Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » RECENSIONI » In Silenzio – Recensione della nuova miniserie spagnola su Netflix

In Silenzio – Recensione della nuova miniserie spagnola su Netflix

ATTENZIONE: il seguente articolo contiene spoiler su In Silenzio.

Notte. Una ragazza pedale su una salita di Bilbao, cittadina dei Paesi Baschi, nel nord della Spagna. Improvvisamente qualcosa si schianta sopra il tetto di un’automobile parcheggiata facendola cadere a terra. La ragazza, spaventata e ferita, guarda cosa l’abbia fatta cadere notando il corpo di una donna. Un attimo dopo, per un pelo, non viene investita da un altro corpo, precipitato dall’alto.
Come inizio non c’è male. In Silenzio, El Silencio, titolo originale, la nuova miniserie spagnola targata Netflix, non si perde in chiacchiere e punta subito ad attirare l’attenzione dello spettatore promettendogli qualcosa di diverso dal solito thriller. Una promessa che verrà mantenuta fino in fondo? Vediamolo insieme.

Le sei puntate uscite lo scorso 19 maggio 2023 sono state create, e in parte scritte, da Aitor Gabilondo conosciuto per Patria (una drammatica serie che racconta la vita di due famiglie vittime dell’ETA) e Il Principe – Un amore impossibile. Gabilondo, che nella stesura della sceneggiatura si è fatto aiutare da Joan Barbero con il quale aveva già lavora ne Il Principe – Un amore impossibile, ha preso ispirazione, per il soggetto. da una frase del celebre musicista argentino Luis Alberto Spinetta: “todo gigante muere cansado de que lo observen desde afuera” (ogni gigante muore stanco di esser guardato dall’esterno).
Per la regia dei sei episodi sono stati chiamati alcuni registi tra i quali spicca il nome di Gabe Ibáñez, conosciuto per aver diretto Antonio Banderas in Automata del 2014.

Sergio, interpretato da Arón Piper (Élite), ha finito di scontare sei anni di carcere minorile per aver ucciso i genitori. Noto alle cronache come “l’assassino del balcone”, il ragazzo non ha praticamente aperto bocca dal suo arresto. È rimasto in totale silenzio, non ha parlato con gli avvocati né con i giudici, tanto meno con gli inquirenti o gli psichiatri che hanno cercato di comprendere il motivo del suo gesto.
In carcere, però, ha avuto modo di allacciare diverse amicizie tramite una fitta corrispondenza. In particolar modo con Natanael (Ramiro Blas), pastore evangelico che dirige una comunità di reinserimento, e Marta (Cristina Kovani), giovane commessa in un centro commerciale, fidanzata con Eneko, interpretato da Manu Ríos (anche lui conosciuto per Élite).
Sergio però, non sa che è spiato costantemente perché entrato a far parte di un progetto di videosorveglianza che dovrebbe monitorare il suo reinserimento nella società. Ana, interpretata da Almudena Amor, è la psichiatra incaricata dal tribunale di effettuare questa specie di esperimento alla Truman Show e lo spia giorno e notte, in casa e fuori, attraverso le videocamere della città. Ana non è sola a occuparsi di spiare Sergio: con lei collaborano Greta e Mikel e il tutto è monitorato da Cabrera, ispettore della polizia.
Dopo il duplice omicidio e l’installazione di questa postazione di osservazione e studio possiamo esser certi che le cose non andranno per il verso giusto.
Il punto è: esattamente, cosa succederà? Di tutto e di più.

Marta e Sergio 640×360

El Silencio non è un thriller qualsiasi perché non si limita semplicemente a seminare dubbi e ingarbugliare la trama in attesa della risoluzione finale. Va ben oltre.
Affronta, intanto, il delicato tema del reinserimento dei carcerati, in particolar modo quelli violenti, ponendo l’attenzione sulle comunità che ne approfittano per scopi non propriamente evangelici. È il caso di quella del pastore Natanael, uomo che si riempie la bocca di Dio e del bene che può fare quando tocca i cuori degli assassini come Sergio. Salvo poi esser peggio del peggior criminale perché predica bene e razzola malissimo.
Poi mette in luce come la tecnologia possa venir usata malamente per confondere e fornire a persone del tutto innocenti una visione distorta non soltanto del mondo ma anche dei propri figli e genitori.
Evidenzia, ancora, di come nonostante oggi tutti siano connessi e in continua condivisione l’apparenza non regga il confronto con la sostanza dentro la quale annaspano, faticosamente, giovani e meno giovani sempre più in difficoltà e a disagio.
E, infine, sottolinea che i rapporti di parentela non necessariamente ci salveranno da noi stessi ma, anzi, potrebbero esser la miccia per farci esplodere facendo leva sull’incapacità di gestire i sentimenti, siano essi buoni o cattivi.

Una notevole quantità di argomenti, tra l’altro tutti decisamente impegnativi, che accompagnano lo spettatore, puntata dopo puntata, fino a una conclusione torbida. Sì, perché El Silencio è una serie cupa, sordida, che scava nell’animo non soltanto dei personaggi ma anche dei telespettatori toccando, in maniera morbosa, tasti alquanto equivoci.
I protagonisti di In Silenzio, con i loro animi frantumati, giocano tra loro facendosi del male attraverso azioni insensate e moralmente discutibili. Tentano di allontanarsi, di prendere le distanze per cercare di salvarsi ma sono fagocitati dalle loro stesse emozioni che li sovrastano fino all’estremo perché incapaci di gestirle. Le sei puntate di questa miniserie targata Netflix giocano sporco e pongono lo spettatore di fronte all’inadeguatezza di sottrarsi al lato oscuro ed eccessivo della vita, sinonimo di una disperata fragilità mentale.
Non c’è salvezza né redenzione. E la cima che ci viene gettata per cercare di salvarci è difficile da afferrare, ammesso che lo si voglia davvero.

In silenzio
Ana 640×360

In Silenzio è soffocante, disturbante ma non assorda come dovrebbe, anche perché il protagonista, come gli viene fatto notare, è capacissimo di parlare quando gli fa comodo (ed è effettivamente un peccato che il silenzio nel quale si rinchiude Sergio, non si sa perché, non venga sfruttato di più). Lascia un cattivo sapore in bocca. Anche a causa di certe esagerazioni delle quali, forse, si poteva fare a meno perché non servono a illustrare la storia e non aiutano a capire meglio i protagonisti. Anzi, tendono a ingarbugliare inutilmente la matassa.
Ci sono dei sottintesi non chiari e la regia, spesso, si attarda su particolari faticosi da digerire proprio per sottolineare l’ambiguità dei suoi personaggi principali alimentando minuto dopo minuto l’inquietante attesa del crollo finale.

Ed è proprio la puntata finale quella che meglio rappresenta il senso di questa miniserie. Si arriva alla resa dei conti in quella casa dove tutto è iniziato. A distanza di sei anni i sopravvissuti, Sergio e la sorellina adottiva Noa (Avril Virgüez e Irene Virgüez), finalmente rivivono quella tragica notte. I ricordi e le paure esplodono come bolle in un acquitrino paludoso impestando l’aria di mefitici effluvi. A questa angosciante rimpatriata partecipa anche Ana che, in qualità di burattinaia, deve delle spiegazioni per certi suoi comportamenti se non a Sergio almeno al pubblico a casa.
Nelle scene finali si assiste all’apoteosi della morbosità e l’inquadratura ultima, che ricorda un po’ quella del film zombie REC, lascia tutto nel vago non offrendo alcuna certezza allo spettatore.

Nel complesso In Silenzio, su Netflix, è una miniserie che si può guardare. Non è un capolavoro ma lascia il segno. Nel cast spicca, senz’ombra di dubbio, l’interpretazione di Aròn Piper capace di dare al suo personaggio, Sergio, una forza e una violenza che in certi momenti toglie il fiato. Lo accompagnano le due figure femminili principali, Ana e Marta. La prima è quella più sfuggente, misteriosa, equivoca. La seconda, invece, anche grazie alle scelte che compie, l’unica boa di salvataggio alla quale ci si può, e si deve, aggrappare per poter sopravvivere.