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Saranno Famosi – Fame: un titolo che ricorderemo per sempre

Nel 1982, circa 20 anni prima che una nota presentatrice italiana fu costretta a cambiare il nome del suo talent show per questioni di diritti d’autore, dalla costola di un film glorioso del 1980 nasceva una serie tv gloriosa, destinata a lasciare il segno. Parliamo di Fame (tradotto in italiano con Saranno Famosi), un musical drama di sei stagioni creato da Christopher Gore e trasmesso negli USA sulla NBC (mentre in Italia arrivò sulla Rai a partire dal 1983) che rappresenta sicuramente una delle migliori serie tv degli anni Ottanta. Una serie tv iconica che ha alimentato sogni e speranze della Generazione X. Saranno Famosi è stata per la Generazione X quello che 90210 sarà per i Millennials, i quali però hanno potuto continuare a seguire Fame grazie alle repliche che occupavano a oltranza i palinsesti, fino ai primi anni 2000. Una serie tv intramontabile, dunque, scritta con intensità e carattere e sugellata da una colonna sonora indimenticabile, che scatena un’irrefrenabile voglia di fare parkour tra le mura domestiche. Oltre all’opening theme intitolato Fame, cantato da Erica Gimpel e successivamente da Loretta Chandler, la colonna sonora presentava un ensemble di tracce musicali, originali e non, che hanno segnato la storia del pop anni Ottanta; come I Still Believe In Me, tratto dall’episodio Passing Grade, che è stato nominato per un Emmy Award per la Migliore canzone originale. Lo show divenne talmente apprezzato che la produzione organizzò un concerto live che ebbe luogo il 27 dicembre 1983 al Santa Monica Civic Auditorium di Santa Monica, in California. La trasmissione, Fame Looks at Music ’83, andò poi in onda nel gennaio del 1984 in un episodio speciale che annunciava il cast come “The Kids from Fame”. Guest star d’eccezione: Irene Cara, la quale cantò davanti a un pubblico estasiato la canzone vincitrice dell’Oscar, appunto Fame, dell’omonimo film da cui la serie è tratta (I 5 migliori docufilm presenti su Amazon Prime Video riguardanti la vita di cantanti famosi).

Saranno Famosi, un omaggio al talento

Saranno Famosi (640x360)
Saranno Famosi (640×360)

Saranno Famosi non racconta la storia di alcuni giovani talentuosi che ce l’hanno fatta. Non celebra nemmeno il successo, la fama, né l’ambizione in sé. Saranno Famosi è un inno al talento, alla capacità di saperlo riconoscere, non tanto negli altri, quanto in noi stessi. Saperlo valorizzare e coltivare senza mai svenderlo al miglior offerente. Fame mostra però anche i lati oscuri del talento, in campo strettamente artistico, come il sacrificio, le rinunce e le insicurezze. In un’epoca in cui danzare, cantare oppure scrivere erano viste come hobby per privilegiati, Fame ci ricordava il loro valore umano e la loro utilità sociale. Per questo la serie, purtroppo, è ancora tristemente attuale. Lo show ha preso alcuni tra i giovani statunitensi più talentuosi della Generazione X, come i danzatori Gene Anthony Ray e Debbie Allen, e li ha inseriti in un dramma crudo, realistico, divertente e commovente. Molti spettacoli, film e serie tv hanno cercato di replicare il successo di Fame, ma non sono ancora riusciti a catturare davvero l’essenza del musical drama di Christopher Gore; nemmeno Glee. Un’essenza che trascende lo spettacolo. Sebbene il punto forte dello show sia indubbiamente rappresentato dalle coreografie, dai numeri musicali e dai continui riferimenti alle opere teatrali, cinematografiche o letterarie, da Shakespeare a Il Mago di Oz.

Avete grandi sogni. Volete la fama. Ebbene, la fama ha un costo. Ed è proprio qui che iniziate a pagare: col sudore.

Lydia Grant, Saranno Famosi

Al di là del glamour delle coreografie, dei costumi e delle canzoni, il musical drama è uno spaccato realistico degli Stati Uniti del tempo. Ogni puntata affronta una carrellata di tematiche e problematiche sociali spigolose che interessavano la Generazione X, come il consumo di stupefacenti, la discriminazione razziale, la criminalità organizzata, la prostituzione minorile e l’alcolismo. Così, come al cinema facevano West Side Story, Staying Alive, Flashdance e lo stesso Fame, sul piccolo schermo Saranno Famosi utilizzava lo stesso meccanismo: sfruttare lo scintillio delle arti performative per parlare di qualcosa che altrimenti sarebbe stato insostenibile. E la formula funzionò bene anche in televisione. Anzi, dopo una sola stagione Saranno Famosi divenne un’ossessione. La “Fame mania” spopolò in tutto il mondo, in particolare nel Regno Unito. Tuttavia, nonostante la popolarità dello show, i premi prestigiosi e l’approvazione della critica, la NBC decise di cancellare la serie dopo due stagioni. Fu solo grazie a un accordo speciale con LBS Communications che la MGM la riportò in vita, assicurando altre 4 stagioni fino al 1987. Purtroppo, però, pochi attori hanno continuato una carriera di alto profilo dopo la cancellazione (quella definitiva). Ma tanto noi li ricorderemo per sempre.

Eppure ancora vivono nel ricordo collettivo

Gene Anthony Ray, Leroy Johnson, e Carol Mayo Jenkins, Miss Sherwood.
Gene Anthony Ray, Leroy Johnson, e Carol Mayo Jenkins, Miss Sherwood.

Come avviene nel film, anche la serie è ambientata nella School of the Arts di New York (che esisteva davvero: fu fondata da Franklin J. Keller nel 1947 e chiusa nel 1984) e segue la vita degli studenti, delle loro famiglie e degli insegnanti, dei veri e propri maestri di vita. Sebbene l’impianto corale e multietnico della narrazione, la star di punta era senz’altro Gene Anthony Ray (scomparso nel 2003) che indossava i panni di Leroy Johnson, un ballerino di talento e di strada, ma arrabbiato, impetuoso e sempre ai ferri corti con tutti, soprattutto con l’insegnante di inglese, Miss Sherwood (Carol Mayo Jenkins); e poi c’erano l’insegnante di danza Lydia Grant (Debbie Allen) e quello di musica Benjamin Shorofsky (Albert Hague); Carlo Imperato nei panni dell’aspirante comico Danny Amatullo; l’introverso e sensibile pianista e tastierista Bruno Martelli (Lee Curreri); quel vulcano di Doris Schwartz (Valerie Landsburg), un’aspirante attrice; la ballerina Coco Hernandez (Erica Gimpel), e le sue lotte in nome dell’empowerment femminile; l’impacciato Dwight Mendenhall (David Greenlee) oppure la pacata violoncellista Julie Miller (Lori Singer). Potevamo non avere nessuna aspirazione né talento artistici, ma è grazie a un insieme così accurato e strutturato di personaggi archetipici che tutti potevamo sentirci parte della scuola.

Fame è profondamente umana. Ed è forse questo il segreto del suo successo, la cui eco arriva fino ai giorni nostri. In qualche modo potremmo considerarla come l’antesignano dei vari reality e talent show. Malgrado molti esemplari siano tutto l’opposto del concetto evocato dalla parola “reality”. Mentre il format è finito per dare vita a spettacoli ben costruiti per fare emergere “l‘X Factor“, la serie aveva altri intenti e trasudava, e trasuda, verità da ogni poro. Perché Saranno Famosi non parla del desiderio di diventare famosi bensì del desiderio umano, quasi un capriccio, di poter vivere per sempre nella memoria storica. Racconta la straziante paura del fallimento, la ricerca di sé stessi, l’importanza di saper chiedere scusa, di non tirarsi indietro e di saper difendere le proprie idee… pur riconoscendone il limite, quando necessario. Queste e tante altre preziose lezioni di vita, mai gratuite né ridondanti o ampollose, incastonate in una sceneggiatura solida, malgrado uno sviluppo troppo verticale, che si avvale di una costruzione di personaggi così verosimili, è la formula del successo della serie tv, e ancora prima del film omonimo.

Erica Gimpel, Coco Hernandez, Saranno Famosi
Erica Gimpel, Coco Hernandez, Saranno Famosi

Un’essenza preziosa che ha scelto di prendere corpo sotto forma di musical, in una scuola d’arte, ma che sarebbe potuta esistere, e trionfare, anche se la vicenda fosse stata ambientata in una fabbrica o in un’azienda agricola. Oppure in una paper company, come The Office. Fame, infatti, sembra più una workplace dramedy che una “Glee” o un talent show. Anzi, scommettiamo che sarebbe stata il soggetto perfetto per un mockumentary creato da Ricky Gervais e sviluppato da Greg Daniels. Ovviamente con un lussuoso tocco di cringe, che donerebbe al tutto un colore inimitabile. Saranno Famosi è piuttosto una doccia fredda alle nostre illusioni. Non si risparmia mai. Sa essere amara, crudele, drammatica e impietosa, sebbene a volte ci grazi regalandoci delle performance da brivido. Oltre a essere un dramma umano senza tempo, la serie di Christopher Gore è un urlo eterno dei giovani di ogni generazione.

Quelli che rincorrono il sogno di realizzare una società meritocratica, dove il talento e l’impegno vengono riconosciuti. È vero. Bisogna rispettare le regole della New York School of the Performing Arts, impegnarsi e “rigare dritto”. Ma alla fine ogni sforzo verrà ripagato. Una società in cui l’accettazione, la coesistenza e il rispetto verso ogni cultura ed etnia vengono prima di ogni cosa. E ancora, l’importanza per i giovani di avere al proprio fianco dei mentori comprensivi, seppur severi, degli adulti che li guidano e non ostacolano mai né sfruttano. Sopra ogni cosa, però, Saranno Famosi cristallizza l’esigenza umana di poter esprimere sé stessi in piena libertà, senza condizionamenti morali; di poter amare chi si vuole; di poter rincorrere i propri sogni, qualunque essi siano, e di proteggere il proprio estro creativo, in qualunque modo decideremo di utilizzarlo. E tutto questo avveniva in una serie tv dei primi anni Ottanta, in barba a chi oggi considera il fantomatico “politically correct” come un “male” dei nostri giorni.

Saranno Famosi non è una serie tv sul successo né sulla fama. È un grido eterno dei giovani e il monito a essere noi stessi, sempre e comunque.