3) Lost Ollie

Lost Ollie, miniserie Netflix creata da Shannon Tindle e diretta da Peter Ramsey (già co-regista di Spider-Man: Into the Spider-Verse), è un racconto dolcissimo e tenero che sa di infanzia e malinconia. I giocattoli, che tutti noi da piccoli credevamo avessero vita proprio quando non visti, tornano protagonisti assoluti prima nel libro Ollie’s Odyssey scritto da William Joyce e poi nel suo adattamento seriale.
La storia racconta di un coniglietto di pezza smarrito, Ollie, che si sveglia in un negozio dell’usato senza sapere come ci è finito.
Ricorda solo il volto del suo bambino, Billy, e l’urgenza assoluta di tornare da lui. Potrebbe sembrare l’inizio di una storia per bambini, e lo è, ma non nel modo in cui te lo aspetti. Lost Ollie è più vicino a Il Piccolo Principe che a Toy Story. L’infanzia, infatti, è rappresentata come un territorio fragile, affacciato sul dolore con lo sguardo ancora puro. La regia è elegante ma mai stucchevole, e le animazioni in CGI si fondono con il live action in modo sorprendentemente armonico.
Il viaggio di Ollie verso Billy è anche il viaggio di Billy attraverso una perdita impossibile da nominare, una ferita che lo spettatore intuisce ben prima che venga svelata. Parla a chi è cresciuto, a chi ha dimenticato il nome del proprio giocattolo preferito, a chi ha bisogno di ricordare che anche se perdiamo qualcosa, quell’amore ha comunque avuto senso. E che forse ce l’ha ancora.
4) The Bastard Son & The Devil Himself

The Bastard Son & The Devil Himself è una di quelle serie tv fantasy che non ti aspetti. È uscita su Netflix nel 2022, ingiustamente cancellata dopo una sola stagione, ma da recuperare assolutamente.
La storia gira intorno a Nathan, un ragazzo figlio di un famoso stregone assassino, che da quando è bambino, vive costantemente sotto controllo. Tutti si aspettano che diventi come suo padre e nessuno gli dà la possibilità di essere qualcosa di diverso. La serie tv punta a un fantasy sporco, violento, dove la magia richiede sempre un prezzo da pagare. I personaggi, lungi dai fiabeschi stereotipi del genere, sono incasinati e ambigui. Nathan, soprattutto, non è mai trattato come un “prescelto” stereotipato, è spaventato, arrabbiato, a volte anche insopportabile. E attorno a lui ci sono relazioni che non sembrano scritte per fare audience, ma per dire qualcosa su cosa significhi sentirsi fuori posto.
Nel mondo in cui vive, la magia esiste ed è divisa in due grandi fazioni. I Fairborn, che si definiscono “buoni”, e i Blood, che sono considerati violenti, oscuri, corrotti. È una guerra fredda ma spietata, dove l’etichetta che ti mettono addosso da piccolo decide chi sei, ancora prima che tu possa scegliere. Nathan è incastrato lì in mezzo: troppo Fairborn per essere accettato dai Blood, troppo figlio di suo padre per essere accolto dai Fairborn.
Alla pari di The Magicians, anche qui la trama della serie tv fantasy prende delle svolte violente.
Nathan viene sorvegliato, addestrato, a tratti persino torturato, con il pretesto di “proteggerlo da sé stesso”. Ma è chiaro che nessuno vuole davvero salvarlo. Vogliono solo impedirgli di diventare pericoloso. È un peccato che Netflix l’abbia cancellata dopo una sola stagione. Non perché finisse con un cliffhanger clamoroso, ma perché si intravedeva ancora tanto da raccontare. Detto questo, gli otto episodi stanno in piedi da soli.