Sit-com vuol dire casa, sit-com vuol dire famiglia… oppure si diceva: dove c’è sit-com c’è casa? Slogan riciclati (male) a parte, pensiamo alle situation comedy e improvvisamente nella nostra mente si affastellano situazioni più o meno simili e un manipolo di personaggi molto specifici. La mamma per eccellenza, la Marion, con grembiule e messa in piega, i figli discoli o super intelligenti che giocano in giardino, il padre amorevole, l’Howard, oppure il nullafacente, il Jim, cioè quello che si gratta la pancia sul divano mentre scorre la partita. Immagini piuttosto stereotipate e tradizionali che trovano poco riscontro nella realtà odierna poiché i nuclei familiari, al momento, sono sempre più meravigliosamente eterogenei. Così, dopo esserci occupati della madre di famiglia ne L’evoluzione della figura della madre di famiglia nelle sit-com, dagli anni Ottanta a oggi, è arrivato il turno del padre nelle serie tv. Vogliamo approfondire il suo ruolo all’interno delle sit-com – anche questa volta – trasmesse pressappoco a partire dagli anni Ottanta. Quarant’anni di cambiamenti piuttosto radicali che ripercorreremo per capire in che modo il suo ruolo sia cambiato ed evoluto (oppure involuto!). Anche in questo caso, infatti, è facile accorgersi che si tratta di un andamento a fisarmonica piuttosto che un’evoluzione progressiva. Tuttavia mentre nell’approfondimento dedicato alle madri di famiglia emergeva una tipologia molto specifica, con tanto di nome e caratteristiche, cioè la cosiddetta “sit-com wife”, per la figura genitoriale maschile non esiste un “sit-com dad” o un “sit-com husband” predefinito. Ad ogni modo, anche il padre nelle serie tv è una figura immancabile di un genere comico apparentemente leggero e disimpegnato con cui siamo cresciuti e che, scommettiamo, ha contribuito a influenzare l’immaginario collettivo, compresi i ruoli di genere.
Il padre nelle serie tv: Howard Cunningham, il padre di famiglia
Il suo personaggio è stato scritto per essere il prototipo del padre americano degli anni ’50: un saggio, bianco e imprenditore repubblicano dell’America centrale con valori tradizionali. Era un membro della Leopard Lodge No. 462 a Milwaukee, diventandone infine il “Grand Poobah”.
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Caposaldo della cosiddetta “famiglia tradizionale”, se nell’articolo sulle sit-com wife avevamo individuato Marion Cunningham come il modello di riferimento usato sia per emulare la madre e moglie perfetta che per contrastarla, allo stesso modo, il buon vecchio Howard è l’altra figura genitoriale di riferimento di uno show iconico nato a cavallo degli Settanta e Ottanta. Parliamo ovviamente di Happy Days (1974- 1984), uno show presente in ogni salotto che ha svezzato intere generazioni, inclusa la vostra (qualunque essa sia). Marion e Howard Cunningham sono l’Adamo ed Eva della genitorialità seriale. Il manuale d’istruzione ideale per mettere su famiglia. Indubbiamente una serie tv non ha il potere di influenzare le nostre scelte di vita. Ma è innegabile che può contribuire a creare dei modelli sociali di riferimento a cui ispirarsi (o da cui fuggire).
Dopo tutto, Happy Days nasceva per veicolare alla nazione l’immagine della famiglia ideale rifacendosi al mito dell’età dell’oro coltivato negli anni Cinquanta. Mentre Marion è la roccia che la tiene unita, l’angelo del focolare, Howard è il prototipo del capo famiglia, il protettore, il guardiano. Ha ricevuto un’educazione militare, è un piccolo imprenditore operoso ed è colui che porta i pantaloni e la proverbiale pagnotta a casa. Ama il golf e il cibo ed è raffigurato come un padre comprensivo, che vuole sostenere i suoi figli sia per renderli felici, sia per insegnare loro le conseguenze delle proprie azioni. Discute spesso con loro, e con Marion, ma resta un uomo semplice, amorevole e cordiale.
Gli anni Ottanta sono l’epoca d’oro per la famiglia perfetta medio borghese di stampo patriarcale. Lei è una casalinga, lui è un lavoratore onesto e laborioso che fa tutto per mettere il pane in tavola e assicurare un futuro alla propria famiglia. Negli stessi anni arrivano George e Louise Jefferson (I Jefferson, 1975 -1985), una delle prime sit-com mainstream con un cast multietnico. Lui è un imprenditore ambizioso, lei è una casalinga e volontaria in un consultorio. Fuori casa, lui è un uomo scaltro, uno squalo. Invece tra le mura domestiche è un padre e marito amorevole.
Mentre nelle serie tv drama o nelle comedy trovavamo spesso nuclei familiari non convenzionali, con ragazze madri, padri vedovi oppure orfani, il modello famigliare di riferimento per chi produceva e scriveva le sit-com è stato, e in qualche modo continua a essere, il nucleo familiare (cosiddetto) tradizionale. Eccezioni che confermano la regola a parte. C’erano la famiglia ideale, con i propri guai, e i cattivi esempi, cioè le famiglie da non emulare e le famiglie “moderne”, sui generis, insomma le eccezioni.
Una svolta “casalinga”
Le personalità, i ruoli e le responsabilità dei papà seriali sono evolute dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. A partire dagli Ottanta, il papà è ancora il capo famiglia a cui spetta il compito di portare i soldi a casa e disciplinare i figli, ma è certamente più affettuoso e molto più presente nella vita familiare. Almeno rispetto al modello di padre più intransigente proposto nei decenni prima. La struttura familiare restava comunque invariata, sebbene iniziassero a cambiare diversi elementi significativi, primo fra tutti la moglie in carriera.
In Genitori in Blue Jeans (Growing Pains), Jason Seaver, ad esempio, si trasferirà nel suo studio a casa per occuparsi dei figli proprio perché sua moglie aveva deciso di tornare al lavoro. Growing Pains arrivava nel 1985, a un anno da Who’s the Boss e Charles in Charge, altri due show in cui i personaggi maschili ricoprivano dei “ruoli domestici”, passateci il termine, che precedentemente venivano interpretati solo da personaggi femminili. Finalmente anche la televisione, malgrado la serialità fosse ancora un genere minore, iniziava a parlare il linguaggio del mondo reale. Papà Seaver ha debuttato, dunque, nel momento in cui diventava sempre più comune vedere gli uomini infrangere le consuete norme di genere. Il suo carattere mite, comprensivo e amorevole ha stregato il pubblico, tanto da imporsi come una nuova figura genitoriale di riferimento.
Confermare o ribaltare il risultato
Insomma lo standard per le sit-com era, e forse è ancora, quello della famiglia cosiddetta tradizionale. A volte la regola viene consolidata, altre viene rovesciata. In ogni decennio, quindi, a fianco dei buoni esempi coesistono i cattivi esempi oppure le famiglie sui generis. Uno schema che ritroviamo anche nelle situation comedy all’italiana. Tra gli esemplari più amati di sit-com dad troviamo, oltre a quelli menzionati, Dan Conner (Roseanne), un padre di famiglia amorevole, accomodante, divertente e spiritoso. Steven Keaton di Family Ties, Martin Crane di Frasier, Carl Winslow di Otto sotto un tetto, Louis Huang di Fresh Off The Boat oppure Philip Banks, il quale diventerà per Will una figura paterna vera e propria in The Fresh Prince Of Bel-Air. E ancora Tim Taylor di Home Improvement, che malgrado i difetti, s’impegna a mantenere un rapporto sano con i figli; Dr. Heathcliff Huxtable di The Cosby Show, Ray Barone di Everybody Loves Raymond o Michael Kyle di Tutto in famiglia, con la sua psicologia inversa. Tradizionalisti e patriarcali sì, “portano i pantaloni”, certo, sono “il capo famiglia”, anche, ma senza dubbio il buon esempio di padre nelle serie tv di genere sit-com è amorevole, simpatico, scherzoso e presente.
Tra i cattivi esempi, invece, c’è sicuramente Al Bundy di Sposati… con figli (1987 – 1997), un misantropo, afflitto dalla cosiddetta “maledizione Bundy”, condannato a una carriera poco gratificante e a una vita familiare misera; è lo zimbello di casa, un padre da deridere. A partire dagli anni Novanta arrivano una carrellata di esempi discutibili tra cui Homer Simpson, Stan Smith di American Dad e Red Forman di That 70s Show e i suoi seri problemi di rabbia; Frank Reynolds di It’s Always Sunny In Philadelphia, noto per una pronunciata insensibilità; le tendenze manipolatorie e patriarcali di George Sr. in Arrested Development (in opposizione a quelle di Michael Bluth); la tossicità di Frank Costanza di Seinfeld; i padri assenti, come Roger Peralta di Brooklyn Nine-Nine o Alvin in Mom; troviamo il male assoluto, come Rick Sanchez di Rick and Morty e via discorrendo. L’inadeguatezza e i lati oscuri del sit-com dad diventano così il motore comico principale dello show. Eppure c’è poco da ridere perché la loro abbondanza riflette più problemi sociali di quanti ne immaginiamo.
Il padre nelle serie tv: un altro figlio da accudire?
Un tratto in comune che, tristemente, emerge in ogni padre nelle serie tv di genere sit-com, anche tra i più esemplari, è una certa indole fanciullesca, lievemente immatura. Gli esempi sono tanti. A contendersi il titolo di Re dell’immaturità troviamo Phil Dunphy di Modern Family, un padre eccezionale, certo, ma pur sempre un eterno Peter Pan; Hal Wilkerson (Malcolm In The Middle), di buon cuore, sensibile, ma inetto e talvolta meschino anche con i figli; oppure Jim de La Vita secondo Jim, un figlio da accudire. Tra gli anni Novanta e Duemila, per trovare una figura maschile genitoriale davvero adulta e matura bisogna cercare tra i padri single, insomma gli scapoloni d’oro alla Maxwell Sheffield de La Tata. Per altri padri single (o vedovi) non possiamo non pensare a Daniel Ernest “Danny” Tanner di Full House (1987 – 1995), il quale rimase con tre figlie da crescere dopo la morte della moglie. Tra le sue caratteristiche ritroviamo l’ossessione per la pulizia e la tendenza a comunicare in maniera sana e aperta con la prole. È l’archetipo del “papà poco cool” che aspira ad essere un padre “più cattivo”, sebbene le sue figlie non siano affatto d’accordo con lui.
Avete fatto caso, invece, che quando ad essere single è la madre, nelle sit-com, questa viene spesso dipinta come un cattivo esempio? Eterno bambino per eccellenza è, ovviamente, Ross Geller di Friends, la cui parole sembra più un danno collaterale. Infine, il Re dei sit-com dad immaturi è senza dubbio lui: sua maestà Homer Simpson. Seguito da Ted Mosby di How I Met Your Mother, in certo modo anche Howard Wolowitz di The Big Bang Theory e, ovviamente, da Peter Griffin e Baxter di Mom. Le sit-com ci hanno regalato dei padri formidabili, tanto perfetti da sembrare finti. Tuttavia il padre nelle serie tv di genere sit-com che prevale in questi ultimi quarant’anni sembra essere quello la cui caratteristica primaria è una certa ingenuità e immaturità di fondo. Non si tratta di cattivi padri, ma di adulti immaturi la cui moglie, spesso, funge anche da madre. Nel 2021 arriverà Kevin Can F**k Himself, una black comedy pungente che gioca con intelligenza proprio con gli stereotipi di genere perpetrati a lungo nelle sit-com più famose e dove Kevin – il Jim bambinone della situazione – è un cancro da estirpare.
Modern dad
Per una sit-com carica di una ventata di modernità dovremo aspettare Modern Family (2009-2020), in cui c’è una magnifica variazione sul tema della genitorialità maschile. Un segno importante dei tempi che vogliono cambiare anche per quanto riguarda la rappresentazione del padre nelle serie tv. L’intrattenimento televisivo ha sempre camminato lungo lo stesso binario dei cambiamenti sociali. E negli ultimi vent’anni i nuclei familiari sono cambiati tanto, per fortuna. Oltre allo sdoganamento delle famiglie omosessuali e monogenitoriali, anche la cosiddetta famiglia di stampo patriarcale ha subito forti scossoni.
Nel 2003 arriva Two and a Half Men, in cui i confini dei ruoli di genere si fanno sempre più sfumati. Nel 2009, invece, arriva The Middle con un padre, Michael Heck, molto presente che non è né un buono né un cattivo esempio. Nel 2017, invce, arrivava Elliot Birch (Big Mouth) a sgretolare le norme della mascolinità tossica mentre nel 2021 troviamo un’insolita relazione padre-figlia in Mr. Mayor con Ted Danson nei panni di Neil Bremer. La sit-com, da sempre considerata come il luogo d’elezione della famiglia tradizionale, potrebbe sembrare quindi un essere in via d’estinzione. Se non fosse che ha trovato nuovi meccanismi umoristici da sfruttare. In un panorama seriale sempre più variegato, anche la sit-com si sta rinnovando proponendo nuovi schemi dove c’è sempre meno spazio per ruoli predefiniti e stereotipati per favorire invece delle interpretazioni più libere, anche per il padre nelle serie tv.
A mano a mano, le eccezioni diventeranno la regola
Nella sit-com classica degli anni Ottanta e Novanta, il padre poteva essere “il padre modello”, “il padre spiritoso”, “il padre fannullone”, il “cattivo padre”, “l’eterno fanciullo” e così via. Il suo essere padre era sempre accompagnato da una caratteristica marcata da cui spesso nasceva l’umorismo. Per molto tempo si è imposta la figura del “padre immaturo” (sostanzialmente buono, ma da accudire come un figlio). Finché anche nella sit-com, così come nella società, le figure genitoriali maschili sono evolute in favore di un ruolo sempre meno bidimensionale e sempre più partecipativo. La sit-com tradizionale ha dunque iniziato a sgretolarsi perché non era più in grado di leggere la realtà.
Così, per fortuna, anche le sit-com hanno iniziato a inseguire delle rappresentazioni paterne sempre più svincolate dai cliché, in cui ciascun personaggio viene sviluppato senza fare riferimento a dei modelli rigidi e preconfezionati. Sebbene ancora permangano. Se è vero, come abbiamo visto nell’altro articolo, che non siamo ancora riusciti a liberarci del tutto della sit-com wife, sembra tanto che il sit-com husband stia vivendo una sorta di rinascita, intenzionato ad abbattere gli stereotipi di genere che lo incasellavano e ad affermare il proprio modo di vivere la genitorialità. Nuovi modi di essere (o non essere) genitori, come vediamo in Breeders, Workin’ Moms, Catastrophe, Children Ruin Everything, Close Enough, Single Parents e così via.
Gli esempi sono ancora pochi, ma sembra tanto che per la figura paterna nella sit-com sia iniziata una nuova era.