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The Baby è la prossima serie tv che dovreste vedere (se amate l’horror-comedy)

Attenzione, l’articolo implica spoiler sulla serie tv The Baby.

The Baby è l’ultima serie horror comedy targata HBO uscita e si, che vi piaccia o meno il genere, dovreste davvero darle una possibilità. Un horror con pochi effetti speciali ma ben fatti, un trucco più che efficace e qualche personaggio forse grottesco, ma di sicuro divertente, sono gli ingredienti che ci garantiscono un risultato all’altezza della maggior parte delle produzioni a cui l’emittente ci ha abituato.

Più uno forse, la distopia. In un momento storico è sempre più necessario parlare di femminismo, in cui ci vengono ancora dati degli ottimi motivi per lottare nel tentativo di salvaguardare alcuni diritti tutti femminili ed è importante potersi slegare da tradizionalismi e luoghi comuni, parlare del lato più oscuro della maternità, sebbene usando iperboli ed esagerazioni, lascia alla fine della visione il retrogusto di una medicina amara.

Durante una piovosa serata, in una casa inglese come tante altre, The Baby ci presenta Natasha , una donna sulla quarantina completamente priva di istinto materno, che si trova però circondata da amiche che, al contrario, sono immerse fino al collo in un mare di pannolini, notti in bianco, ecografie e biberon. Per prendersi una pausa da tutto questo, Natasha decide di affittare una casa in riva al mare, circondata dal niente più assoluto. È proprio su quella spiaggia che le atterra in braccio, letteralmente piovuto dal cielo, un neonato. È proprio su quella spiaggia, in quel momento, che entra in scena il protagonista di questa storia, al quale non è stata affidata nemmeno una battuta, ma che è in grado di incutere terrore con il solo potere di un sorriso sdentato. Il bambino ha scelto Natasha e Natasha deve subire questo bambino, non può liberarsene perché lui trova sempre il modo di tornare e spesso ciò avviene nella maniera più sanguinosa e cruenta possibile. Tutto ciò che potrebbe costituire una minaccia attorno a lui, muore di morte violenta, sia esso uomo, animale o cosa. Sembrano incidenti, ma quella piccola risata, quel gorgoglìo infantile che si sente appena dopo lo schianto, fa capire che quel neonato ha qualcosa di storto.

Ma è veramente tutta colpa di quel bambino?

Lo sviluppo della serie porterà alla spiegazione di come questo apparentemente adorabile piccolino sia venuto al mondo e dei motivi per cui la sua presenza non costituisca una gioia, ma piuttosto una condanna. L’episodio in questione vede protagonista una bravissima Tanya Reinolds che riuscirà a raccontare in pochissime parole, ma moltissime emozioni, quello che una gravidanza non voluta può fare sulla psiche e sul fisico di una donna. Regalandoci allo stesso tempo una significativa riflessione sull’amore, sulla famiglia e sulla libertà.

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Non ci vuole poi molto per capire dove The Baby voglia andare a parare. Questa serie è interpretata da donne, scritta da donne e ne racconta un particolare momento della vita in cui la società ha un peso determinante. La maternità può essere voluta o può capitare, può essere un desiderio come una casualità, può risultare naturale come difficoltosa. È un momento fatto di luci e di ombre e la serie rende questi aspetti, pur metaforicamente, molto chiari ed evidenti. Natasha non vuole bambini, non vuole nemmeno quel bambino sebbene tutti intorno a lei lo riconoscano come il suo. Eppure non riesce a non prendersene cura, pur provandoci, non riesce ad abbandonarlo nei campi o alla stazione di polizia, torna sempre indietro a prenderselo. Capisce che tenerlo con sé la consumerà un po’ alla volta, la isolerà dalle persone che la circondano, le ruberà il sonno, le renderà impossibile vivere di qualcosa che non sia l’occuparsi di lui. Ma è un bambino, è innocente, è piccolo, è solo. È una sua responsabilità, così sentita da andare oltre alla sopravvivenza. Perché è così che il mondo la vuole, è così che deve fare una brava madre e Natasha pur recalcitrante si piega a questo costrutto. Non può farne a meno. Il bambino glielo impedirebbe comunque.

Ma è interessante anche vedere come gli avvenimenti in The Baby ci riportino all’infanzia di Natasha, alla bambina che è stata a come sua madre ha vissuto l’avere lei e come questo abbia condizionato Natasha nell’essere una donna che non desidera la maternità, ma che come sua madre, si ritrova a non avere scelta. Come se ogni difficoltà legata all’avere figli fosse un segreto che viene tramandato solo una volta che si vive nella situazione, ma che come ogni segreto non deve essere mai mostrato agli occhi del mondo esterno, perché su questo argomento (e non solo) ci sono delle aspettative sulle donne che possono pesare come macigni.

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Nel mondo del cinema e delle serie tv non è la prima volta che viene mostrato il lato oscuro della maternità, la difficoltà e il senso di profonda solitudine a cui può essere sottoposta una donna in quel particolare momento della sua vita, ma soprattutto il peso che la società esercita su di lei nel farla sentire inadeguata o meglio, nell’obbligarla a esserlo a ogni costo.

La serie fa apparire il bambino come un mostro, ma perché è a sua volta figlio di un trauma, di una violenza, di una imposizione. È figlio di un odio logorante ed è sicuramente indovinata la scelta di esagerarne i lati peggiori attraverso il linguaggio del genere horror, ma non aspettatevi bambini dagli occhi spiritati che parlano lingue sconosciute, è molto più sottile di così, è un bambino che ti obbliga ad adorarlo, o non sai quello che ti aspetta. È un bambino che tutti si aspettano venga adorato, altrimenti non sarai una buona madre e tutte le donne devono esserlo. Il lato comedy stempera, nei primi episodi, un intento quasi di denuncia della serie e il lasciarlo così sospeso, senza esplicitarlo in maniera seria e palese, lo rende una presenza ingombrante, strisciante e costante per tutti gli otto episodi.

In The Baby si mettono in campo tantissimi temi oltremodo delicati: l’omosessualità repressa, la famiglia tradizionale, le adozioni, la depressione post partum, la volontà di non diventare madri, i traumi infantili. Lo fa però tramite metafore, sottointesi, in una strana, ma incredibilmente efficace psicologia del contrario, in cui si chiede allo spettatore di non pensare ai bambini come a delle vittime (ma in fondo lo sono), di giustificare chi non vuole figli (ma in fondo non si è mai veramente liberi di scegliere), di vivere la maternità come un momento magico, (anche se ci si sente come in un film dell’orrore).

Se volete vedere i cliché sulla maternità non guardate The Baby, non ne avrete mai, nemmeno alla fine, ma se volete una serie ben fatta, che porta a inevitabili riflessioni sulla libertà di scelta, di qualsiasi scelta, allora schiacciate play.

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