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Romanzo Criminale 1×12 – Solo il Libanese stava con il Libanese

C’è un’instantanea, quella finale della prima stagione di Romanzo Criminale, che mi è sempre rimasta molto impressa. Tutta la banda arriva sotto casa del Libanese, dove c’è ancora il suo corpo crivellato di colpi. Sono lì, increduli, a prendersi l’acqua addosso come poveri stronzi. Poi, in disparte, arriva Dandi, ben vestito, con l’ombrello a ripararsi dalla pioggia e, in apparenza, meno sconvolto di tutti gli altri.

Questa immagine è prima di tutto uno spoiler di ciò che accadrà nella seconda stagione, con Dandi al sicuro e al riparo dalla pioggia di merda che cade addosso alla banda, mentre tutti gli altri sono lì, annichiliti, sporchi e compromessi, incapaci di reagire. Su un piano però molto più didascalico quella immagine rappresenta una verità incontrovertibile: più o meno consciamente, il Libanese è stato lasciato solo da tutti quanti loro.

Libano, sempre di fretta e senza sosta

Abbiamo conosciuto il Libanese che andava sempre di corsa per sfuggire a una vita che noi definiremmo modesta, per lui sarebbe insignificante. Fin dalle prime battute emerge il suo rapporto con la madre, la persona più importante della sua vita. Le scene a loro due dedicate sono molto poche, ma questo non impedisce alla serie di trattare questo legame in maniera approfondita. Cercare di elevare la condizione sociale sua e soprattutto della madre sarà per il Libanese una costante del suo agire, un tarlo, un’ossessione.

Non è un caso se proprio sotto casa di sua madre troverà la morte, in quella che rappresenta una chiusura del cerchio perfetta, anche se incompleta per lui, anche se amara. Perché effettivamente la madre non vanterà mai uno status da “reggina de roma“, né prima, né dopo, né durante; non metterà mai piede in quella casa “che è na reggia“, né prima, né dopo, né durante. A lei bastava avere suo figlio e una vita dignitosa, ma anche “dignitosa” nell’idea di Libano è sinonimo di “insignificante”.

Se fosse stato un professore di chimica nel New Mexico, probabilmente Pietro avrebbe mosso quel passo di autoconsapevolezza che lo avrebbe portato a dire “I did it for me”. Anche lui, come Walter White e come Gerardo Er Barbaro (il criminale che incontra in carcere, a cui si ispira e che di fatto gli preannuncia la fine in solitudine) tutto quello che ha fatto l’ha fatto – soprattutto – per appagare il proprio ego e dunque fuggire da una periferia che gli stava troppo stretta. E allora via, senza sosta, ma con molta fretta.

Il canto di Natale del Libanese

Eppure, sotto un piano filosofico, non è del tutto corretto asserire che Libano fosse solo. Gran parte della sua vita è stato accompagnato da demoni che ne hanno orientato l’agire e dai quali non riesce a sfuggire. Un po’ come Scrooge, protagonista del Canto di Natale di Dickens, caposaldo della letteratura vittoriana.

La prospettiva di vita della madre rappresenta un po’ il fantasma del futuro. La madre, col passare degli episodi, è diventata un fantasma in senso letterale. Scompare dalla sua vista man mano che la banda cresce. E non è fisicamente presente nemmeno quando Libano la chiama, implorante, “Daje ma’, apri ‘sta cazzo de porta“. Forse non è in casa, forse Libano in preda alla coca non ha nemmeno citofonato , forse dal suo punto di vista è lui (già) il fantasma.

Il fantasma del passato assume le sembianze di Sara, la sua fidanzata da ragazzino. Il loro rapporto si interrompe in maniera traumatica quando la ragazza viene stuprata dagli scagnozzi del Terribile, come vendetta per il furto dell’auto. Un evento dal quale nessuno dei due si riprenderà mai completamente, come dimostra anche il momento in cui Sara riappare nella vita dell’ex fidanzato, per quella che è una drammatica resa dei conti.

Il fantasma del presente è rappresentato da quello stesso Terribile, la cui morte non ha placato la sete di vendetta del Libano e che viene a tormentarlo (proprio come fantasma) in punto di morte. Un po’ perché non è stato lui a infliggergli il colpo di grazia, invitato dal Freddo a non trovarsi sul luogo del delitto. Un po’ perché aver preso possesso delle sue proprietà, delle sue zone di spaccio, dei suoi scagnozzi, non è stato appagante e liberatorio come egli credeva: dai tempi della roulotte al villone del Terribile, il Libanese è sempre stato solo, soltanto in un ambiente più grande in cui la solitudine potesse rimbombare più forte.

Trait d’union tra i fantasmi è quel coltello con cui il Terribile sfregiò Libano mentre Sara veniva stuprata, e che poi gli è stato conficcato nel cuore dal Freddo. Quel coltello che il Libanese pretende di avere nelle sue ultime ore di vita, esigendo che Cip e Ciop (i due agenti dei servizi segreti) sottraessero l’oggetto dal deposito prove. Quello stesso coltello che avrà tra le mani nel momento della sua morte. Ancora una volta per Libano la chiusura del cerchio ha il sapore amaro di una disfatta. Per Scrooge quei fantasmi erano il viatico per la redenzione; i suoi demoni, invece, l’hanno fatto a pezzi.

Il colpo di grazia non glielo ha dato il Nero, glielo ha dato la banda.

Se Dandi aveva già dato prova del suo opportunismo, innescando proprio la vendetta del Terribile contro il giovane Libanese, se Fierolocchio, Scrocchiazeppi, i Buffoni hanno dimostrato a più riprese la loro propensione a essere in balia degli eventi tanto da non fare testo, Libano è stato allontanato anche dagli unici membri della banda che lo amavano per davvero.

Bufalo è caduto a sua volta schiavo dei propri vizi, tanto da diventare una mina vagante negli ultimi episodi della prima stagione, capace di dare sfogo a tutti i suoi istinti e a tutta la sua ferocia. Il Freddo, smarrito quell’ideale sotto il quale era nata la Banda, ha provato per la prima e unica volta ad anteporre i propri interessi personali a quelli degli altri. Il suo ritiro è il punto di non ritorno, il Libanese precipita nel mondo che lui stesso si era costruito. Un mondo dominato dalla cocaina, attraverso cui coltivare la sua paranoia e affogare le sue insicurezze.

“Stavo col Libanese”, urlato in una Roma dei giorni nostri non è solo un richiamo d’appartenenza. È anche l’esternazione di un rimpianto, di chi non ha potuto fare niente per impedire la morte dell’amico. D’altra parte è così che doveva andare: quelli come Libano muoiono da soli, glielo aveva preannunciato Gerardo Er Barbaro.