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Stick 1×05 – La Recensione: una stratificazione narrativa che va oltre

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Stick, in onda ogni mercoledì su Apple TV+, continua a sorprenderci episodio dopo episodio, rivelando sempre di più una stratificazione narrativa che va ben oltre l’apparente semplicità di una storia sportiva. Il golf, che a una prima occhiata potrebbe sembrare solo il contesto tecnico della storia, si sta rivelando una cornice perfetta per parlare di umanità, crescita e lutto. Il quinto episodio è forse finora uno dei più profondi, e non tanto per ciò che accade in superficie – una nuova sfida, una nuova dinamica tra personaggi – quanto per le risonanze emotive che attiva in modo così viscerale.

Se nell’episodio precedente (qui la nostra recensione dell’episodio 1×04) il focus era sul silenzio, sulla frustrazione di non riuscire a comunicare, in questa nuova puntata invece la parola prende il sopravvento. Ma non è una conquista priva di ombre. Il dialogo – anzi, il bisogno di trovare nuove strategie per comunicare – diventa il motore dell’azione. Stick, deciso a far emergere il potenziale di Santi, si allea con Zero per aiutarlo convinto che che ci sia bisogno di una guida, qualcuno che possa stimolarlo, fargli superare i suoi blocchi. Ma il problema è: come si aiuta davvero qualcuno? E dove si traccia il confine tra aiuto e controllo?

Il problema viene a galla con una rivelazione sottile, ma centrale.

Credits: Apple TV+

Santi racconta che suo padre lo guidava passo passo durante le partite, indirizzandolo su ogni scelta. Un comportamento che all’apparenza poteva sembrare innocuo, ma che in realtà lo privava del piacere del gioco. Non era più libero di giocare per il piacere di farlo. E quando Zero si rende conto che lei e Stick stanno facendo la stessa cosa – suggerendo, spingendo, orientando – qualcosa cambia. Nasce un dubbio che incrina tutto il loro piano: e se, nel tentativo di aiutarlo, stessero solo replicando quel modello tossico? Ma Stick ci mette di fronte a una realtà più complessa e profonda: comunicare non basta. Non è sufficiente parlare, dare consigli, motivare. Conta il modo in cui si entra nella vita dell’altro, e soprattutto da dove nasce quell’impulso. L’aiuto vero non si impone: si offre, e può essere rifiutato.

Dare consigli, proporre soluzioni, cercare di “aggiustare” chi abbiamo di fronte non è sempre la forma più empatica di dialogo. A volte è solo un altro modo per non ascoltare davvero. Ascolto e comunicazione sono infatti i due cardini attorno cui ruota l’intero episodio. Non come strumenti perfetti, ma come capacità in costruzione, fragili e imperfette. Tutti i personaggi stanno imparando a esercitarle, ognuno con i propri limiti, i propri tempi, il proprio linguaggio. È questo il tratto forse più riuscito dell’episodio: il realismo con cui viene raccontato il processo – lento e faticoso – di imparare a capirsi.

Stick e Mitts, in particolare, raggiungono un punto di svolta.

Mitts è un uomo abituato al silenzio e alla distanza emotiva: parla poco, ma quando lo fa sceglie con cura ogni parola. La sua conversazione con Stick, in questo episodio, è forse il primo vero momento in cui non si nasconde più dietro l’ironia o il pragmatismo. Non è un confronto gridato, né commosso: è un dialogo sincero tra due uomini segnati dalla perdita, che trovano finalmente il coraggio di guardarsi e riconoscersi. Stick è quello che forse affronta il cambiamento più profondo. Abituato ad agire, a risolvere, a prendere decisioni per “aiutare”, inizia lentamente a rendersi conto che questo approccio non sempre funziona. Ascoltare, per lui, significa abbandonare una posizione di controllo e mettersi in discussione. È un processo faticoso, perché tocca corde personali e dolorose. Ed è solo nel momento in cui si lascia colpire dalle parole di Mitts, nel momento in cui accetta di ascoltarle davvero – non per rispondere, ma per comprenderle – che qualcosa si rompe dentro di lui. O meglio: si apre.

La relazione tra Stick e Mitts è in questo senso uno dei perni più emotivamente densi dell’episodio.

Entrambi portano dentro un lutto, entrambi sono uomini che hanno costruito corazze emotive per sopravvivere, eppure è proprio in questa puntata che – per la prima volta – si concedono vulnerabilità reciproca. Non è tanto ciò che si dicono a colpire, ma il fatto che riescano a dirselo. Che scelgano, entrambi, di non rimanere bloccati nei propri ruoli. In fondo, questa puntata è un invito alla maturità emotiva. Mostra che l’aiuto autentico non nasce dal desiderio di essere utili, ma dalla capacità di esserci in modo discreto, rispettoso, presente. E che solo quando impariamo a comunicare davvero – non per guidare, ma per comprendere – le relazioni possono trasformarsi in qualcosa di più profondo, e più vero.

Attraverso dialoghi misurati, sguardi che dicono più delle parole e ferite che finalmente trovano voce, Stick ci accompagna in una riflessione matura e profondamente umana. La serie conferma così il suo sguardo limpido e onesto sulle relazioni, sull’adolescenza, sull’elaborazione del dolore. E ci mostra che, a volte, la vera trasformazione non avviene quando un personaggio cambia, ma quando impara a vedere e a lasciar vedere l’altro per ciò che è.

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