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Workin’ Moms: maternità senza cliché

Workin’ Moms è ormai arrivata alla sua quinta stagione e continua a raccontare la maternità in maniera attuale. La serie parla di quanti modi diversi ci sono di essere mamma e di tutte le difficoltà che la maternità porta con sé, attraverso la vita delle quattro protagoniste.

C’è Kate, neo mamma alle prese con il difficile rientro nel mondo del lavoro dopo il congedo di maternità. Il capo è misogino e l’ambiente competitivo, ma Kate ci tiene al suo lavoro. É brillante e capace e non intende rinunciarci, nemmeno di fronte alla difficoltà nel riuscire ad incastrare vita lavorativa e necessità familiari. Non vuole scegliere fra carriera e famiglia. Kate è decisa a far funzionare tutto, grazie all’aiuto del suo compagno Nathan, che però non sembra essere sempre d’accordo con le priorità della neo mamma. C’è Jenny, che non sente poi così tanto l’istinto materno e mette in dubbio anche il suo matrimonio, vedendo come invece il suo compagno Ian si senta a suo agio in veste di genitore. É un po’ più superficiale e frivola nei suoi affetti rispetto alle altre e spesso questo le crea gigantesche difficoltà nella sfera privata, ma anche momenti di insoddisfazione e frustrazione in quella lavorativa. C’è Anne, migliore amica di Kate, abile psicologa capace di riconoscere le difficoltà emotive negli altri, ma non altrettanto in se stessa. Quello che sembra rendere davvero difficile la vita di Anne è quella strana idea che le donne non possano avere un carattere aggressivo o in alcuni momenti anche rabbioso, ma che debbano sempre soffocarlo per mostrare il loro lato più dolce e materno, soprattutto con i figli. E infine c’è Frankie, uno spirito libero che non si piega alle comuni convenzioni sociali e che, anche se sostenuta dalla moglie, non riesce a salvarsi da una soverchiante depressione post partum.

I temi trattati in Workin’ Moms, lungo le varie stagioni, sono i più diversi: l’aborto, la maternità, i ruoli genitoriali, la disparità di genere. A questi si uniscono altri spunti non direttamente legati alla sfera familiare, ma che comunque sono parte della vita di molti in epoca moderna, come, per esempio, i problemi di denaro, tossicodipendenza o bullismo. Sono temi difficili e delicati e per questo, in linea di massima, si scelgono toni seri e drammatici per trattarli. Workin’ Moms però ribalta completamente questa regola e decide di parlarne tramite un registro comico e spassoso. I temi sotto questa nuova luce perdono ogni banalità e retorica e arrivano dritti al pubblico, grazie sopratutto all’alto tasso di immedesimazione con questi personaggi in fondo così umani. Non ci sono morali o risposte in Workin’Moms, ma ci si può riconoscere e sentire un po’ meno soli, ridendo di ciò che ci ha fatto sentire in colpa o fuori luogo.

Appare infatti lampante che Workin’ Moms non abbia la pretesa di risolvere i nodi più controversi legati alla maternità o alla condizione della donna nella società moderna, ma evidenzi come, in fondo, i cliché legati al diventare madri siano uguali un po’ dappertutto e facciano sentire le donne spesso inadeguate ovunque esse vivano. Certamente le mamme della serie non si trovano mai veramente in situazioni estreme, sono in fondo tutte donne borghesi, efficacemente inserite nella società, ma la condizione di vantaggio in cui si trovano sottolinea una volta di più come siano sottili ed insidiose le ingiustizie che le donne subiscono parlando di maternità e rapporti umani anche in contesti privilegiati.

Nel modo di sentire comunemente accettato le donne, raggiunta una certa età, sono pronte per essere madri, anzi alcuni pensano che quasi non vedano l’ora. I nove mesi della gravidanza vengono dipinti come un gigantesco miracolo e un figlio cementifica il rapporto di coppia, trasformando due individui in genitori e quindi in una famiglia vera e propria. La dedizione alla famiglia e l’impiegare tutto il proprio tempo nella conservazione dell’armonia entro le mura domestiche sembrano essere le uniche cose che rimangono alle donne una volta diventate madri. Qualsiasi cosa si discosti da questi assurdi luoghi comuni, spesso fa scivolare le donne in un’insopportabile condizione di inadeguatezza e senso di colpa. Le donne del nuovo millennio devono riuscire in tutto sempre, per evitare di venire additate come emotive, sbagliate o troppo fragili.

Ma Workin’ Moms non solo mostra come tutto questo sia inverosimile, ma soprattutto ci fa ridere del nostro sentirci fuori dal coro, tanto che alla fine ne siamo addirittura contente. É una serie anticonformista e ironica, parla di emancipazione e libertà, ma sopratutto di alleanza, sostegno e comprensione. Nelle riunioni di confronto fra neo mamme, le protagoniste riescono, finalmente, a dire senza peli sulla lingua quello che provano e desiderano, senza paura di venire giudicate perché consapevoli di come la maternità porti anche tante, tantissime difficoltà. I tiralatte sono dolorosi, i pannolini puzzano, i pianti sono insopportabili, il lavoro è iniquo tanto quanto la divisione delle responsabilità genitoriali, la vita sociale è compromessa per non parlare di quella sessuale del tutto assente. É proprio lì, in quel luogo precluso a chiunque non abbia figli piccoli, che le mamme mostrano la loro vera faccia trovando l’un l’altra il sostegno di cui hanno bisogno nella totale astensione di qualsivoglia giudizio. É solo davanti alla puericultrice Val che si sentono di poter ammettere che non è tutto meraviglioso nella vita da neo mamma, ma che la gestione dei bambini, dell’affettività, dell’organizzazione familiare e del lavoro delle volte è un autentico incubo. Ma il registro rimane sempre ironico e la serie davvero divertente.

Workin’ Moms mostra come non ci sia un solo modo di essere madri e di conseguenza come non ce ne sia nemmeno uno di giusto. Mostra come non sia davvero importante essere sempre all’altezza di ogni ruolo, moglie, madre e lavoratrice, ma come sia invece fondamentale rimanere fedele a se stesse e preservare il proprio equilibrio psicofisico, per tutelare anche quello delle persone che ci circondano.

Workin’ Moms funziona perché racconta la complessità della società moderna in maniera leggera, ma non frivola. È un cocktail perfetto fra un bel cast, una buona regia e una sceneggiatura non sempre politicamente corretta e se è vero che squadra che vince non si cambia, non ci resta che aspettare la sesta stagione, sicuri che sa sarà all’altezza delle precedenti.

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