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Ted Lasso aveva bisogno di un villain?

Voi guardereste una serie senza cattivi? Probabilmente no. L’equivalente di venti puntate da quaranta minuti di uno spot melenso potrebbe stufare molto presto. In ogni storia che si rispetti è necessario mettere un po’ di pepe con il cattivo di turno. Se poi il villain è anche inaspettato, ancora meglio. La regola generale vuole questo. Quindi, alla domanda iniziale potremmo rispondere sì, Ted Lasso aveva bisogno di un villain. Tuttavia, il prodotto di Apple+ è così bello che con ogni probabilità l’avremmo guardato anche senza. 

Diamo per scontato che abbiate già visto la serie, ma vi rinfreschiamo la memoria. 

Ambientata a Londra, racconta di Ted Lasso, un americano trapiantato in Inghilterra che di calcio non ne sa mezza, per allenare l’AFC Richmond, una squadra di Premier League. L’entourage di Ted è come Ted, strano ma divertente e fatto solo di persone buone. Parliamo di Coach Beard, il suo braccio destro, del segretario Higgins, che in due stagioni non ha ancora un ufficio tutto suo, e di Roy Kent l’ex capitano burbero. Ultimo tassello della dirigenza è Nathan Shelley, tuttofare della squadra conosciuto come Nate. 
Analizzando in maniera generale Ted Lasso potremmo sostenere che i villain, almeno nella prima stagione, sono un po’ marginali. Rebecca, la titolare del club, all’inizio potrebbe essere considerata tale perché è decisa a far fallire la squadra dell’ex marito assumendo Ted come guida. In realtà, però, la gentilezza del coach la conquista molto presto facendola desistere. Jamie Tart altrettanto: mette spesso in difficoltà sia la dirigenza che lo spogliatoio comportandosi da cialtrone per poi cambiare radicalmente nella seconda stagione. Per finire, dovremmo nominare Trent Crimm del The Indipendent, il giornalista che cerca di far crollare Lasso in conferenza stampa. Tutte e tre queste figure, tuttavia, intraprendono un percorso di redenzione che trova completamento nella seconda stagione. A conti fatti, quindi, siamo senza cattivi. 

Ted Lasso e Nathan Shelley

Qui entra in scena Nate. Inizialmente è una figura nell’ombra, a cui nessuno presta molta attenzione. E forse è meglio così per il kit man della formazione, perché nel momento in cui i giocatori si accorgono della sua presenza, non tutti ma i più, sono pronti a prenderlo in giro. Nate incassa: è un po’ goffo, timido e troppo buono, dando spesso l’impressione di essere naïf. La svolta arriva nel momento in cui il coach lo include nell’entourage. L’uomo però, non gode di grande stima né a livello lavorativo né a livello familiare (lo vediamo in uno sketch con i suoi genitori al ristorante greco) tantomeno di rispetto. In ogni caso Nate, da semplici suggerimenti, è in grado di costruire una vera e propria preparazione tattica per la formazione costruendo lo schema di gioco che permette al Richmond di salvare il risultato in alcune partite. Da lì diventa assistente dell’allenatore e mascotte della squadra.

Nate, però, sente un crack nel cervello nel momento in cui l’ex capitano entra nella dirigenza. Sentendosi minacciato da Roy mostra i primi che segni di insofferenza. È convinto che voglia prendere il suo posto sia a livello lavorativo che affettivo. Ha paura che a Ted e compagni non importi più di lui. Così interpreta come un affronto personale qualsiasi battuta amichevole e accumula rancore. Ciò lo porta ad essere spesso prepotente sia nei confronti di Coach, sia nei confronti dei giocatori. In particolare, prende di mira Hughes, l’ala sinistra della formazione. Inoltre, l’ex kit man diventa avido, questo ruolo secondario gli sta stretto, crede che sia necessaria una maggiore considerazione. Vorrebbe che i giornali parlassero di lui quanto di Ted, se non di più. Così il suo personaggio, come già anticipato, subisce un’evoluzione negativa. 

Agli occhi dello spettatore adesso è palese: Nate è perso. Non riesce più a fingere e a controllare il suo ego. Lo vediamo nei suoi occhi, che si incupiscono con il passare delle puntate. A dimostrazione di ciò, Nick Mohammed su Twitter scrive che nello stacco tra le due stagioni la luce negli occhi del suo personaggio è destinata a spegnersi in conseguenza di quelle che ritiene delle mancanze nei confronti di Nate stesso. Si riferisce a quando, ad esempio, bacia Keeley, la ragazza di Kent. Per noi è un’infamia bella e buona, per lui è snervante il fatto che Roy non si sia offeso, a dimostrazione del fatto che nessuno lo teme. Con piccoli gesti, sempre più gravi, Nate volta le spalle al Richmond e conclude la sua ascesa verso il lato oscuro passando addirittura al West Ham United di Rupert Mannion, l’odiatissimo ex di Rebecca. La terza infamia la porta a casa nel momento in cui tradisce Ted e spiffera alla stampa i suoi problemi di salute.

Ted, Coach e Nate

Ci siamo chiesti se questo cambiamento fosse stato studiato a tavolino, se i produttori dello show avessero già in mente di schierarlo dalla parte dei villain o se, essendosi resi conto della mancanza di figure negative, abbiano virato bruscamente all’ultimo secondo. Probabilmente è la seconda. Forse i produttori hanno temuto che il prodotto potesse perdere di hype, così hanno dato una scossa alla storyline. Comunque, ammesso anche che questo cambio di rotta fosse necessario per riequilibrare il piatto della bilancia, dalla parte dei cattivi non poteva che passare Nate. Andando per esclusione, sappiamo che Ted non avrebbe mai potuto e poi è il protagonista, è l’anima di una serie che incoraggia alla positività e all’inclusione. Coach è un personaggio positivo, parla poco, ha un ruolo un po’ marginale se vogliamo (a parte la puntata che gli hanno interamente dedicato) e non avrebbe avuto ragioni per tradire l’amico di mille battaglie e di un cambio vita, Ted. Roy, beh, che dire di Roy Kent. A noi piace da morire: è burbero quanto basta per farci scompisciare ma sappiamo che in lui si nasconde un cuore di panna. Chi resta? Higgins e Keeley. Troppo teneri e positivi per essere villain. L’unico papabile è Nate. Onore al merito di aver trovato un ottimo escamotage per dare inizio al cambiamento.

In conclusione, Ted Lasso aveva bisogno di un cattivo. La scelta è stata fatta con ogni probabilità per non annoiare lo spettatore e sconvolgerlo con un cambiamento radicale, scegliendo un personaggio apparentemente troppo buono per fare del male a qualcuno o per desiderare la vendetta. Chiaramente, così sono riusciti anche a creare non poche attese che spingeranno tanti a guardare la terza stagione per sapere cosa ne sarà di Shelley. Anche se ci siamo sentiti traditi da quel ragazzo tuttofare che avremmo voluto difendere ad ogni costo nella prima stagione. Probabilmente speriamo che alla fine torni sui suoi passi dalla famiglia che l’ha cresciuto. 

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