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Swiped – La recensione del film Disney+ sulla fondatrice delle app di incontri

Swiped

Attenzione: evita la lettura se non vuoi spoiler su Swiped

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Swiped è un documentario che non sa di esserlo: è presentato come un film di finzione, con tanto di warning sulla veridicità dei fatti accaduti, ma risulta a tutti gli effetti la storia di una parte di vita di Whitney Wolfe Herd (sul tema era stato relizzato anche un docufilm nel 2018). Co-fondatrice dell’app di incontri Tinder e poi presidentessa e fondatrice di Bumble, app di incontri in cui sono le donne a fare la prima mossa. Swiped esce il 19 settembre su Disney+ (le novità della piattaforma) e la storia che porta avanti promette sicuramente di essere interessante, anche e soprattutto da un punto di vista sociologico e professionale.

Whitney Wolfe (che nel film non è ancora Herd) doveva essere, agli occhi degli autori e della regista Rachel Lee Goldenberg, una paladina di una lotta fin troppo attuale. Quella per la parità dei sessi sul luogo di lavoro e, nello specifico, nel mondo tech, dominato prevalentemente da figure maschili.

Il problema sorge quando tutto questo rimane solo una promessa. Whitnew Wolfe ha affrontato tribunali e gogne mediatiche piuttosto importanti, che hanno impattato sulla sua vita in modo significativo ma che, nel film, vengono piuttosto sminuite. A favore di un sogno americano che si cerca di portare avanti a tutti i costi.

Swiped
credits: Disney+

Come se fosse più importante far vedere che, contro tutto e tutti ce la si può fare piuttosto che farci entrare nella psicologia e nella complessità di quanto questo può comportare. Whitney, interpretata da Lily James (che conoscerete per Pam&Tommy) in Swiped, è una ragazza giovanissima che si ritrova a Los Angeles in un mondo che non conosce e che è, palesemente, più grande di lei. Eppure, riesce a farsi spazio, con espedienti come una chiacchierata sul ciglio della strada o un nome sbagliato sulla targa del posto auto. Espedienti che, almeno a una prima occhiata, sembrano ridurre di parecchio la portata di tutto quello che sta per succedere. E rischiano di ridurre anche la credibilità della donna che viene rappresentata.

Andando, insomma, nel verso contrario rispetto a quello che era lo scopo originale del film.

Ma poi Whitney impara a farsi valere, le sue idee sono rivoluzionarie e i colleghi sembrano cominciare ad apprezzarla per quella che è, il loro capo. Riesce a stringere un forte legame, che dovrebbe avere un forte impatto sulla connessione al femminile, con Tisha (Myha’la Herrold), una delle altre pochissime donne che lavorano nel suo studio. Insomma, il percorso che Whitney fa inizialmente sembra roseo. Quasi fin troppo per prenderlo sul serio.

Il centro nevralgico del film inizia a prendere forma quando Whitney comincia a intuire che nell’ambiente che tanto ha agognato, le donne non hanno la rilevanza che dovrebbero. O che comunque, la tossicità maschilista la fa da padrone anche quando non è legittimata. Il fondatore di Tinder, nome che inventa la stessa Whitney, Sean Rad, la promuove a co-fondatrice. Riconoscendone, quindi, i meriti legati al suo lavoro. Ma subito dopo, a causa di un comportamento tossico di uno degli altri fondatori nei suoi confronti, Whitney comincia a subire ostracismo sul posto di lavoro. I colleghi la additano come incompetente, cominciano a vederla solo come la ragazza di Justin, l’uomo da cui sta subendo delle molestie. E lo stesso Rad, seppur dietro a un viso accogliente, la pugnala alle spalle.

È qui che Swiped comincia a prendere la forma che tanto ci prometteva: la forma di un film sull’emancipazione ma soprattutto sulla lotta ai comportamenti tossici e machisti. Un film su una donna in grado di farsi valere per il suo lavoro ma anche per la sua determinazione.

Swiped
credits: Disney+

Ma anche un film sulla complessità che un tema del genere può generare. Sull’interiorità di una donna che è costretta a combattere per ottenere ciò che le spetta.

Ciò che Swiped prometteva erano sensazioni forti, rabbia e frustrazione, amarezza e disgusto. E anche, perché no, senso di rivalsa. Ma le promesse non vengono esaudite nel modo in cui ci si aspettava. Nonostante il grandissimo lavoro di Lily James (l’unica che riesce realmente a salvare il salvabile) sul personaggio di Whitney Wolfe, Swiped non convince. E la cosa peggiore è che, quando sono questi i temi che si aspettano, rimanere delusi è ancora più difficile e sconfortante. Non è che Swiped non riesca a trattare il tema della mascolinità tossica o della predominanza del maschilismo nel mondo tech; il problema è che lo fa in maniera troppo superficiale. Piuttosto che mostrare luci e ombre di un mondo complicato e intrigato anche legalmente, Swiped predilige un viaggio di un eroina vista e rivista.

Whitney Wolfe sembra incarnare più la protagonista di un viaggio tortuoso, piuttosto che una donna che ha combattuto un sistema. Non si va mai in profondità, le emozioni di Wolfe sono sempre o belle o brutte. Non c’è mai quella zona grigia nella quale si definisce la personalità di una persona ma anche la sua parte più intensa, quella legata all’indecisione.

Wolfe appare sicura di sé oppure fragile. Non la vediamo mai in difficoltà.

E questa mancanza è davvero un peccato per un film come Swiped, che aveva tutte le carte in regola per raccontare una storia (vera) di una donna che ha saputo fare la rivoluzione. Perché, in fondo, è di questo che si sta parlando. Bumble, fondata da Wolfe nel 2014, è ancora oggi una app di incontri rivoluzionaria. E ancora oggi ha la sua importanza sociale e comunicativa. L’intuizione di Wolfe, quella di far fare alle donne il primo passo, è geniale e sovversiva e ridefinisce completamente i termini sociali legati agli incontri online. Nel 2014, come anche oggi, la sicurezza delle donne è un tema centrale nel dibattito.

Swiped
credits: Disney+

Riscrivere i codici di una società assodata è qualcosa di sconvolgente, qualcosa che rimane nella storia della tecnologia e non solo. Whitney Wolfe, che arriva a questa intuizione grazie a una preparazione invidiabile e un’esperienza di molestie sulla sua stessa pelle, non è solo una grande imprenditrice.

Non è solo una vittima di un sistema malato né è solamente una pedina del gioco. Whitney Wolfe è una pioniera della tecnologia, una donna che ha affrontato l’inferno per fare la rivoluzione. E proprio per questo, deve essere stata una donna in grado di essere fragile, vulnerabile, stanca.

Deve essere stata, per forza di cose, una persona fallibile. Swiped, purtroppo, la identifica solo con degli estremi che non ci bastano a completare un puzzle così complesso. Non vediamo punti di vista diversi sul mondo della tech, vediamo solo ciò che riguarda Wolfe e ciò che succede nei suoi confronti. Non vediamo mai davvero la conflittualità di Whitney Wolfe, vediamo solo gli alti e i bassi, senza avere mai un momento per ragionarci su. Vediamo troppo poco, per quello che invece era necessario che fosse mostrato.

Era necessario abbattere un sistema, riscrivere delle regole, infrangere dei muri invalicabili. Era necessario andare in profondità e utilizzare Whitney Wolfe come un esempio per tutte. Come un precedente che ponesse le basi per un discorso molto più ampio di così.

Non serviva un’altra storia sul sogno americano, non era davvero necessario un altro racconto sul “se vuoi, puoi”. Swiped, in questo, fallisce laddove avrebbe dovuto puntare maggiormente. Quelli che dovevano essere i suoi punti di forza (la lotta, l’affermazione, l’ambiente tossico della tech, il maschilismo predominante) sono diventate le delusioni più grandi. Swiped si lascia vedere, anche solo per conoscere la storia di una delle imprenditrici più grandi del mondo, ma lascia un po’ di amaro in bocca. Non siamo sicuri che Wolfe, che per motivi legali non ha potuto partecipare alla sceneggiatura, si sarebbe ritratta così.