite.

Desiderosa di soddisfare quel bisogno d’amore che il matrimonio con Nick non è capace di soddisfare, Eden si lancia nella relazione clandestina con Isaac, il giardiniere dei Waterford, con la gioiosa incoscienza degli adolescenti. I due sognano un futuro insieme, cercano di fuggire da Gilead per poter essere liberi di amarsi ovunque, tranne che in quel posto soffocante e tetro, la tomba dell’amore. Ma il regime non è tenero con chi trasgredisce le regole e i due, catturati (anche grazie alla collaborazione del padre di Eden, che consegna la figlia alle autorità), vengono condannati a essere giustiziati pubblicamente, perché la loro morte funga da monito per chiunque sognasse di infrangere le regole.

Eden si è sposata in pubblico, in una cerimonia di massa, e viene giustiziata in pubblico. La giovane ha la possibilità di salvarsi, se rinuncerà alla sua relazione clandestina e accetterà di tornare in seno alla sua famiglia, con il marito che altri hanno scelto per lei. Come i primi martiri cristiani, alla ragazza viene data la possibilità di abiurare il suo amore e le sue scelte e tornare tra le fila del sistema.

Ma Eden è una martire, testimone fino alla morte dei suoi ideali e del suo amore: e il suo amore non è solo per Isaac o per Dio, ma è amore per quel sentimento di cui parla Paolo nella lettera ai Corinzi, la carità che non è erosfilìa ma agápē, la forma di amore più puro, ciò che accomuna l’essere umano al divino.

Davanti alla morte, sopra quel trampolino con i pesi alle caviglie, la giovane si fa coraggio e dà una lezione di umanità a tutti. Pronunciando quelle parole, quell’ode alla carità di san Paolo, ricorda a tutti il messaggio d’amore che i vertici di Gilead non hanno mai applicato.

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Una ragazzina, di fronte alla morte, si fa gigante e martire, accettando di morire pur di non negoziare mai sui suoi sentimenti.

La morte di Eden Blaine in The Handmaid’s Tale è un momento che scuote non solo per la sua drammaticità, meravigliosamente esaltata dalla prova interpretativa di Sydney Sweeney. La fine di questa ragazzina coraggiosa avrà un forte impatto sulla psiche di Serena Joy, una delle madri fondatrici di Gilead che, proprio nella seconda stagione, inizia un lento e complesso processo di messa in discussione dei propri ideali. Vedere davanti ai propri occhi la testimonianza d’amore e martirio che Eden fornisce scuote la sua motivazione e la sua lealtà al regime fin dalle fondamenta.

Il sacrificio di una giovane innocente può servire a innescare una rivoluzione? Mai come in questo momento questa domanda suona più attuale. La risposta è nel cuore di ognuno e assume forme diverse ma risponde sempre, inevitabilmente, al nome di caritas, agápē, amore.