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Potreste non aver mai sentito parlare di Moonlighting. O meglio: è molto probabile, nel caso in cui abbiate meno di quarant’anni. Ed è un peccato: in onda sulla ABC tra il 1985 e il 1989, è ricordata per vari motivi dagli storici della tv e dal pubblico più maturo. Il principale è legato a Bruce Willis: Moonlighting, serie di cui era il protagonista in tandem con Cybill Shepherd, lanciò infatti la sua carriera. Fu il trampolino di lancio ideale: la serie, infatti, ebbe un successo eccezionale per diversi anni e mise in luce il suo talento eclettico.
Un altro è connesso alle modalità di scrittura della serie, particolarmente innovative per il tempo (e non solo). Ideata e sviluppata da Glenn Gordon Caron, si distinse per un approccio metanarrativo visionario e per una costante rottura della quarta parete che univano in una sola sfera gli universi narrativi e reali dell’esperienza televisiva. Era per molti versi House of Cards che incontrava Community, se dovessimo inoltrarci in paragoni meno impropri di quanto si possa pensare: Moonlighting, però, lo fece trent’anni prima. E con chiavi ancora più estreme.
Per dirla in modo semplice: i protagonisti di Moonlighting erano parte di una storia in cui erano consapevoli di essere parte di una serie tv e non della vita reale.

E ancora: I dialoghi erano veloci e serrati, figli della tradizione screwball anni Trenta e Quaranta, più volte citata. Quelle commedie puntavano su botta e risposta imprevedibili, personaggi bizzarri ed evoluzioni spiazzanti: Moonlighting riportò quello spirito in tv con ambizione e consapevolezza.
Insomma, è chiaro: Moonlighting si era messa in testa di essere un unicum nel panorama televisivo, e per molti versi è rimasto tale anche in seguito.
Procedurale all’apparenza, in realtà era una dramedy sperimentale che giocava coi generi: dal noir a Shakespeare, fino a un episodio introdotto da Orson Welles. Quasi tutto era possibile, con sorprendente coerenza interna. Aveva al centro, soprattutto, una grande dinamica sentimentale tra i due protagonisti. Qualcosa di classico, all’apparenza. Niente che non si fosse mai visto in tv e che, soprattutto, si è poi visto in ogni modo in seguito: Dave e Maddie erano profondamente diversi e avevano un rapporto a dir poco burrascoso, caratterizzato da accesi conflitti costanti. Latente, però, covava un grande amore: i due erano destinati a diventare una coppia, ma gli unici a non rendersene davvero conto erano loro stessi.
Ecco, questo fu uno dei veri motivi del successo di Moonlighting.
Certo, c’era la scrittura raffinata di Glenn Gordon Caron, capace di costruire una dinamica classica con due personaggi sorprendentemente autentici. C’era anche la loro chimica, così forte da superare i confini dello schermo e confondere realtà e finzione. Ma, in fondo, il cuore di quel cult anni Ottanta stava in qualcosa di molto più semplice, almeno per il pubblico di massa: la tensione romantica tra i due protagonisti. Una tensione in nuce, covata per stagioni e foriera di un sentimento in cui gli spettatori si riconoscevano fortemente. La stessa che ha fatto le fortune di un’infinità di serie tv: il caso principe rimarrà sempre Friends coi suoi Ross e Rachel, ma in fondo è un pattern talmente diffuso da rendere superfluo il conseguente lungo elenco.
Arriviamo quindi al punto. Tra le altre cose, infatti, Moonlighting è ricordata per una presunta “maledizione”, riportata negli anni in un’infinità di articoli e di conversazioni pubbliche.
Ovvero: a un certo punto gli autori decisero di risolvere la tensione e rendere Maddie e David una coppia. Secondo la vulgata, da lì la serie crollò: una volta “appagata” l’attesa, il pubblico avrebbe perso interesse, fino alla cancellazione dopo cinque stagioni. Ma è davvero così? Oppure i motivi furono altri?
Spoiler: furono altri, ma fino a un certo punto.

Dobbiamo partire da una premessa persino banale: lo sviluppo di una dinamica sentimentale del genere ha una forza attrattiva irresistibile per il grande pubblico. Appagarla è quindi un rischio per un qualunque autore, che si parli di serie tv o di tutto il resto. E non è un caso che un’infinità di film e serie tv abbia tratto grandi fortune da questo semplice pattern.
La tensione romantica latente piace al pubblico perché è una delle forme più pure e universali di attesa. È il desiderio raccontato prima di diventare realtà, e in quella sospensione si concentrano tutte le emozioni più potenti: curiosità, speranza, frustrazione, immaginazione. Finché la relazione non si compie, lo spettatore può proiettarsi dentro di essa, idealizzarla, viverla come possibilità. Ogni sguardo, ogni battuta, ogni momento interrotto diventa un piccolo cliffhanger emotivo. È una forma di suspense sentimentale che funziona come un motore narrativo inesauribile, perché promette costantemente qualcosa che non arriva mai del tutto. Quando invece la coppia si forma, quella tensione si spegne e subentra la quotidianità. Più vera, ma anche più difficile da raccontare. Per questo l’attesa del bacio, più del bacio stesso, è spesso ciò che tiene viva una serie.
Eviteremo di tirar fuori la solita citazione attribuita al drammaturgo e filosofo tedesco Gotthold Ephraim Lessing, a questo punto. Se il riferimento dovesse risultare troppo audace, eviteremo anche di tirar fuori una delle campagne pubblicitarie più diffuse degli ultimi anni: buon aperitivo a tutti.
In ogni caso, è evidente: è uno strumento narrativo che funziona e funzionerà sempre. Così come saremo sempre coinvolti, a ogni età, dall’idea di un flirt che possa sfociare in qualcosa di concreto: una notte d’amore, oppure un amore che durerà per tutta la vita. Una volta che la vivremo, tuttavia, rischierà di essere meno appagante della sua idealizzazione preventiva. Tutto ciò per dire che la decisione di fare di Maddie e Dave una coppia fu piuttosto rischiosa fin dalle sue premesse.
Un rischio che risultò vincente, in un primo momento: l’episodio della terza stagione in cui i due si misero insieme, “I Am Curious… Maddie”, fu uno degli episodi più attesi e visti dell’intera serie. Un’attesa che fu alimentata anche da una campagna promozionale speciale: alla faccia degli spoiler alert oggi imperanti, l’evento fu infatti annunciato in anticipo e generò un hype notevole che si riflesse nello straordinario successo della puntata. Altri tempi, decisamente: tuttavia, quello fu l’inizio della fine. Dopo averli messi insieme, infatti, la serie entrò in una nuova fase della sua storia, molto meno fortunata della prima. Da qui nasce l’idea della maledizione: secondo i sostenitori della tesi, la serie avrebbe esaurito la sua forza attrattiva nel momento in cui diede al pubblico tutto ciò che desiderava da essa. Perché continuare a guardarla, allora?
Così, almeno, si domandarono gli analisti che si ritrovarono ad assistere al rapido crollo degli ascolti di Moonlighting.
Un crollo verticale, con pochi eguali: a quanto pare, di Dave e Maddie non fregava più niente a nessuno, dopo esser diventati una coppia. La verità, però, è un’altra: la scelta avventata di risolvere l’enigma e immergere i due in una relazione stabile fu solo parte dei problemi che da lì in poi penalizzarono non poco la serie.
Una minima parte, a dirla tutta: le cronache del tempo e le ricostruzioni successive mettono in luce le notevoli problematiche che affrontò la serie. Le vicissitudini produttive di Moonlighting furono quasi leggendarie e finirono per pesare quanto la sua stessa trama. Dietro l’ironia brillante e la tensione romantica che aveva conquistato milioni di spettatori si nascondeva infatti un set caotico, dominato da ritardi, riscritture e tensioni personali. Cybill Shepherd affrontò una gravidanza durante la quarta stagione, costringendo la produzione a riscrivere molte sceneggiature e limitando non poco lo screentime che la vedeva in scena insieme al partner.
Bruce Willis, nel frattempo, era ormai lanciato verso il cinema: tra il 1987 e il 1988 girò Die Hard, il film che lo avrebbe trasformato in una star mondiale. La sua crescente assenza mise a dura prova il già fragile equilibrio della serie. A questo si aggiungevano gli attriti tra i due protagonisti che si riflettevano nel clima teso sul set, e le difficoltà nel rispettare i tempi di lavorazione: gli episodi venivano spesso completati all’ultimo momento, tanto che la ABC fu costretta più volte a mandare in onda repliche per mancanza di nuovi materiali. Quando poi pure il creatore Glenn Gordon Caron lasciò la serie dopo divergenze creative, Moonlighting perse la sua voce più importante. Le stagioni successive divennero sempre più irregolari e la lunga pausa dovuta alla maternità di Shepherd fece allontanare gran parte del pubblico.
Al ritorno, l’alchimia che l’aveva resa un fenomeno culturale sembrava svanita.
La quinta e ultima stagione si chiuse nel 1989 con un episodio metanarrativo, in cui la stessa cancellazione dello show diventava parte della trama: un epilogo amaro per una delle serie più innovative e sfortunate degli anni Ottanta.
Insomma, la presunta “maledizione” assume così contorni ben diversi: i problemi produttivi furono più che rilevanti. Oltretutto, è giusto domandarselo: davvero una serie tanto innovativa si arenò di fronte all’incapacità di rendere altrettanto intriganti le dinamiche di coppia tra i due protagonisti, dopo aver suggellato il loro amore? A tal proposito, è piuttosto interessante un commento pubblicato da un utente su Reddit a proposito della crisi di Moonlighting.
Ve lo riportiamo integralmente perché rappresenta una sintesi utile per la nostra analisi: “La versione più semplice è che gli autori fossero a loro agio nel lavorare con la tensione del “lo faranno o non lo faranno” e non sapevano cosa fare una volta che si fossero messi insieme. Spesso le coppie si lasciano per un dramma di basso livello. Raramente si vede una serie che riunisce una coppia e la rende interessante. Mi è piaciuto che Firefly iniziasse con due dei personaggi già sposati. È la prova che si può raccontare una buona storia anche dopo il matrimonio”.
E ancora: “Una buona scrittura farà sì che i personaggi conservino i loro successi, trovando al contempo nuovi drammi e nuove sfide. Hai avuto la grande occasione, ora devi mantenere il tuo posto. Hai conquistato la ragazza? Ora hai la relazione. Hai messo su famiglia? Ora hai le responsabilità familiari. Devi destreggiarti tra lavoro e vita familiare. Hai rovesciato il regno di qualcuno? Ottimo. Ora devi capire come governare al suo posto”.
Niente di più condivisibile: se da un lato è evidente che sia più semplice creare un intrigo sullo stato di instabilità di una relazione amorosa, latente o fragile che sia, dall’altra è altrettanto vero che si possano raccontare grandi storie anche con coppie stabili.

Consolidare il loro rapporto, e farlo all’interno di un percorso in cui mutano le sfere d’interesse ma non muta l’interesse stesso. Friends, per esempio, trasse grande forza da entrambe le soluzioni: Rachel e Ross “lo fanno” dopo averlo “sfiorato” a lungo, ma dopo un primo periodo daranno vita a un tira e molla che si protrae per svariate stagioni, fino alla puntata finale. “Cadono” nella trappola di Moonlighting, ma poi ricreano la tensione con soluzioni continue.
Nella stessa serie, però, troviamo quanto di più contrapposto ci sia a Dave e Maddie: Chandler e Monica “lo fanno” senza alcun preavviso, salvo poi dare vita a una delle storie d’amore più belle che si siano mai viste sul piccolo schermo. Cosa dire di How I Met Your Mother, allora? al di là di alcune fibrillazioni iniziali, Marshall e Lily sono stati una coppia solidissima, dall’inizio alla fine. Questo li ha resi meno interessanti? No, affatto. Nella stessa serie, però, Ted e Robin sono stati i Ross e Rachel della situazione, e altrettanto potremmo dire per Robin con Barney. Interessanti sì, ma in modo diverso: la gestione del percorso è molto più importante della risoluzione di un enigma, se i personaggi sono vivi e si connettono emotivamente a noi.
Potremmo fare un’infinità di esempi in un senso o nell’altro.
Negli stessi anni di Moonlighting, Diane e Sam diedero vita a una delle storie d’amore più frustranti della tv nelle prime stagioni di Cheers: “lo fanno”, ma poi “non lo fanno più”. Nel suo spin-off, Frasier, abbiamo però patito per sette stagioni al fianco di Niles e Daphne: dopo “non averlo fatto per anni”, a un certo punto “l’hanno fatto davvero”. E a quel punto non si sono lasciati più. Ciò non li ha resi meno interessanti: svanita la tensione, è emersa la costruzione di una quotidianità altrettanto suggestiva e romantica, seppure meno tormentata.
L’impressione, in definitiva, è che la “maledizione di Moonlighting” sia quantomeno pretestuosa. La serie ha avuto altri problemi e non ha saputo reinventarsi dopo aver messo da parte il principale elemento attrattivo.
Questa è una lezione per tutti gli autori di serie tv: mettere insieme una coppia dal destino tormentato può diventare un autosabotaggio solo per chi ne fa il vero fulcro emotivo dell’intero racconto. Oppure, può diventare il peggiore dei limiti anche per gli autori più visionari: vista la straordinaria spinta innovatrice della serie, è evidente che l’amore tra Dave e Maddie fosse parte di un mosaico più ampio, ben più complesso, ma è tutto ciò che il grande pubblico desiderò da essa. Questo l’ha portata rapidamente sulla via del tramonto, dopo aver scritto alcune tra le pagine più significative della televisione negli anni Ottanta.
Il resto è storia. Una bella storia. La storia di una serie tv che presenta alcune tra le più puntate più apprezzate di sempre, che ha dato vita a una delle coppie più iconiche del panorama televisivo e che saputo attraversare mezzo decennio televisivo con una personalità rara: un’audacia notevole, persasi tra le righe di una passione dominata dall’attesa e dalla necessità di sospenderci sul ciglio di una scogliera, tra un cliffhanger e l’altro. Quando si ritrova un terreno saldo, il rischio di annoiarsi diventa concreto, ma no: il punto non è mai solo uno, in casi del genere. Quella di Moonlighting è allora una bella storia, sì. Una bella storia, finita male. Non per questo, però, maledetta.
Antonio Casu







