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Cuori è la fiction Rai che tutti i fan di Boris (non) hanno sempre desiderato

Cuori è una fiction Rai partita con ottime premesse: il medical drama, il fascino dei “meravigliosi anni 60” e la lotta al #gendergap.

Di cosa parla Cuori? Di tutto ciò che vi aspettate: medici bravi, empatici e appassionati e ovviamente di un triangolo amoroso.

Pur se le vicende narrate sono romanzate, in realtà Cuori si ispira anche a una storia vera e a personaggi che sono realmente esistiti.

Ci troviamo alla fine degli anni ’60, Cesare Corvara è il primario del reparto di Cardiochirurgia dell’ospedale “Le Molinette” di Torino, col sogno di guidare una equipe elitaria che darà vita al primo trapianto di cuore in Italia.

Anche negli anni ’60 ci sono i “cervelli in fuga” e il dottor Corvara (Daniele Pecci), richiama in patria l’astro nascente della cardiochirurgia Alberto Ferraris e Delia Brunello, cardiologa dotata di enormi capacità diagnostiche, pensate che capisce le patologie cardiache solo ascoltando i battiti del cuore perché ha l’orecchio assoluto come Ciro, dei “Neri per Caso“.

Dobbiamo dire che il dottor Corvara non è: “il solito eroe piatto, bidimensionale, ecco… non è il solito, se posso dire, droide protocollare” e questo ci piace molto.

Sceneggiatori vogliono che il primario sia sposato con la dottoressa Brunello, Pilar Fogliati, che tempo prima doveva congiungersi in matrimonio con il delfino di Corvara, Alberto Ferraris, interpretato da Matteo Martari.

Basito

Ed eccolo qua che fa subito la sua apparizione un topos imprescindibile per la fiction italiana: il triangolo amoroso, con donna contesa e combattuta tra “mente e cuore” (più di Nino D’Angelo, autore della celebre canzone).

Ma si sa, al cuor non si comanda.

Pilar Fogliati è stata chiamata dalla Rai per interpretare il ruolo di una donna emancipata: dottoressa, specializzata in Texas, che combatte il patriarcato e sfida il bigottismo degli anni ’60 a colpi di minigonna.

Delia è una donna capace e sicura di sé che fin da subito si prodiga non solo per integrarsi nel nuovo ambiente, ma per far valere la propria professionalità in un luogo dove l’opinione maschile predomina e prevarica.

Mille applausi alla Rai che vuole inserire dei temi molto attuali, come il “gender gap“, la lotta al patriarcato, la difficoltà delle donne di conciliare vita lavorativa e familiare, in un’ epoca storica in cui indossare la minigonna e farsi i capelli corti alla Twiggy era il massimo della trasgressione. Non ci riesce fino in fondo, purtroppo: inserisce ma non approfondisce.

Immaginiamo gli sceneggiatori di Cuori che, come quelli di Boris, tra una battuta di pesca e una partita di tennis, si domandano: “Ao, dobbiamo inserire il “gender gap“? Inseriamo sto gender gap!”.

Cuori prova ad essere una serie originale pur non puntando su grandi cambiamenti nel canone di genere: ci sono casi diversi ogni puntata, le innovazioni medicali che definiscono il talento dei medici protagonisti, i momenti più leggeri e quelli più romantici e il già citato triangolo amoroso con tanto di mistero.

La fiction è ambientata nell’ospedale “Le Molinette” di Torino, non a “Villa Orchidea” e purtroppo nemmeno tra le corsie malandate della sanità pubblica di “Medical Dimension“.

A differenza di “Gli occhi del Cuorel’estetica della fiction Cuori è veramente curata, efficace ed accattivante.

Il mondo evolve e, nelle fiction italiane, si introducono nuove tematiche sociali e si dedica maggiore cura alla regia e fotografia, anche se a noi orfani di Boris, manca molto lo “smarmellamento“, che è evocativo e, cosa non da poco, ringiovanisce.

Da un punto di vista estetico ma anche tecnico si può dire che Cuori sia un prodotto di manifattura raffinata, quasi bello quanto “La Formica Rossa” di René Ferretti.

La fiction ha costumi e ambientazioni bellissimi e pienamente rispondenti all’epoca storica che si rappresenta e la fotografia calda ne esalta la finezza, rende bene la storia vintage che strizza l’occhio al presente.

Gli attori non sono incapaci, anzi sono molto credibili, sia i protagonisti, sia quelli che ricoprono il ruolo temporaneo dei vari pazienti che si susseguono nelle diverse puntate. Bravi da lasciare il segno, aspetto di solito abbozzato per mandare avanti la trama principale; insomma nessuno dei figuranti è un “cxxx senza appello” come Alessandro quando interpreta l’assistente sociale omosessuale.

Il tasto F4 (basito) viene schiacciato poco e siamo lontani dalla recitazione drammatica che andava di moda qualche anno fa.

Ci dispiace tanto, però, per le tematiche sociali che all’inizio sembrava dovessero essere sviluppate nel corso delle puntate ma che invece finiscono in secondo piano; lo spettatore viene spinto a focalizzarsi più sugli sviluppi sentimentali che sui progressi in campo scientifico e sociale.

Il triangolo amoroso Corvara, Brunello, Ferrara diventa il vero protagonista della serie che invece, dalle premesse, poteva essere quasi una docu-fiction su un momento di grande crescita per l’Italia sia in campo scientifico che in campo sociale. Si perde l’occasione per raccontare come siamo arrivati a fare il primo trapianto di cuore e tutti i pregiudizi e le difficoltà che hanno avuto le donne per emergere dal focolare domestico e imporsi in ambito lavorativo con ruoli di prestigio prima spettanti solo agli uomini.

Cuori ci sembra un drama più love che medical, ma per fortuna non è melodrammatico.

É, però, una fiction perennemente a rischio di scivolare nella soap-opera; la lotta tra ragione e sentimento si respira più nelle liaison sentimentali che in corsia. Ci sembra essere sbilanciata verso il racconto della sfera personale dei protagonisti più che della loro carriera e del loro sviluppo professionale.

La difficile condizione della donna negli anni ’60 viene ricoperta da una serie di stereotipi di genere che rischiano di vanificare l’importante messaggio di uguaglianza che si cerca di far passare.

Cuori alla fine, come tematica, non si discosta da “Gli occhi del Cuore” che non è altro il manifesto del filone hospital all’italiana, dove i protagonisti assoluti sono i medici, che dediti totalmente alla loro professione, sono gli eroi del nostro tempo e operano in cliniche sempre efficienti e funzionanti. Ambienti insomma ben lontani dalla reale sanità italiana. I veri protagonisti delle fiction con il cuore nel titolo sono sempre i sentimenti e le vicende dei personaggi.

Purtroppo con Cuori, ancora una volta, la fiction made in Italy perde l’occasione di tentare un piccolo cambiamento: i contenuti e le dinamiche narrative stereotipate propongono poche novità in un panorama dove la serialità è oggetto di molto interesse da parte di un pubblico sempre più esigente e attento.

Manca un po’ di “Medical Dimension” in questo Cuori: ci avrebbe fatto piacere un racconto più crudo, realistico e senza moralismi dei problemi della sanità italiana e della condizione della donna.

Ma lo ha capito anche René che “Medical Dimension” è un inganno perché alla fine la fiction vecchia maniera, tutta sole, cuore, amore e locura ci piace ed è ancora il futuro.