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In Sharp Objects le cose meno taglienti sono gli oggetti

È stato un periodo di profonda angoscia, quello in cui ho guardato Sharp Objects.

Penso sempre sia un buon sintomo di riuscita seriale quell’espansione dell’atmosfera che attraversa lo schermo e il frangente temporale fino ad abitare i giorni della visione. Il finale, poi, una bomba. Non ne vedevo di così riusciti da parecchio tempo. Anzi, volendo essere onesti fino all’osso, forse non ho mai visto un finale così. Un fulmen in clausula perfetto che conferma un pensiero avanzato durante la visione, ma poi ribaltato e, infine, capovolto di nuovo. Un bel plot twist, insomma.

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La battuta finale di Amma (“Non dirlo alla mamma!”) chiude in maniera grandiosa un prodotto che ci ha tenuti sulle spine non poco. Complice di tanto coinvolgimento e dell’angosciosa fruizione è sicuramente quel sentore di follia che riconosciamo in ogni cittadino di Wind Gap. Un escamotage non troppo originale, se pensiamo a Twin Peaks, ma sempre molto efficace. Evitabili, invece, le scene mostrate durante i titoli di coda: un po’ grossolane e volgari se paragonate al sempre più elegante e ansiogeno non-detto (stratagemma utilizzato per l’intera miniserie).

La potenza shockante del finale conferisce forza a tutta la narrazione di Sharp Objects, narrazione che ha lasciato qualche dubbio. Qualche buco di trama, o passaggio narrativo poco chiaro, c’è. Ne prendiamo uno esemplificativo: Richard prova a strappare i denti da un maiale e si rende conto che la forza che ci vuole è notevole. Cosa conclude? Deve essere, per forza, un uomo l’assassino. Alla fine non è solo una donna, è una ragazzina. Va bene, Amma avrebbe potuto farsi aiutare dalle due ragazzette complici (la cui psicosi, comunque, non si spiega) nell’estrazione dei denti, ma rimane una versione un po’ fantasy.

Eppure, proprio questo falso indizio ha assolto una funzione fondamentale. Ci ha depistati facendoci rivolgere l’attenzione alla parte maschile dei personaggi. Ed è in questo momento che ci accorgiamo della pochezza del sesso forte in Sharp Objects. La parte maschile, infatti, assolve una mera funzione narrativa. Sono personaggi senza spessore, senza carattere (Alan è il più emblematico).

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Le protagoniste indiscusse – carnefici, vittime, investigatrici, istigatrici – sono le donne: è loro la forza propulsiva della serie. Adora è assassina e l’inizio del male, Amma è assassina a sua volta, Camille colei che scoperchia il vaso di Pandora, Jackie la detentrice di saperi oscuri, di segreti inenarrabili. La linea di sofferenza e depravazione è matriarcale: dalla sindrome di Münchhausen per procura, alla follia omicida di una figlia che vuole la casetta delle bambole come la casa materna.

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E poi ci sono i tagli. Sulla pelle è il libro di Gillian Flynn da cui è tratta Sharp Objects. Oggetti taglienti, acuti, affilati. Tagli per esprimere un orrore e dolore indicibili. Oggetti taglienti, acuti, affilati che ci fanno sentire ancora vivi quando sentiamo il dolore dell’ago, quando esce il sangue ed è ancora caldo. Oggetti taglienti, acuti, affilati per scriversi addosso quello che non si può dire.

Eppure, in tutta questa storia, le cose meno taglienti, acute, affilate, sono gli oggetti.

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