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Rocco Schiavone è di più. E’ più di qualsiasi cosa si possa immaginare, percepire a un primo impatto col personaggio. E’ il connubio tra il mondo della letteratura e della televisione, tra quello che potrebbe serenamente diventare una pellicola cinematografica e una produzione italiana che annulla la distanza che intercorre tra il mondo delle Fiction e quello del cinema. E’ Rocco Schiavone, e questo potrebbe bastare per presentare il suo personaggio al meglio della sua definizione. Già il suo nome, così imponente ma così sdoganato all’interno della nostra cultura, basterebbe per raccontare la poeticità del suo personaggio. A dispetto di altre Fiction, in questo caso siamo infatti di fronte a qualcosa che è di più e che, in modo forse mai visto prima in questo modo nelle reti Rai, riesce a raccontare le sfumature di un personaggio fatto a pezzi dalla fragilità, dal lutto e dall’apparente apatia che subito si spegne quando torna tra i suoi pensieri la moglie. Rocco Schiavone è un personaggio tirato fuori dai romanzi di Antonio Manzini, ma se qualcuno ci dicesse che la sua storia sia figlia di una corrente letteraria degli anni del Decadentismo ci crederemmo senza troppi interrogativi: perché, ancora una volta, Rocco Schiavone è qualcosa di più.

Grazie a questa produzione è possibile immaginarsi all’interno di un’opera letteraria decadente perché il suo personaggio, così disilluso e privo di qualsiasi aspettativa nei confronti della società, sembra davvero la quinta essenza della poeticità

Rocco Schiavone (640×360)

Quando la narrazione di Rocco Schiavone comincia, inevitabilmente la sensazione che si ha è quella di aprire la pagina di un’opera letteraria il cui protagonista scruta con disillusione il mondo, chiedendosi come mai sia possibile che degli esseri umani riescano a vivere in una società così contaminata dall’ipocrisia, dall’apparenza, dalla finzione che tutto sia sempre giusto al momento giusto. Rocco, con lo sguardo disilluso, guarda il mondo che va a pezzi tenendo per sé la consapevolezza che niente, nonostante qualsiasi ipotetico sforzo, possa risollevare le sorti della superficialità in cui piano piano stiamo annegando.

Rocco Schiavone non voleva diventare grande, non voleva diventare imbattibile. Voleva soltanto allontanarsi dal caos. Il peggio, d’altronde, lui lo ha già vissuto e adesso non gli rimane nulla da perdere. Le sue priorità sono già state fatte fuori, i valori in cui credeva già messi in croce. Soltanto una persona riusciva a renderlo ancora parte di questo mondo, quella donna terrena dal valore spirituale per cui ogni giorno si sveglia la mattina. Proprio quella donna, però, è stata portata via diventando per lui qualcosa che prescinde dal mondo terreno e che abbiamo già conosciuto nel mondo della letteratura. Se Dante aveva la sua Beatrice, Petrarca la sua Laura, Rocco aveva e continua ad avere la sua Marina. La conserva in un angolo di sé, tra un intervallo e l’altro del suo lavoro. Chiede consiglio a lei perché lei è l’unica che può capirlo. Il loro è un rapporto che va oltre il sentimento umanamente comprensibile, un legame indissolubile che prescinde dal tempo e dallo spazio e che, in modo permanente, lo tiene ancora in vita emotivamente.

Se non fosse per lei, Rocco Schiavone non sentirebbe niente. Sarebbe come una macchina senza motore, una strada senza macchina delle 05:00 del mattino. E’ lei che, ovunque sia, riesce ancora a farlo sentire vivo, pur con tutte le disillusioni del caso.

Rocco Schiavone
Rocco Schiavone (640×360)

Schiavone si prende dunque la libertà di scegliere di non credere in niente se non in lei, nelle sue parole e nei discorsi che immagina nella sua testa di poter ancora fare. In un mondo così caotico, pensare di poter ancora parlare con l’anima di qualcuno che non c’è più è forse la sua unica ancora di salvezza, l’unico attimo di pace che egli si ritaglia quando, tra un caso e l’altro, tutto suona sempre più cupo. Ogni delitto da risolvere sembra infatti quasi confermargli ancor di più ciò che ha sempre pensato del mondo. In modo poco velato, è come se Rocco si dicesse che ha sempre avuto ragione, che siamo tutti spacciati, che il male si è oramai mangiato tutto e non c’è più nulla da fare per risolvere questa condizione. Giungere alla risoluzione del colpevole non basta per fare giustizia, e questo lui lo sa bene.

Vendicarsi dei colpevoli della morte di sua moglie non è un’azione che gli restituirà Marina tutta intatta. Lei rimarrà lì dove è impossibile andare a riprendere, e in qualsiasi modo si muova la partita è comunque già persa: perché dopo Marina, Rocco ha perso tutto. Come un personaggio tratto da un’opera poetica, il protagonista di questa storia guarda il tempo trascorrere in modo lento e quasi impercettibile. Per chi soffre, un minuto dura un’ora perché avverte intensamente la mancanza di qualcosa, quel qualcosa che lo fa ragionare, pensare, che non gli fa spegnere mai il cervello. E’ come se Rocco fosse in uno stato di coma cosciente da cui non riesce a svegliarsi, ma che non gli impedisce di sentire.

Il dolore lo invade e non lo lascia andare. E lui, lì immobile, non si chiede neanche più il perché. Non vuole porsi più alcuna domanda, le risposte non servirebbero comunque a riportare indietro Marina. Per riuscire a sopravvivere, immaginerà di poterle ancora parlare, di poter avere ancora quella pacca sulla spalla. Per il mondo non c’è speranza, non ce n’è neanche per Marina. L’unica cosa che rimane è lui, il suo piccolo e tormentato mondo fatto di ricordi e immaginazione, le uniche due cose che riescono a fargli sentire ancora qualcosa. Rocco Schiavone ha ancora molto da dirci, la sua quinta stagione lo ha saputo dimostrare bene. E noi siamo qua, pronti ad ascoltarla: consapevoli che, insieme al suo dolore, le sue parole per noi suoneranno sempre come i versi sofferti di una poesia maledetta.

Rocco Schiavone 5 – Alla prossima, Vicequestore: La Recensione dell’ultima puntata