Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » SERIE TV » 7 Serie Tv che avrebbero avuto bisogno di stagioni molto più lunghe

7 Serie Tv che avrebbero avuto bisogno di stagioni molto più lunghe

Se è vero che la pratica della pubblicazione e fruizione di contenuti esclusivamente in streaming digitale è ormai la normalità, è altrettanto necessario considerare le conseguenze che questa nuova fugace realtà ha sui titoli stessi. È ben chiaro ai più ormai che i prodotti originali delle piattaforme di Subscription Video On Demand si caratterizzano per un quantitativo di episodi per stagione numericamente ridotto rispetto allo standard della tv generalista. Senza la necessità di coprire il palinsesto televisivo per un’intera stagione, le produzioni possono ridurre costi e sfruttare i dati ricavati dalle proprie strutture per realizzare show condensati e da rilasciare in un’unica soluzione. D’altro canto, l’industria seriale britannica ci ha spesso abituati a contenuti caratterizzati per una certa brevità. Motivo per la quale, in entrambi i casi ci siamo trovati in situazioni in cui dover processare delle serie tv al netto della quale avremmo decisamente avuto bisogno di alcune puntate in più. Per una ragione o per un’altra, che si tratti di esigenze narrative, di mancati rinnovi o della fugacità di alcune storie, molti sono gli show che avrebbero necessitato di un tempo maggiore per poter dare ancor di più sé stesse e permetterci di godere di un racconto articolato in tutta la sua essenza. E no, non si tratta solo della spiacevole cancellazione di Sense8 a opera di Netflix – una decisione che ancora pesa e non solo su noi umili spettatori lasciati con un finale contratto – ma sono molti di più gli show che avrebbero potuto giocare meglio le proprie carte con più tempo a disposizione.

Dunque, ecco di seguito riportate, a partire proprio da Sense8, sette tra le serie tv che più avrebbero avuto bisogno di stagioni più lunghe per poter godere a pieno d’esse, della propria storia e fascinosa atmosfera.

1) Sense8

sense8

Quando nel giugno 2017 Netflix annunciava la cancellazione di Sense8 il disappunto fu unanime. Fortunatamente, grazie all’impegno di fandom particolarmente dedito, lo show ottenne il rinnovo per uno speciale conclusivo di due ore. Pur non compensando la realizzazione di eventuali stagioni successive, per lo meno il lungometraggio ha permesso alla serie di avere un qualche tipo di epilogo. Ciò nonostante, complice il mancato rinnovo stesso, Sense8 è senza dubbio uno dei titoli originali Netflix a rimanere incompiuto nella sua più grande visione. Le sole due stagioni da undici episodi l’una (più due speciali), non sono sufficienti a contenere una storia densa e fitta come quella di otto sensates tra loro intimamente connessi. Che la trama sia stata compressa ai fini di una puntata quantomeno conclusiva si sente pesantemente. Tanti sono gli archi narrativi avviati e le molte sono le dinamiche più complesse di quanto la chiusura possa aver posto, proprio per questo, Sense8 sarà sempre uno di quei prodotti che rimpiangeremo come una delle opere più sprecate e sottostimate della casa di Reed Hastings. Difficile digerire la perdita prematura e il mancato sfruttamento di un racconto così spesso e potenzialmente grande che ha potuto intrattenere veramente soltanto per poco più di venti puntate. Sense8 non avrebbe solo meritato decisamente più stagioni, ma quanto meno più puntate da dedicare a ciascuna produzione per poter implementare una storia che Netflix non ha avuto il coraggio di prendersi a carico.

2) I’m Not Okay With This

im not okay with this

I‘m Not Okay With This è senza dubbio uno dei titoli dalla vita più breve passati per la produzione originale Netflix. La sua unica stagione composta solo da sette episodi da nemmeno 30 minuti non è che un grande pilot che prepara a qualcosa di più grande. Se non fosse per il mancato rinnovo (complice la situazione pandemica da Covid-19) che ne ha provocato l’archiviazione a distanza di pochi mesi dalla pubblicazione. I’m Not Okay With This è sicuramente stato sfortunato, ma ha anche giocato male le sue carte con una narrazione che impiega tanto, troppo, tempo ha costruire la propria planimetria. In una premessa lunga sei puntate la storia non ha la meglio: viene soffocata da dinamiche fuorvianti che allontanano dall’effettivo focus della serie e distolgono l’attenzione con un mero racconto dall’anima teen. Una buona idea di partenza con un concept convincente che si è persa in una manciata di puntate, non essendo in grado di sfruttare sapientemente il tempo necessario a introdurre ciascun arco. A fronte di ciò, un quantitativo numericamente maggiore di episodi avrebbe potuto veramente fare la differenza, permettendo allo show di avere quantomeno un qualche tipo di risvolto relativamente al potere fuori controllo della povera Sydney e magari salvandolo proprio dalla cancellazione.

3) Killing Eve

killing eve

Killing Eve si compone attualmente di tre capitoli da otto segmenti ciascuno. Che sia una scelta stilistico-narrativa o meno, quel che emerge al termine di ogni stagione è una storia che sembra girare in tondo. La parvenza è che sul finire di ciascuna produzione si stia finalmente effettivamente aprendo la trama reale dello show: quella che non riguarda il rapporto tra Eve e Villanelle, ma l’indagine sui misteriosi Dodici. Misteriosi in tutti i sensi, visto che al netto dei tre capitoli pubblicati ancora il quadro su di essi è più che offuscato. Nonostante l’apparente apertura al tema, ogni volta però all’inizio di una stagione successiva la dinamica si azzera e riparte da capo. Non è mai lasciato particolare spazio al concreto approfondire di tale aspetto che rimane poco chiaro, incompleto e risulta un mero pretesto per dare addito a una storia che si concentra su altro. Un semplice motivo irrisolto per far muovere i personaggi verso una direzione che non sia esclusivamente relativa all’innegabile chimica tra Sandra Oh e Jodie Comer. La necessità di alcune puntate in più sarebbe palesemente strumentale a garantire un miglior bilanciamento tra le due trame, permettendo a queste di scorrere in parallelo piuttosto che prevalere l’una sull’altra. Killing Eve rimane comunque uno dei grandi titoli di genere dark comedy e spy thriller degli ultimi anni, ma di certo non cattura per una stabile caccia e lotta all’antagonista, piuttosto l’elemento fascinoso è il morboso rapporto tra la detective e l’assassina.

4) High Fidelity

high fidelity

Come Sense8 e I’m Not Okay With This, anche la trasposizione seriale di Hulu High Fidelity soffre di una cancellazione prematura. Composta soltanto da una stagione da dieci episodi, la serie tv tratta dall’omonimo lungometraggio del 2000 non è sopravvissuta alla prima produzione, complice un mercato in streaming spietato che lascia poco spazio agli operatori minori e orienta il gusto degli spettatori verso i grandi prodotti mainstream promossi attraverso ingenti campagne di marketing. La trama del racconto è marcatamente definita in relazione alle sfortunate vicende della protagonista e alla sua romantica passione per la musica, ciò nonostante, l’ammaliante premessa non basta. L’unica stagione mai prodotta si chiude con un finale aperto sull’incerto futuro di Rob (interpretata da una magnetica Zoë Kravitz), lasciando così irrisolti una serie di quesiti e impedendo a un’affascinante serie di nicchia di tornare sullo schermo. Eppure sarebbero bastate solo alcune puntate in più per proporre per lo meno una stagione completa e potenzialmente autoconclusiva, piuttosto che dotarla di un arco narrativo a tratti frettoloso e senza effettivi inizio e fine a dare sostanza ai malinconici monologhi su amore e musica. Un’occasione sprecata per uno show inedito e dalla malinconia accattivante.

5) Ragnarok

Ragnarok

Ragnarok è tra le serie tv di punta della produzione originale Netflix scandinava. Di origine norvegese, si compone attualmente di due stagioni da solo sei episodi ciascuna che riprendono in chiave moderna le vicende, le alleanze e i conflitti della mitologia norrena. La prospettiva odierna sugli intrighi e sull’eterna lotta tra il bene e il male della mitografia nordica è certamente intrigante, grazie anche alla bellezza mozzafiato dei paesaggi del nord. Purtroppo però, la brevità del complesso dei segmenti non è funzionale alla piena completezza della storia e al suo dispiegarsi. A fronte di ciò molti aspetti sono sottesi e lasciati alla mera intuizione o associazione logica, penalizzando proprio la godibilità del contenuto che affronta le proprie dinamiche a grandi linee. Arrivare ad almeno dieci episodi a stagione avrebbe potuto decisamente contribuire a una miglior riuscita della serie stessa che invece manca di dettagli e di tempi narrativi necessari a scandire il racconto e a dare a esso un’effettiva articolazione. Ragnarok si perde proprio in virtù dell’assenza di sviluppi che gli permettano di progredire in modo sostanzioso senza saltare a conclusioni affrettate. La contrazione del racconto è talmente esplicita e controproducente da penalizzare un titolo che parte già svantaggiato da una produzione che non spicca per disponibilità e sostegno.

6) Misfits

Misfits

Misfits è una science fiction e dark comedy britannica in tutto e per tutto. Composta da un totale di cinque stagioni da non più di otto episodi ciascuna, è un grande affresco che intriga per l’energia caotica e per il libero arbitrio con cui gioca con le normali regole e percezioni della quotidianità. La storia di cinque baby-delinquenti che si trovano alle prese ciascuno con un nuovo superpotere mentre svolgono le attività di servizio sociale per la comunità è consistente e ricca di archi narrativi che necessitano di esser sviluppati e orientati verso un percorso preciso. Contrariamente a tale necessità però, Misfits presenta salti temporali particolarmente disorientanti e dei buchi che non la rendono scorrevole in modo pienamente lineare, complice soprattutto il ridotto numero di segmenti della quale si costituisce. Da vera serie tv british, dallo stile narrativo alla linea editoriale, avrebbe avuto bisogno di qualche puntata in più per poter essere totalmente completa e chiara, specialmente nei misteri e nelle sfide che gli sregolati protagonisti affrontano nella grigia cittadina. Il prodotto resta perciò incompiuto, da catalogare come una di quelle grandi storie realizzate a metà e che avrebbero veramente potuto dare di più per divenire un punto di riferimento nel settore, probabilmente una durata maggiore avrebbe inciso positivamente in tale senso.

7) It’s a Sin

its a sin

It’s A Sin è una miniserie televisiva britannica di Channel4 estremamente breve: consiste soltanto in cinque episodi. Ambientata tra il 1981 e il 1991 si tratta di una storia drammatica, brutalmente onesta e delicata, su un gruppo di giovani amici omosessuali che si trasferiscono a Londra durante il periodo della veloce diffusione dell’AIDS. Pur essendo un racconto disarmante per schiettezza ed emotività, le sole cinque ore in cui questo si condensa comportano alle volte una eccessiva concentrazione della storia stessa. Proprio a fronte della brevità dello show, questo toglie il fiato: non c’è tempo di processare molti degli accadimenti, la perdita di alcuni personaggi è quasi passeggera. Con qualche puntata in più sarebbe stata una serie tv ancora migliore, prendendosi dei periodi più lunghi per distendere la narrazione e compensare alcuni dei salti temporali che a tratti disorientano e distolgono dallo struggente arco narrativo. In un battito di ciglia passano dieci anni e le figure protagoniste cambiano, crescono e sono catapultate in una realtà cruda e per nulla caritatevole. Non c’è tempo per affrontare il lutto perché di lì a poco si susseguono morti implacabili segnate da una malattia di cui nessuno aveva intenzione di parlare apertamente.

LEGGI ANCHE – Sense8 ha dimostrato che si può lasciare seriamente il segno in pochissimo tempo