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La recensione della 1×03 di Pluribus dall’eloquente titolo “Granata” analizza la serie tv alla luce della sua natura profondamente psicologica.
L’uomo dei topi non riusciva a liberarsi dall’ossessione che i roditori potessero finire per torturare le persone a lui più vicine. Per scacciare questo pericolo ricorreva a riti e compulsioni sempre più assurdi, sempre più invasivi. Quando il paziente si presentò da Sigmund Freud era già nella fase più acuta della sua malattia. Eppure quando raccontava di quegli assurdi timori il medico notava sul suo volto un ghigno perverso. Quasi godesse nel pensare alle torture dei topi verso le persone amate e nello stesso tempo volesse punirsi per quel desiderio.
Carol in questa 1×03 di Pluribus, in tutta Pluribus è l’uomo dei topi.
Il padre della psicoanalisi si trovò a studiare numerosi e vari casi clinici con la minuzia dell’archeologo che scava strato dopo strato nel tempo e nella storia. La geniale, istintuale capacità di decifrare il simbolo sotto cui la psiche seppelliva la verità gli permise di comprendere la natura delle nevrosi. Di capire cioè quel pruriginoso contrasto che assale un Io incapace di mediare tra pulsioni istintuali e repressioni morali.
Secondo lui l’assenza di bilanciamento tra Es e Super-Io è proprio di una personalità debole, che sta vivendo un trauma irrisolto che trova sfogo infruttuoso nell’esteriorità di una tic persistente, di una rabbia incontrollata alternata a stati di apatia. La Carol di Pluribus in questa 1×03 dall’eloquente titolo di “Granata” mette in mostra tutto il repertorio nevrotico. Prova a finirla lì, involontariamente certo, ma sarebbe meglio dire inconsciamente. Perché, d’accordo credere che la granata fosse finta ma voi avreste davvero corso il rischio? E cosa la induceva realmente a pensare non fosse vera, dopo aver visto la mente-alveare della nuova umanità concedere qualunque cosa alle poche personalità individuali rimanenti?

Già nell’episodio precedente Carol aveva provato a farsi del male, andando consapevolmente incontro a una pericolosa disidratazione sotto il sole cocente di Albuquerque. Ora, prima del folle innesco della granata una rapida scena dalla geniale transizione aveva visto un bicchiere d’acqua trasformarsi in una dose copiosa di liquore associata a un ansiolitico. Inutile sottolinearne la pericolosità.
Il nostro uomo dei topi, la Carol di Pluribus, desidera la distruzione e l’autodistruzione, oscilla tra rabbia e senso di colpa, apatia e scatti d’ira.
Come l’uomo dei topi non trova un equilibrio dentro di sé, mosso da un perverso godimento distruttivo. Carol è un Super-Io che prova inefficacemente a mediare tra desideri dell’Es e limitazioni morali. È l’unica che pare saper distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è, proprio come il Super-Io freudiano che controlla, limita, vieta all’Es di straripare in ogni pulsione irrazionale.
La mente-alveare di Pluribus rappresenta un Io debole, incapace di opporsi ai desideri, anche quelli più distruttivi, dell’Es. È costretta a dire costantemente di sì, come un chatbot carico di informazioni ma privo di personalità. Questo perché è un insieme di personalità che per sopravvivere alla nevrosi che scaturirebbe da impulsi, desideri, convinzioni morali diverse (quelle di tutta l’umanità) può fare solo una cosa: annullarle tutte.

Non c’è umanità vera nella mente-alveare, solo un diktat biologico e l’inevitabile dipendenza dalla personalità straripante del Super-Io Carol. All’orgoglio della donna che afferma: “Io sono una persona indipendente, ok? Lo sono sempre stata, mi arrangio da sola“, si contrappone la remissività della mente-alveare nel rivelare che “Smuoveremmo mari e monti pur di farti felice, Carol“. Anche comportasse procurarle un ordigno nucleare. Ma perché? Perché vogliono fare ogni cosa per la sua felicità? Per compassione? Per un qualche spirito di carità che li caratterizza? Forse per paura che Carol possa distruggere ogni cosa?
Per rispondere dobbiamo tornare lì, nella mente dell’uomo dei topi.
In lui convivevano desideri punitivi verso una donna che lo amava ma non aveva voluto sposarlo e non poteva dargli figli e un padre autoritario visto come ostacolo alla propria affermazione sessuale. In Pluribus la mente-alveare rappresenta il bisogno di ricomporre l’Io, di fare in modo che la scissione di Carol fuoriuscita dall’unità di tutto il resto dell’umanità si rimargini. Che Carol torni a essere un solo Io con tutti loro, con l’interezza della personalità di un’unica natura umana. Di un unico, equilibrato essere umano.
Perché questo avvenga l’Io prova ad assecondare l’Es e il Super-Io, i desideri distruttivi e repressivi di Carol. Le procura una granata, anche se questo metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa. Accetta di rinunciare alle proprie convinzioni, ai desideri verso altre personalità (avete notato che Zosia alla fine è tornata in aereo con Carol?). Rinuncia a se stesso per riunirsi a quella parte di sé (Carol stessa) che gli si sottrae ostinatamente.

Sa tutto, in quanto è il tutto, l’Io della donna-Carol ma è debole, incapace di trovare equilibrio tra le pulsioni distruttive dell’Es e le limitazioni del Super-Io, cioè di Carol nella sua duplicità di donna piena di sensi di colpa e ultimo baluardo di una morale di individualità e rifiuto di annichilimento. Come per l’uomo dei topi si è diffuso un morbo, un trauma che ha separato Carol dal resto di sé e ora l’Io deve trovare il modo di ricomporre questa frattura.
Alla fine l’uomo dei topi interruppe la terapia prima che giungesse una “guarigione” e trovò infine la morte nella Prima Guerra Mondiale.
Per Carol in Pluribus non ci sono molte strade davanti: o annichilirsi in quel tutto che è l’Io della mente-alveare o mantenere la propria individualità. Ma per farlo deve affrontare quei traumi irrisolti, quei sensi di colpa, quell’apparente apatia che nasconde il turbine interiore. Solo così il nostro uomo dei topi potrà accettare se stessa. Solo così potrà realmente ricomporre ogni frammento del suo mondo senza sparire in un mare magnum debole e impersonale. Senza sparire nell’Io-alveare.







