ATTENZIONE: seguiranno spoiler sul sesto episodio di The Last of Us 2
“I’m doing a little better than my father did”

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Ognuno di noi è il capitolo di una storia già iniziata. Prima ancora di acquisire un nome proprio, un bambino è già immerso in una rete di sguardi, attese, timori e promesse. Questa rete si chiama famiglia. E si, la famiglia è anche un nucleo biologico, nonché un costrutto sociale con numerose falle, ma è altresì una trama viva in cui si gioca il primo e forse più decisivo incontro tra l’individuo e il mondo. La famiglia, da sempre, è lo spazio simbolico in cui prende forma la nostra identità.
La psicologia ce lo ricorda con chiarezza: è nella famiglia che si sedimentano i primi modelli interni di relazione. Quelli che John Bowlby ha definito “modelli operativi”, e che ci accompagneranno come matrici invisibili per tutta la vita. L’attaccamento sicuro o insicuro, la fiducia nella disponibilità dell’altro, il senso di sé come degno di amore o come soggetto in difetto. Tutto ciò si scolpisce nel volto e nei gesti dei nostri genitori, parenti, fratelli e sorelle, in quella corporeità quotidiana del vivere insieme.
Secondo lo psichiatria Murray Bowen: “la famiglia è un sistema emotivo intergenerazionale, in cui le modalità relazionali si tramandano con una forza che spesso supera la consapevolezza individuale”.
Lo psicoterapeuta Salvador Minuchin, invece, focalizza sulle sue regole implicite della famiglia. Una rete di alleanze, di confini e ruoli che diventano cruciali nella comprensione del funzionamento familiare. A questo si collega anche la teoria dell’attaccamento del medico John Bowlby, già citato, che ha messo in evidenza come la relazione precoce con le figure genitoriali plasmi i modelli operativi interni dell’individuo, influenzando il modo in cui egli si rapporterà agli altri per tutta la vita. Non fa per niente ridere, ma fa profondamente riflettere.
L’essere umano si forma all’interno della famiglia, come essere situato, incarnato in una tradizione, in una lingua, in un insieme di relazioni. Per questo, la famiglia è identificabile anche come laboratorio. Al suo interno, i composti e gli elementi sono la tensione tra norma e libertà, tra cura e conflitto, tra bisogno e dono.
Anni luce lontana dall’immagine fasulla del Mulino Bianco, la famiglia è un gran bel casino. E The Last of Us eccelle quando torna a ricordarcelo.
Dovevamo già intuirlo dal prologo che il sesto episodio di The Last of Us (disponibile sul catalogo NOW) ci avrebbe preso il cuore (di nuovo) e lo avrebbe fatto in mille pezzi (di nuovo). Un prologo che racconta la storia di Joel Miller, fratello maggiore pronto a prendere su di sé le botte del padre per proteggere Tommy. Un padre, poliziotto e ubriacone ca va sans dire, che giustifica la propria violenza quasi come una colpa atavica inevitabile. Eppure, dice lui, sta cercando di fare meglio del suo stesso padre. Joel è adulto adesso, ha perso una figlia e ne ha trovata un’altra. Ha mentito per lei, ucciso persino, di certo non è uno stinco di santo, ma sta cercando di fare del suo meglio. Lì a Jackson, il suo burbero amore trova forma in una “gee-tar”, costruita pezzo per pezzo per il compleanno di Ellie. Abbiamo già preso i fazzoletti.

“If I ever were to lose you
I’d surely lose myself
Everything I have found dear
I’ve not found by myself”
Ossa, corda, legno. Ingredienti di un oggetto mistico che assorbe potere dal linguaggio dell’amore di Joel. In esso, l’uomo dai modi schivi infonde tutto il suo affetto, il suo senso di protezione e le sue cure. Per poi dar loro voce con una canzone, quella “Future Days” dei Pearl Jam. Come Eddie Vedder che scrisse la canzone dopo essere diventato padre per la seconda volta, anche Joel ha con Ellie una seconda possibilità che non vuole in alcun modo sprecare.
La canzone parla di gratitudine, di pace, di vulnerabilità e della speranza di poter affrontare il futuro insieme.
Passa un anno, Ellie ha appena compiuto sedici anni e implora Joel di inserirla nei gruppi di pattugliamento. La loro conversazione varia mentre si addentrano nella foresta, toccando l’inevitabile tasto delle api e dei fiori. Ovviamente inutile dire che a Ellie delle api non potrebbe fregar di meno, ma lasciamo Joel nella sua beata ignoranza ancora per un po’. Dopo la chitarra dello scorso anno, stavolta Joel decide di regalare a Ellie un viaggio nello spazio. Casco in testa e registrazioni d’epoca nelle orecchie, non resta che far partire i razzi. Ed è qui che scatta la consapevolezza di cosa renda tutti questi gesti così intimamente commoventi. Attraverso i suoi doni, Joel concede a Ellie sprazzi di un mondo normale.
Nella desolazione di The Last of Us, dove un’arma sarebbe il regalo logico e necessario, Joel decide, forse contro ogni buon senso, di permettere a Ellie di sognare.
In quella navicella spaziale, divorata dai rampicanti e dalla ruggine, Ellie rimane ancora per un po’ bambina. Quell’infanzia, strappatele con la forza e troppo presto, le viene restituita poco a poco attraverso il linguaggio affettivo dell’uomo che è diventato suo padre. Il dono più grande che Joel fa davvero a Ellie è ridarle un’infanzia. Lungi dal raccogliere l’eredità di suo padre, Joel Miller la rinnega. Certo lo sappiamo, si tratta di un’illusione destinata a spezzarsi bruscamente. Infatti, appena un anno dopo, inizia a emergere un’incomunicabilità tra i due che non è dovuta solo alla “improvvisa” adolescenza di Ellie. La ragazza decide di trasferirsi nel garage, Joel inizialmente contrario la accontenta, anche se non è ben chiaro se la sua sia rassegnazione o senso di colpa.

“Try and sometimes you’ll succeed
To make this man of me
All my stolen missing parts
I’ve no need for anymore”
Ellie ha adesso 19 anni e altrettante domande. Mentre è in pattugliamento con Joel come regalo di compleanno, la ragazza non riesce a fare a meno di chiedersi su quante cose l’uomo le possa aver mentito. Cosa è successo davvero a Salt Lake City? E nulla è più logorante del non sapere. Il confronto tanto atteso deve però essere nuovamente rimandato, dal momento che una chiamata di soccorso spinge i due a mettersi velocemente sulle tracce di Adam e, finalmente, Eugene. Ed è a questo punto che il rapporto tra i due protagonisti di The Last of Us si rompe senza possibilità di ritorno.
La morte di Eugenie è solo l’ultimo dei mattoni che, impilati uno sopra l’altro, formano il muro di bugie che li tiene ormai separati su due lati opposti.
Di fronte al brutale gesto di Joel, ma soprattutto alla promessa infranta, Ellie trova paradossalmente il coraggio per fargli tutte le domande scomode. Lì su quel portico, Joel ammette finalmente la verità e ciò che ha fatto pur salvare Ellie. “I love you in a way you can’t understand”, le dice e noi gli crediamo. Non lo possiamo giustificare, ma possiamo capire perchè abbia agito in quel modo. Tra il mondo ed Ellie, Joel ha scelto Ellie. Si tratta di un amore viscerale, primordiale che lo rende fallibile, proprio come suo padre. Come d’altronde lo sono tutti i genitori. Lo abbiamo già detto, la famiglia è un gran casino.
Di fronte alla straziante verità, Ellie non sa se riuscità a perdonarlo, ma vuole provarci. Ed è questa illusoria speranza a lascirsi emotivamente distrutti, perché sappiamo benissimo che non ci sarà nessuna occasione per il perdono. Solo la morte di Joel, permette a Ellie di capirne le azioni e assolverlo tarsferendo tutta la sua rabbia su chi le ha strappato via la possibilità di un futuro con il padre.