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La nostra generazione ha bisogno di Sex Education

Quella delle serie adolescenziali è una fase che praticamente tutti, prima o poi, attraversiamo. Bambini che non vedono l’ora di crescere, adolescenti che vogliono sentirsi rappresentati e compresi (e/o che invidiano la vita nelle high school di stampo anglosassone), giovani adulti e adulti ormai arrivati che non vedono l’ora di sentirsi di nuovo ragazzini: in tutte le fasi della vita le serie adolescenziali possono fare la loro parte, e generalmente la fanno per bene. C’è però da dire che si tratta di serie che tendono a ricalcare sempre e perennemente gli stessi stereotipi, a farci vedere scene che ci sembrano sempre uguali. Che siano anni Novanta, Duemila o contemporanee, ci sono situazioni che restano tendenzialmente uguali a se stesse e che ci fanno pensare che, vista una, sembra di averne viste molte.

Ma come per qualsiasi cosa ci sono le eccezioni che confermano la regola, e fra le serie adolescenziali che sembrano fatte con lo stampino ogni tanto se ne distingue qualcuna che apporta al genere elementi di novità. Elementi che la contraddistinguono e la rendono speciale. Una fra tutte, negli ultimi anni, credo occupi un posto importante nel panorama della serialità, sia per l’argomento trattato sia per le modalità utilizzate per parlarne. Si tratta di Sex Education.

La storia di Sex Education si sviluppa a partire da un presupposto abbastanza particolare. Un adolescente che ha esperienza zero con la sessualità – ma che ha dalla sua una forte empatia e una madre sessuologa – apre insieme a una compagna di scuola che invece ne sa molto più di lui (e soprattutto che sa come si avvia un business illegale) una vera e propria clinica del sesso a scuola. In un ambiente scolastico nel quale l’educazione sessuale è praticamente inesistente, Otis e Maeve si sostituiscono ai veri professionisti per aiutare i loro compagni di scuola ad affrontare i loro problemi sessuali e di coppia (e, perché no, anche per fare un po’ di soldi con minimo sforzo e massimo risultato). Questo incipit si basa su due iniziali paradossi: il primo è il fatto che l’educazione sessuale sia impartita da adolescenti ad altri adolescenti; il secondo è che a farlo sia un giovane uomo che non solo non ha ancora perso la propria verginità, ma che non riesce neanche a masturbarsi. Insomma, anche il terapista avrebbe bisogno di un terapista.

Una serie adolescenziale in cui si parla di sesso, in apparenza niente di nuovo.

In realtà di nuovo c’è assolutamente tutto. Se nella stragrande maggioranza dei teen drama quello del sesso è un argomento trattato insieme a tanti altri, in Sex education diventa un personaggio protagonista. Se ne parla tanto, si pratica ancora di più e in maniera piuttosto esplicita, la vita di alcuni personaggi praticamente vi gira intorno come la Terra intorno al Sole. Il punto è che si parla di sesso e lo si fa non soltanto per raccontare come la giovane timida protagonista diventa una donna, o come il belloccio di turno riesce a conquistare tutte le ragazze della scuola con il suo appeal da giocatore di basket, o ancora come la cheerleader scopre di essere prematuramente incinta. Se ne parla perché i giovani lo fanno e soprattutto perché sono ancora troppi i tabù che la sessualità non riesce a scrollarsi di dosso.

Ogni personaggio riesce nell’obiettivo di aiutarci a comprendere diverse sfaccettature della vita sessuale, in particolare (ma non unicamente) in una fase come quella adolescenziale caratterizzata da incertezze e curiosità. All’inizio della serie Otis non riesce a vederla neanche con il binocolo, Lily vuole talmente tanto averne una da arrivare a temere di non poterla raggiungere mai, Adam non accetta di esserne insoddisfatto e va avanti come se niente fosse. Abbiamo personaggi che non riescono a vivere il sesso in modo sereno e altri che invece ne sono soddisfatti; alcuni scoprono di avere una sessualità più complessa di quanto pensavano e altri imparano a conoscere il proprio corpo, unico modo per farsi conoscere davvero anche dal partner. Si parla di orientamento sessuale, di identità di genere e di quanto sia riduttivo doversi necessariamente incasellare in schemi che qualcun altro ha creato per noi.

Sex Education 3

Ma non solo adolescenti, anche gli adulti sono alle prese con le proprie insoddisfazioni e i propri problemi che, ricordiamolo, non necessariamente finiscono una volta che ci si è messi un anello al dito. In un mondo in cui si parla ai giovani di sesso ancora poco e male, Sex Education non vuole essere un corso accelerato di educazione sessuale professionale, ma vuole portare avanti un unico semplice concetto che non fa di certo male ricordare: non esiste uno standard da seguire, un tempo da rispettare, un modo giusto per fare le cose. Ognuno è a sé e va bene così.

Non serve essere una sessuologa di calibro nazionale per capire che i sistemi scolastici – tanto quello britannico nella serie quanto quello italiano (e non solo) nella vita reale – sono carenti dal punto di vista dell’educazione sessuale. Il fatto che in Sex Education Otis sia, pur con tutti i suoi limiti, l’unico che riesce nell’ardua impresa di far aprire i suoi compagni di scuola e di aiutarli a vivere una sessualità più sana, serena e sicura, è indicativo. Con tutti i paradossi e le esagerazioni del caso, quella che Sex Education vuole fare è una critica della quale con tutta onestà abbiamo davvero bisogno. Critica che include un sistema sociale e culturale intero ma lo fa in modo leggero, utilizzando una narrazione che sì, in alcuni tratti ha assolutamente dell’incredibile. Ma chi ha detto che per criticare il mondo reale in una serie tv lo si deve necessariamente rappresentare in maniera fedele?

Sex Education racconta una fase della vita che prima o poi viviamo tutti, e lo fa dicendoci che nessuno di noi è solo.

Alcuni ci sono già passati, altri ci passeranno e altri ancora ci stanno passando proprio in questo momento. E se è vero che a volte parlarne è difficile, che le scuole non ci aiutano e che in alcuni casi anche in famiglia si alzano veli di imbarazzo che sembrano insormontabili, allora forse vedere personaggi che vivono i nostri stessi guai è quanto di più rincuorante ci possa essere.

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