Vai al contenuto

Una distopia post apocalittica sorretta da una solida impalcatura socio-politica. È questo l’identikit della storia da cui deriva Snowpiercer, una storia raccontata da Jacques Lob e Jean-Marc Rochette attraverso le tavole di Le Transperceneigs, graphic novel in tre atti pubblicata per la prima volta nel 1982. L’idea è di quelle dal forte appeal: dopo l’avvento di una tremenda glaciazione, ciò che resta del genere umano trova rifugio su un lunghissimo convoglio ferroviario progettato per correre lungo i suoi binari fino al giorno in cui le temperature non risaliranno.

I passeggeri sono distribuiti secondo un criterio rigidamente classista: in fondo si trovano coloro i quali sono saliti a bordo senza biglietto, costretti a una vita di stenti e di soprusi, e seguendo un ordine ascendente si arriva ai ricchi finanziatori della costruzione del treno, che viaggiano immersi nel lusso e nella bambagia.

Snowpiercer

Nel corso degli anni la serie a fumetti ha innescato una catena di prodotti audiovisivi ispirati. Il primo è una trasposizione cinematografica intitolata Snowpiercer e il secondo l’omonima serie prodotta dal canale TNT e distribuita a livello internazionale da Netflix. Complice la presenza di Bong Joon-ho nel ruolo di produttore esecutivo, il progetto ha destato subito grandi aspettative legate al tipo di operazione che, almeno sulla carta, consentiva di effettuare sul materiale di partenza.

La serie tv è il formato ideale quando si tratta di approfondire ed esplorare una storia e le tematiche ad essa annesse. Nel caso di Snowpiercer, la ripartizione lungo un arco di più episodi dava la possibilità di dispiegare la conflittualità insita al sistema gerarchico del treno e sviscerarla in tutte le sue implicazioni, realizzando così un affresco di estrema attualità, specchio delle dinamiche che strutturano la società e i rapporti che si articolano al suo interno.

Eppure sono proprio gli aspetti che avrebbero dovuto costituirne i punti di forza quelli in cui Snowpiercer ha finito per fallire.

Anziché puntare forte sul cuore pulsante dell’opera originale e dare la giusta eco ai suoi battiti, Snowpiercer l’ha declassato a sfondo di quello che ha finito per assomigliare a uno qualsiasi dei crime (qui ve ne proponiamo cinque in cui è difficilissimo scoprire il colpevole) che affollano i palinsesti, con l’unica particolarità di avere un treno in perenne movimento come setting.

È comprensibile che servissero filoni attraverso cui portare avanti una narrazione continuativa invece che condensata nello spazio di una singola pellicola, ma questi sarebbero dovuti essere veicoli di contenuti peculiari, strumenti posti al servizio di una storia che trova altrove la sua cifra distintiva.

Con questa impostazione, che pone in secondo piano le caratteristiche dominanti del racconto originale, non sorprende che il risultato risulti tanto depotenziato da sfociare in uno scialbore piatto e senz’anima, privo di spessore e di qualsivoglia mordente.

Snowpiercer

L’innesto rappresentato dall’arrivo di Wilford (Sean Bean) non ha apportato i miglioramenti sperati, anzi, ha contribuito a spersonalizzare una serie la cui identità è risultata compromessa sin dal principio. L’impressione è che lo scontro tra la fazione di Layton e il padre dello Snowpiercer abbia ulteriormente spostato il focus da quello che sarebbe dovuto essere il centro della narrazione.

La contrapposizione tra il dispotismo incarnato da Wilford e la democrazia simboleggiata da Layton soffre degli stessi limiti di quella che opponeva le classi: è rappresentata come un qualsiasi scontro tra il protagonista e l’antagonista di turno, senza che la dimensione politica a essa sottesa riesca a diventare realmente prevalente e pervasiva.

La potenza dell’opera madre si perde tra i meandri di una dozzinalità che non risparmia alcun elemento del rifacimento televisivo: le caratterizzazioni, i dialoghi, i risvolti narrativi che mandano avanti la trama senza guizzi e senza sorprese.

C’è ancora tempo per rimediare?

In teoria, sì. La terza stagione di Snowpiercer è già in cantiere e dovrebbe essere aggiunta al catalogo Netflix nel 2022. In pratica, le direttrici lungo cui la storia dovrà muoversi non sembrano quelle più adatte a recuperarne i caratteri identitari. Le fasi nevralgiche del racconto così com’è stato concepito dai suoi ideatori sono ormai passate e lo hanno fatto senza lasciare il segno. Per questo motivo, al di là di una eventuale e auspicabile ripresa della sceneggiatura, ci sentiamo di affermarlo con estremo rammarico: che spreco, Snowpiercer!

LEGGI ANCHE – Snowpiercer: il distorto senso etico di un’umanità alla deriva