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Nelle ultime settimane, è successa una cosa a cui siamo sempre meno abituati: è uscita una serie tv, attesissima dal pubblico di massa, ed è stata divorata in pochissimi giorni dai più, smaniosi di guardarla, viverla, farsi un’idea e poi confrontarsi con gli altri sui social o di fronte a una bibita ghiacciata. La serie tv in questione è, ovviamente, Squid Game. Il report del primo weekend, pubblicato da Netflix, parla di numeri da capogiro: oltre 60 milioni di visualizzazioni in tre giorni circa, segnando nuovi record difficilmente eguagliabili in futuro. L’avevamo sottolineato anche all’interno della news dedicata, con una considerazione di base che svilupperemo ora: perché sono numeri difficilmente eguagliabili? Già, perché?
Una premessa: sono numeri notevoli, ma con ogni probabilità c’è una serie tv che ha le potenzialità per ottenerli e superarli, tra pochi mesi. A novembre, infatti, uscirà l’ultima stagione di Stranger Things, sempre su Netflix: visto l’hype eccezionale che accompagnerà l’avvento dell’ultimo atto di una delle serie tv più popolari in onda, è possibile preventivare un sorpasso. Ci sarebbe poi la seconda stagione di Mercoledì, in arrivo ad agosto, ma il potenziale, seppure importantissimo, sembra essere inferiore. Il punto, però, è un altro: e poi? Poi chi avrà questa forza? Parliamo di alcune tra le migliori serie tv di sempre, talmente belle da essere inarrivabili? No, affatto.
Con tutto il rispetto – massimo – per Squid Game o Stranger Things, non stiamo parlando dei Soprano o di Breaking Bad. E anche se fosse, guardarsi le spalle con la convinzione che non si possa più raggiungere quei livelli autoriali è francamente deprimente.
Tra l’altro, non sono manco le migliori serie tv attualmente in circolazione, sul piano globale: Scissione o Andor, giusto per fare due esempi tra le serie tv che più si sono distinte finora nel 2025, stanno diverse spanne sopra da svariati punti di vista. E allora, di cosa stiamo parlando esattamente? Stiamo parlando di serie evento. Una specie in via d’estinzione.
Cos’è una serie evento?

Con “serie evento”, intendiamo quella particolare categoria di produzioni televisive che generano un’attenzione mediatica fuori dal comune. Vale quello che abbiamo appena detto a proposito di Squid Game: non appena è uscita la terza – e ultima – stagione, le nostre storie sui social si sono riempite di argomenti a tema, mostrando quanto un pubblico trasversale, meno specifico del solito e più tendente al generalista di massa, abbia sbranato le nuove puntate in poche ore. E poi gli spoiler, ovunque. Con la rabbia conseguente di chi si è preso – legittimamente, per dio – qualche giorno in più per guardarle e assaporarle senza troppe frenesie.
La macchina, però, si è messa in moto istantaneamente: Squid Game ha avuto l’attenzione anche di chi non guarda molte serie tv e persino di chi non l’ha guardata ma ha voluto comunque dire la sua.
Gli algoritmi si sono riempiti di argomenti sul tema, e le discussioni sul finale hanno catalizzato un pubblico straordinario. Il solo fatto che sia un finale controverso dice qualcosa in tal senso: quando si raggiunge un pubblico del genere, stratificato, disomogeneo e, soprattutto, numerosissimo, diventa impossibile accontentare tutti.
Spegnete il telefono e decidete di prendere una boccata d’aria fresca? I manifesti promozionali vi verranno comunque dietro. Se poi entrate in un fast food, noto principalmente per il pollo fritto, ve lo troverete fatto con una deliziosa salsa coreana, mentre intorno a voi ritroverete le solite maschere e i soliti elementi ormai iconici di Squid Game. Qualcuno, a quel punto, implorerà pietà e cercherà di parlare d’altro, ma tutto sarà inutile: il tema è quello e sarà quello per giorni. Esageriamo? Fino a un certo punto: la serie evento è questa cosa qui, prendere o lasciare. Ed è parte di un fenomeno totalizzante al quale siamo sempre meno abituati: un tempo si sviluppava con modalità differenti, più discrete e meno invasive, ma gran parte di un successo di una serie tv come Lost, per fare un esempio, è legato all’incredibile hype generato.
Poi sì, è chiaro: succede ancora, al di là di casi eccezionali come Squid Game o Stranger Things.
Alcune altre serie tv hanno una notevole forza catalizzatrice, ma non è così tanto totalizzante. E questo fa tutta la differenza del mondo. House of the Dragon o The Last of Us, per dire, raggiungono un pubblico notevole, ma è paragonabile a un fenomeno del genere? No, affatto. Siamo lontani, e parliamo di target più specifici che trovano uno spazio più limitato e “normale” tra i media.
Ci sono poi le serie evento passeggere, quelle che arrivano come un fulmine a ciel sereno e si “sgonfiano” dopo poche settimane. Quando va straordinariamente bene, dopo alcuni mesi.
Ma sono miniserie, per lo più: il 2024 era stato l’anno di Baby Reindeer, il 2025 di Adolescence. Ancora serie Netflix, ma nate e concluse nello stesso momento: serie ricche di personalità e carisma che hanno trasmesso un certo senso d’urgenza a chiunque ci si sia approcciato in qualche modo. Poi, però, ce le siamo lasciate alle spalle.
Squid Game e Stranger Things, invece, sono durate nel tempo e col tempo si sono consolidate, accrescendo l’hype e creando il “corto circuito”: positivo per alcuni, deleterio per altri. Un corto circuito, tuttavia, del quale il piccolo schermo ha un gran bisogno. Però… sono in estinzione.
Come mai? Perché sono sempre meno le serie evento?

La risposta è piuttosto semplice e si poggia su spunti ormai noti a chi ci segue con costanza, ma è giusto unire i punti per avere un quadro d’insieme.
- Ci sono un’infinità di serie tv in circolazione. Meno, rispetto ad alcuni anni fa. Ma comunque moltissime, molte più rispetto a vent’anni fa. Ciò amplia la platea di spettatori che guardano una serie tv, ma diminuisce l’attenzione globale sui singoli titoli: è un passaggio fisiologico.
- Ognuno di noi, di conseguenza, guarda più serie tv, ma lo fa con un approccio diverso rispetto a un tempo: l’attenzione sui singoli titoli è inferiore, e allo stesso tempo è minore la percezione di partecipare a un evento collettivo. È sempre meno comune raccogliere una platea che stia guardando le stesse cose nello stesso momento, soprattutto nella vita “reale”. Sui social è più semplice, ma siamo lontani dai “forum” che avevano fatto grande Lost: la distribuzione massiva ha distribuito e frammentato il pubblico.
- Ciò impedisce al pubblico di partecipare a un evento del quale sente di essere parte di un pubblico straordinario. Ne parlammo alcuni anni fa, ed è un peccato: avremmo bisogno di meno serie tv e di parlarne con più persone possibili. Potrà sembrare forzato il collegamento, ma evocammo il tema anche a proposito del successo del Festival di Sanremo negli ultimi anni: siamo animali sociali, e abbiamo bisogno di vivere un’esperienza del genere. Purtroppo, però, è sempre più difficile.
E poi c’è ancora un punto.
- Le serie tv sono più “dimenticabili” e “dimenticate” di un tempo. I grandi esempi, degni della golden age televisiva, sono spesso apprezzati da target più specifici, mentre molte delle serie tv di maggiore successo sono fruite con un approccio da fast food, più che da ristorante gourmet. Ciò, in realtà, succede anche con le serie evento sopravvissute all’evoluzione dei tempi, ma è parte delle motivazioni che giustificano i successi più limitati di serie straordinarie come Scissione o Andor. Serie che avrebbero avuto il potenziale per essere “evento”, ma che non lo saranno mai con queste dimensioni.
A complicare ulteriormente la faccenda ci si mettono gli algoritmi: più che guidarci verso un grande centro condiviso, ci spingono ognuno nel proprio angolo personalizzato. Il risultato? Non c’è più un racconto dominante, ma micro-racconti che convivono senza mai scontrarsi davvero. E se da un lato questo moltiplica le possibilità, dall’altro disperde qualsiasi ipotesi di convergenza collettiva.
Negli ultimi tempi, alcune piattaforme hanno provato a invertire la rotta. Gran parte delle piattaforme è tornato a un modello di rilascio settimanale o non l’ha mai abbandonato, e persino Netflix ci ha provato con formule ibride. È un tentativo di rimettere in piedi il “rito collettivo”, ma richiede una base solida di attenzione che oggi è sempre più difficile da aggregare.
Insomma, c’è chi vedrà in tutto un problema e chi, invece, vedrà in questo un’opportunità: l’esperienza televisiva è sempre più personalizzata e sempre più ritagliata sulle esigenze dei singoli, privandoci così della dimensione collettiva. Di serie come Squid Game ce ne saranno sempre meno, e questo renderà la fruizione più povera e in qualche modo meno soddisfacente.
I fenomeni passeggeri ci sono e ci saranno sempre, ma quelli che segneranno un’epoca finiranno per riportarci sempre indietro nel tempo. Negli anni in cui Lost era un’ossessione collettiva, o a quelli in cui il presidente sovietico telefonava a quello americano col disgelo in corso per avere una risposta a proposito del destino finale di Laura Palmer. E cosa dire del cliffhanger della quinta stagione di Game of Thrones?
Nel corso dell’anno che ci accompagnò alla sesta, si rincorsero le teorie più disparate – e disperate – sulla figura sospesa di Jon Snow: mancava solo l’incursione dei rettiliani e le avremmo tirate fuori un po’ tutte. E allora sì, quei giorni mancano. Eccome. Finiscono per generare una certa ridondanza fastidiosa mentre stiamo vivendo un momento di quel tipo, ma poi rimangono nel tempo. E danno maggiore forza alle serie tv, belle o eccezionali che siano. Non ci resta che un bucket di pollo fritto alla coreana, allora: gustiamolo al meglio ora perché poi non avrà più lo stesso sapore.
Antonio Casu







