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4 Miniserie di qualità purtroppo ancora semisconosciute in Italia

Happyish

Si è scritto e visto tanto sul concetto di felicità, ma è impossibile darne un senso univoco perché ognuno di noi potrebbe attribuire un significato diverso al termine stesso. C’è chi dice che è reale solo quando è condivisa o che essa è amore puro o ancora, che è il raggiungimento dei nostri obiettivi. Thomas Payne, protagonista di Happyish, si chiede esattamente questo: che cos’è la felicità al giorno d’oggi?

Thomas è un pubblicitario quarantenne che lavora per una grandissima e nota azienda, ma quando vengono nominati due giovanissimi svedesi come direttori creativi, è costretto a fare i conti con uno scontro generazionale. I due nuovi arrivati sono molto giù giovani di lui e usano slogan e linguaggi da millennial, per di più sono arroganti e ambigui agli occhi di Thomas. Questa situazione gli provoca uno stato di angoscia e finisce per porgli quesiti esistenziali: il cambiamento fa paura? Come procede la sua vita? E il suo matrimonio è stabile?

Happyish cerca di disegnare il disagio di un uomo e della sua famiglia attraverso l’uso della dark comedy e ci riesce magistralmente, regalandoci un parere nobile: più che inseguire la felicità, dobbiamo scappare dall’infelicità. L’essere al passo con i tempi sembra essere la regola generazionale ma Thom e sua moglie Hahn cercano, invano, di cambiare questa rotta con coraggio e dedizione.

Il tessuto narrativo dell’opera sembra riprendere appieno il motto di Tomasi di Lampedusa: tutto cambia affinché nulla cambi. Lo sanno bene i protagonisti, braccati da quegli stessi atteggiamenti di massa da cui tentano di scappare. Happyish mostra una società schiava e in caduta libera verso social e dinamiche virtuali, una realtà sempre più invadente è limitata dalla subordinazione della privacy. L’originalità della serie sta nel giusto equilibrio tra commedia e dramma, tra satira e condanna, riuscendo così a darci un’immagine inedita sulla contemporaneità.

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