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Stranger Things ha spalancato le porte dell’oscurità (ben oltre i dieci centimetri)

La scorsa stagione abbiamo sottolineato come i personaggi di Stranger Things siano diventati grandi. Tutti, dai bambini agli adulti, hanno dovuto abbandonare prematuramente – e una volta per tutte – la strada dell’innocenza in un percorso fatto di eventi traumatici, sintetizzabili in uno particolarmente eclatante: la morte di Bob.

Questa stagione riprende le fila proprio da dove ci eravamo lasciati, mostrando i personaggi alle prese con un nuovo status quo, incapaci di gestirlo come si deve. Problemi di cuore adolescenziali, la frustrazione per un nuovo lavoro inappagante, mancanza di stabilità nei rapporti di coppia e/o padre figlia. E poi c’è chi, come Will, vorrebbe semplicemente tornare indietro per vivere quell’innocenza strappatagli con forza dal Mind Flayer.

In sostanza i personaggi di Stranger Things sono grandi ma non maturi abbastanza da trovare il loro posto nel mondo.

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Inevitabilmente la terza stagione rappresenta una stagione di transizione (di raccordo tra la seconda e la quarta, sebbene quest’ultima non sia ancora stata annunciata ufficialmente). E lo dimostra anche la scelta di non aprire le porte ad alcun nuovo nemico, buttando giù una commistione di nemici e situazioni già visti nelle prime due stagioni. Non per questo, tuttavia, Stranger Things ha messo da parte la sua forza innovativa. Non per questo si è rivelata incapace di sorprendere. Non per questo incapace di commuovere.

L’esempio perfetto, in tal senso, può essere considerata la storia di Billy. Un personaggio il cui potenziale era già emerso la stagione passata e che qui esplode totalmente, man mano che ci viene mostrato il suo tormento interiore. Questo trae origine da un passato di violenza familiare e di distacco traumatico dalla madre. Per quanto abbiamo ancora negli occhi il racconto struggente del passato della mamma di Eleven, Terry, quello di Billy non può lasciarci indifferenti. E il sesto episodio, anche grazie a una fotografia spettacolare nella rassegna dei flashback, rielabora quell’intensità emotiva – che pure avevamo provato allora – e la porta su un altro livello.

Con la crescita dei personaggi (oltre che della serie) anche le citazioni diventano più mature, più colte.

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Se l’atmosfera carpenteriana permea il racconto sin dalla prima stagione (ma mai in maniera così ficcante) là dove prima c’era un riferimento esplicito ai cult giovanili come E.T. o I Goonies, ora troviamo un omaggio a Kubrick (il quinto episodio, nella claustrofobica sequenza in ospedale) o al cinema d’exploitation di George Romero (in particolare i primi due episodi). O, ancora, a Videodrome di Cronenberg, nel già citato sesto episodio.

Scompare, quasi del tutto, il mito del bambino in bicicletta nei sobborghi americani per lasciare spazio alle sue paure più recondite. Ma siamo pur sempre in una stagione di transizione e infatti questa è degnamente rappresentata, in maniera esplicita, da La Storia Infinita, film tedesco che coniuga il racconto di avventura alle presenze di un mondo maligno al di là dello specchio.

E in tutto questo Stranger Things non risparmia una freschezza di trama (con la storia che, progressivamente, raggiunge il suo picco emotivo e qualitativo nel finale) e di battute.

Il merito è da attribuire alla struttura narrativa che si articola in varie sottotrame che si congiungeranno solamente nel finale. La sottotrama dei bambini “innamorati”, con Mike, El (nel look sempre più trendy alla Millie Bobby Brown), Max, Lucas e, sullo sfondo, Will; la “linea degli eroi” e del nemico russo, con Steve, Robin (straordinaria new entry), Dustin ed Erica; quella degli adulti, con Hopper, Joyce, Murray e Alexei il russo; quella della coppia emancipata, con Nancy e Jonathan.

Superlative in particolare la gestione della linea egli eroi e quella degli adulti. Steve e Dustin sono un’accoppiata consolidata dalla seconda stagione e, anche singolarmente, parliamo dei personaggi maggiormente cresciuti nel corso degli anni. Aveva molto senso staccare Dustin dal gruppo di ragazzini per approfondire il legame con il suo compagno di sventure (e di lacca per capelli). Allo stesso modo la storyline di Joyce e Hopper viaggia lungo un binario di tensione sessuale costante e inappagata, foriera di momenti tragicomici perfettamente accentuati dalla presenza di Murray e del russo, qualcosa in più di due comparse.

L’esito finale, con il presunto sacrificio di Hopper, riprende un elemento stra abusato in una certa cinematografia alla quale Stranger Things si ispira dichiaratamente.

stranger things 3x04 recensione
stranger things 3×04 recensione

La morte non mostrata, riferimenti ammiccanti buttati là nella scena post-credit (“l’americano”) lasciano pensare che Hopper sia vivo e che ricomparirà nella quarta stagione. Tuttavia questo smorzerebbe un po’ un altro momento particolarmente significativo di Stranger Things. Se non il più bello sicuramente il più commovente. Ovviamente il riferimento è alla lettera che Hopper ha scritto per Eleven. Quel momento risulterebbe meno solenne se non dovesse rappresentare la conseguenza definitiva e traumatica della sua morte.

Al netto degli indizi di cui sopra, se c’è un prodotto che potrebbe veramente fregarsene dei cliché (a cui si aggrappa per poi rielaborarli a proprio piacimento) quello è proprio Stranger Things. La morte di Hopper sarebbe una morte off screen, come quella di Barb nella prima stagione. Tutti ci aspettavamo un suo ritorno e la sorpresa fu proprio l’assenza di sorpresa. Sarebbe il giusto epilogo per un personaggio straordinario che, con la sua morte, spalancherebbe la porta ben oltre quei famosi dieci centimetri, lasciandoci in balia dell’ignoto. Perchè Stranger Things è diventata grande e noi con lei. Senza Hopper siamo tutti più soli, incerti, e in preda un futuro più oscuro.

E tocca a noi, adesso, rimboccarci le maniche.

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