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The Walking Dead: Daryl Dixon 3×04 – La peggior stagione dello spin-off è servita

Daryl in una scena di The Walking Dead: Daryl Dixon 3

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Personaggi poco incisivi, battaglie accalcate l’una sull’altra e una trama che non stimola minimamente la curiosità: la terza stagione di The Walking Dead: Daryl Dixon 3 è così servita. E quanto ci piacerebbe poterla rimandare indietro al mittente, chiedendole un po’ di carattere in più, sapori più decisi. Perché il condimento qui è piatto e gli ingredienti si confondono tra loro. Le spezie si perdono, e perfino l’impiattamento lascia a desiderare, chiedere a Bruno Barbieri per conferma. Il problema, però, è anche strutturale: The Walking Dead: Daryl Dixon 3 viene distribuita a suon di un episodio alla volta, e questa cadenza con questo tipo di puntate così spente non basta a tenere viva la curiosità fino al lunedì successivo.

Spesso alza la voce senza dire davvero nulla di rilevante; altre volte rimane in silenzio, senza trasmettere alcuna emozione. Non c’è equilibrio, non c’è un modo per trovare una scintilla narrativa all’interno degli episodi. Per questo, arrivati alla quarta puntata, abbiamo ormai pochi dubbi: questa è la stagione più debole di The Walking Dead: Daryl Dixon. Le altre due, pur con i loro limiti, riuscivano quantomeno a incuriosire. Poi, purtroppo, quelle promesse iniziali non venivano mantenute – e per questo abbiamo visto personaggi interessanti uscire di scena senza una vera motivazione – e la stagione ne soffriva. Ma almeno c’erano le fondamenta per alimentare un po’ di sana aspettativa. Qui, invece, tutto è spento. Tutto privo di anima e sapore. Un racconto confuso, che gira a vuoto, senza mai raggiungere una vera destinazione. E proprio per questo motivo offre pochissimi spunti, e nessuno di reale valore.

The Walking Dead: Daryl Dixon 3 non funziona. E le tre puntate prima della fine non sembrano pronte per riuscire a salvare una stagione che ha perso la rotta ancor prima della partenza

Daryl e Carol in una scena di The Walking Dead: Daryl Dixon 3
Credits: AMC

The Walking Dead: Daryl Dixon 3 evidenzia gravi limiti narrativi. Uno dei problemi più evidenti è la totale mancanza di astuzia narrativa: non riesce a rendere accattivanti i pochi espedienti che avrebbero il potenziale per esserlo, appiattisce le storie individuali e concentra la propria attenzione su spunti spesso inconsistenti o banalotti. È il caso, ad esempio, delle relazioni sentimentali che si sviluppano all’interno del villaggio, in particolare quella tra Justina e Roberto. Un amore impossibile che non ha ragione di esistere come tale, ma che la Serie Tv forza artificialmente a diventarlo. Lei, costruita come un’eroina stereotipata, una piccola Mary Sue, si sacrifica per un’altra ragazza, lasciando il villaggio e il suo Roberto, ormai completamente spaesato. Lui sogna di fuggire con lei, di raggiungere gli Stati Uniti, di allontanarsi da quel luogo maledetto. Magari proprio al fianco di Daryl e Carol.

Ed è proprio su di loro che si concentra quello che, a oggi, appare come uno dei più gravi limiti narrativi di The Walking Dead: Daryl Dixon 3

Non useremo mezzi termini. Ciò che stiamo per dire non è frutto dell’impulso, ma di una valutazione lucida e ponderata, maturata nell’arco di quattro episodi. Abbiamo sperato si trattasse solo di un’impressione passeggera, figlia di un contesto già debole e deludente. Ma la quarta puntata ha messo a tacere ogni dubbio: qualcosa non funziona nemmeno con Daryl e Carol. E poco importa quanto abbiano lottato, o quanto lo abbiano fatto con forza e determinazione nel corso di questo episodio. Il problema non è la resa fisica o l’azione, ma il vuoto narrativo che li circonda.

Se davvero – come sostengono evidentemente gli autori – restare in Europa è fondamentale per lo sviluppo della trama, come lo è stato il viaggio a Parigi, pensato per aiutare Daryl a ritrovare se stesso, allora è altrettanto vero che i protagonisti debbano agire, non solo reagire. Devono essere vivi, reattivi, carichi di tensione emotiva. Provare rabbia, entusiasmo, frustrazione, qualsiasi cosa. Non possono limitarsi a essere combattenti silenziosi. E questo, in particolare, riguarda Daryl. Da quando è arrivato in Spagna, non fa altro che mangiare, sistemare la barca e chiedere a Carol di fare un passo indietro rispetto alle pratiche brutali e arcaiche del villaggio.

Se questa è la direzione scelta per gestire un personaggio come Daryl, allora sarebbe stato più sensato cambiare ambientazione, permettere ai protagonisti di tornare a casa e costruire una nuova avventura, finalmente libera dal vincolo del ritorno. Questo avrebbe forse restituito vitalità alla Serie Tv. Invece, purtroppo, nulla di tutto ciò è accaduto: il fulcro delle prime stagioni di  The Walking Dead: Daryl Dixon la riscoperta di sé, la sfida personale, il viaggio interiore è stato completamente abbandonato, lasciando il pubblico con una narrazione spenta, priva di impatto e di reale interesse.

Daryl in una scena di The Walking Dead: Daryl Dixon 3
Credits: AMC

Insomma, The Walking Dead: Daryl Dixon 3 sta fallendo su più livelli, e stavolta sta compromettendo anche la figura cardine dell’intera serie.

Quel Daryl Dixon solido, imponente e profondo che abbiamo imparato a conoscere, è stato ridotto a una sorta di automa, capace di pronunciare solo tre parole: “viaggio, barca, America”. Per tutto il resto, Daryl sembra svanito. Riappare solo quando c’è da affrontare i vaganti, ma nei rapporti umani – o nel confronto con se stesso – è del tutto assente. Ed è proprio lì che vorremmo vederlo tornare vivo, reattivo, autentico. Perché ciò che stiamo vedendo adesso non solo delude, ma tradisce completamente anni di costruzione narrativa. In queste quattro puntate ci è stato mostrato un personaggio irriconoscibile, e tutto ciò che lo circonda non è riuscito nemmeno lontanamente a colmare questa assenza.

Alla fine di questa stagione mancano tre episodi (come sempre su NOW) ma la partita non verrà chiusa chiusa. The Walking Dead: Daryl Dixon 3 è stata infatti confermata per una quarta e ultima stagione. La strada verso l’America potrebbe delinearsi già nel finale della terza, oppure sarà proprio la quarta a raccontare il viaggio di ritorno. Quale che sia il destino narrativo scelto dagli autori, una cosa ci preme più di ogni altra: serve coerenza, serve peso, serve consistenza. Perché questo trascinarsi affannato, questo sopravvivere senza direzione, è ormai diventato davvero insostenibile.

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