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In un’epoca in cui lo sport professionistico è diventato sempre più ostaggio di logiche economiche spietate, dirigenze senza volto e algoritmi che dettano ogni decisione tecnica, Ted Lasso (che potete trovare qui) si è rivelata una serie sorprendentemente controcorrente. Con il sorriso disarmante del suo protagonista Ted Lasso, il coach americano trapiantato in una squadra di Premier League senza esperienza calcistica, lo show di Apple TV+ ha proposto un modello umano, etico e anti-cinico. Un modello utopico, certo, ma non per questo meno concreto nei suoi principi. E proprio per questo, Ted Lasso è un atto di resistenza morale contro l’idea che il successo, nello sport come nella vita, debba essere sinonimo di potere, denaro e dominio.
Nella sua follia, nel calcio di oggi, il metodo Richmond potrebbe tranquillamente dire la sua
Nel calcio moderno, caratterizzato da investimenti ciclici e smisurati, continui sprechi e pianificazioni approssimative, che posto occuperebbe l’AFC Richmond? La squadra portata all’apice da Ted Lasso difficilmente potrebbe ambire a una posizione di spicco in Premier League. Il calcio, in particolare quello inglese, con il suo giro d’affari multimiliardario, è ormai governato da logiche simili a quelle della finanza. Stagione dopo stagione aumentano le proprietà straniere, i fondi d’investimento, le acquisizioni speculative, lo scouting basato su algoritmi e soprattutto super-agenti che dettano le regole. Il risultato più concreto in tutto questo marasma di conti e cifre è che il legame tra una squadra e il suo territorio si è progressivamente indebolito. I club non sono più comunità, ma brand. Tutti i nuovi stadi sono progettati per essere centri commerciali emozionali, mentre i giocatori sono asset da valorizzare e rivendere. La cultura sportiva dominante esalta la competitività esasperata, l’efficienza, la performance come unico criterio di giudizio.
Il calcio, che un tempo era il gioco del popolo, è diventato il business dell’élite. Ma è proprio in questo panorama iper-razionale e sempre più disumanizzato che Ted Lasso si presenta — e propone — come corpo estraneo. L’arrivo del coach americano all’AFC Richmond, squadra fittizia ma simbolicamente realissima, è la goccia fuori posto in un oceano di regole non scritte. Lui non sa nulla di calcio, non ha schemi vincenti da proporre, non promette trofei. Ha solo un principio: prendersi cura delle persone. Ted Lasso non vince con la tattica, ma con la fiducia. La sua forza sta nella capacità di costruire relazioni autentiche, valorizzare gli individui, creare un senso di appartenenza. Non è un ingenuo: conosce la sofferenza, il fallimento, la depressione. Ma sceglie consapevolmente di credere nella bontà, nella gentilezza, nell’empatia. E nel farlo, sfida ogni dogma manageriale contemporaneo.
Ted Lasso ha sfidato tutte le leggi non scritte del calcio moderno
Il suo approccio alla gestione di un team è tutto ciò che l’economia capitalistica non prevede: un modello fondato sulla cura e non sull’efficienza, sull’ascolto e non sul risultato. Nessun leader accentratore autoritario, un gruppo unito ma non dalla paura e la meritocrazia come l’unico metro di giudizio. E funziona. Funziona proprio perché spiazza. I giocatori crescono, non perché sono stimolati dalla competizione interna, ma perché si sentono visti. I risultati arrivano, non perché c’è un piano perfetto, ma perché c’è una squadra vera. È una piccola rivoluzione, raccontata con il tono leggero della commedia ma con un messaggio potentissimo: l’umanità non è debolezza, è forza. Ma questo modello potrebbe essere davvero applicabile? Ovviamente Ted Lasso è una fiction, e come tale semplifica, oltre ad alleggerire determinate tematiche che oggi rappresentano ancora un tabù nel mondo dello sport in generale. Ma questo non significa che non offra strumenti concreti di riflessione.
La sua visione dell’organizzazione sportiva — e in senso più ampio, aziendale e sociale — è profondamente ispirata ai modelli cooperativi, orizzontali e partecipativi. È il contrario delle logiche predatorie di chi vede lo sport solo come un business. Laddove il capitalismo calcistico cerca solo ROI e posizionamenti, Ted cerca senso. Certo, la realtà è più complicata. Un dirigente calcistico che si comportasse come Ted Lasso verrebbe probabilmente licenziato dopo tre mesi. Ma alcuni principi del “modello Richmond” erano già visibili, seppur in forme alternative, in alcuni progetti sportivi più o meno noti. Quello dell’Athletic Bilbao è il più famoso, ma anche il St. Pauli in Germania, o l’Ajax in Olanda. Sono tutti esempi reali di club che hanno scelto valori identitari, sostenibilità e legame con la comunità al posto del successo a tutti i costi. E funzionano, in modo diverso. Resistono.
Lo stesso vale per il management in senso lato: il mondo del lavoro sta riscoprendo concetti come leadership empatica e intelligenza emotiva. Ted Lasso ha avuto il merito di rendere visibile, pop e mainstream un’alternativa che spesso resta nascosta.
Anche se il sistema resta dominante, le crepe si fanno strada. Il principio apparentemente intangibile di Ted Lasso è quello per cui l’obiettivo non è solo vincere, ma farlo insieme, senza calpestare l’anima. Un principio che anche su una dimensione aziendale dimostra che in realtà i risultati sono possibili, più che mai concreti. Uno degli elementi più affascinanti della serie è la sua lotta sotterranea contro il cinismo. Non solo quello sportivo rappresentato dalle pressioni mediatiche e dalle tifoserie tossiche. Ma anche quello culturale: l’idea che essere buoni sia sinonimo di ingenuità, che la sensibilità sia una debolezza. Ted Lasso non è un predicatore folle, semplicemente non giudica. Mostra che si può essere forti senza essere duri, competitivi senza essere sleali, vincenti senza essere spietati. La serie fa ancora più rumore in un’epoca in cui la delusione verso i sistemi — che siano essi politici, sportivi o aziendali — è all’ordine del giorno.
In un mondo saturo di performance, burnout e frustrazione, la gentilezza diventa un atto politico. Ted Lasso, con il suo modo garbato e testardo di affrontare il mondo, si innalza da caricatura a modello. Non tanto perché sia perfetto (dato che non lo è affatto), ma perché dimostra che anche nell’imperfezione c’è spazio per costruire qualcosa di diverso. Per quanto possa sembrare ripetitivo e ormai banale affermarlo, è sempre giusto ricordarsi che Ted Lasso è molto più di una serie sul calcio. La sua forza risiede nel raccontare un uomo fallibile che sceglie ogni giorno di restare umano in un sistema che ti spinge a non esserlo. E questa è forse la lezione più preziosa della serie: il cambiamento comincia sempre da una scelta personale. Anche se si è soli, anche se si è presi in giro. Anche se si viene dal Kansas e si allena una squadra inglese che nessuno prende sul serio.







