ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Dear Hongrang, la serie tv coreana di Netflix!!

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Diciamo che no, Dear Hongrang non è proprio la serie tv adatta al binge watching. Undici episodi da più di 60 minuti l’uno dispiegano una trama che mette insieme tanti pezzi e pone noi spettatori difronte a continui capogiri e complesse dinamiche famigliari. Scritta da Kim Jin-ah, la serie sudcoreana è stata diretta da Kim Hong-sun (La Casa di Carta: Corea) e rilasciata da Netflix il 16 maggio. Vivida, sanguinosa e con alte punte di melodramma, la serie Netflix è complessa e contorta. Si presta ad una visione attenta, che abbia lo sguardo costantemente rivolto sullo schermo. Si impiega qualche episodio per orientarsi all’interno della trama dello show. Dear Hongrang è un universo popolato da pochi personaggi chiave e una miriade di comprimari che si muovono sulla scena al loro fianco.
Non è proprio facile avventurarsi nelle vicende che animano la serie. Il progetto di Kim Jin-ah è ambizioso, la cura della parte estetica è molto ricercata, l’attenzione ai dettagli è studiata e ponderata con attenzione. Lo scopo di Dear Hongrang è quello di regalare allo spettatore un’esperienza immersiva e totalizzante nell’epoca di riferimento. È in questo che chi ha creato la serie si è mostrato ambizioso: nel voler dare un ampio respiro alla categoria dei period drama sudcoreani distribuiti sulle piattaforme internazionali (ecco le migliori serie tv coreane presenti su Netflix). Dear Hongrang è ambientato nel cuore dell’epoca Joseon, un periodo tumultuoso della storia coreana nel quale superstizioni e affari si mescolano costantemente. La serie ha per protagonisti i membri di una famiglia importante della Gilda dei mercanti.
Nello show di Netflix, i legami familiari e quelli di potere hanno un ruolo preponderante. È tutta una lotta per prevalere sugli avversari, a scapito di una famiglia piuttosto che di un’altra.
Sim Yeol-guk (Park Byung-eun) è il capo mercante della famiglia Rang, che ha sposato una donna influente dell’alta società da cui deriva tutto il suo prestigio. Ha allevato in casa sua una figlia avuta da una relazione illegittima, Jae-yi (Cho Bo-ah), e il piccolo Hong Rang, il figlio della coppia destinato a ereditare il titolo di famiglia. Hong Rang però scompare all’improvviso all’età di otto anni. Il bambino si allontana da casa e non vi fa più ritorno. Nonostante le ricerche disperate della famiglia (in particolare quelle della sorella Jae-yi), di Hong Rang si perde qualsiasi traccia. Non muoiono però le speranze dei familiari di poterlo un giorno riabbracciare.
Sua madre cade in preda ad una disperazione acuta. La donna orienta la sua intera esistenza alla ricerca del figlio scomparso, disposta a tutto pur di riaverlo a casa e di poter affidare a lui l’eredità di famiglia. Ancor più ossessionata dalla scomparsa di Hong Rang è sua sorella Jae-yi, che in realtà è la sua sorellastra. Tra i due bambini esisteva un legame molto forte, così totalizzante da andare oltre le barriere sociali e spingerli a considerarsi pari in tutto e per tutto. A differenza delle due donne, il capofamiglia Sim Yeol-guk ha elaborato il lutto in maniera più pragmatica. Considerando il vuoto di potere che la scomparsa del suo erede aveva provocato, Sim Yeol-guk ha pensato di adottare Mu-jin (Jung Ga-ram) come suo figlio ed educarlo all’arte degli affari, di modo che un giorno potesse ereditare lui le fortune e i titoli della famiglia.
Ma a sconvolgere gli equilibri, sopraggiunge un evento inaspettato: dodici anni dopo la sua scomparsa, Hong Rang fa ritorno a casa.
Nulla del bambino che era è rimasto nelle fattezze e nei modi di Hong Rang. Scomparso da ragazzino, è ritornato da adulto e – particolare ancor più importante – senza nessun ricordo del suo passato. È perciò difficile capire se si tratti del vero Hong Rang o di un impostore, l’ennesimo di una lunga serie di furfanti che miravano alle ricchezze e alla posizione della famiglia Rang. Neppure sua sorella lo riconosce, o forse non vuole farlo. Jae-yi ha passato tutta la vita a cercare il fratello e quell’ossessione le impedisce adesso di guardare le cose con lucidità. In preda a una sorta di rifiuto automatico, la ragazza allontana l’idea che quello sconosciuto appena piombato in casa sua possa essere il fratellino che tanto ha amato e cercato per dodici lunghissimi anni.
Il primo tema di Dear Hongrang è quindi quello dell’identità. Chi è il personaggio che ha appena fatto la sua comparsa in casa Rang? Si tratta davvero del ragazzino scomparso tanti anni prima? Le domande iniziano a rimbalzare nella testa di personaggi e spettatori, costretti a confrontarsi con i cambiamenti e le trasformazioni che lo scorrere del tempo porta con sé. Che sia Hong Rang oppure no, il personaggio tornato a casa ha un nome troppo ingombrante per poter essere ignorato. La sua presenza nella casa paterna sconvolge tutti gli equilibri che si erano creati nella famiglia. Equilibri familiari, ma anche di potere. Il ruolo di Mu-jin, per esempio, viene totalmente ridimensionato: il ragazzo, adottato come figlio Rang per coprire un vuoto di potere, con il ritorno a casa del figliol prodigo, non è più contemplato.
Al contrario, diventa una fonte di possibili lotte intestine che si vogliono scongiurare.
Mu-jin, trattato come un fratello maggiore da Jae-yi, diventa una pericolosa minaccia, al di là delle sue reali intenzioni. Sebbene il ragazzo sembri interessato solo al bene di sua “sorella“, innesca una serie effetti a catena che scompaginano l’armonia all’interno dell’intera Gilda. Si delinea così il triangolo che sarà una costante di tutti gli 11 episodi di Dear Hongrang: quello tra Jae-yi, Mu-jin e Hong Rang. Che non è solo un triangolo da considerare nelle lotte di potere, ma anche e soprattutto un triangolo amoroso. Sebbene si parli costantemente di fratelli e sorelle, in realtà nessuno dei protagonisti ha gli stessi genitori. Si tratta di legami misti o puramente formali, che lasciano pensare immediatamente allo spettatore che le relazioni tra i personaggi diverranno qualcosa di diverso dalla semplice relazione familiare.
È lampante l’interesse di Mu-jin per Jae-yi. Così come è altrettanto chiaro che il rapporto tra Hong Rang e sua “sorella“, seppur partito in modo sbagliato, sia destinato a diventare qualcosa d’altro. È in questo che Dear Hongrang tocca punte altissime di melodramma. Tutto il fascino storico della serie lascia il posto al romanticismo e ai dilemmi di cuore. E mentre il triangolo amoroso va incontro ai suoi intoppi, sullo sfondo si dipana il filone narrativo su quella che è la vera identità di Hong Rang. I flashback sul suo passato si mescolano costantemente al presente. Sotto forma di sogni e visioni, le immagini del passato tornano a far visita al protagonista, la cui reale identità resta un mistero per gran parte della serie.
Quello che nei primi episodi viene un po’ tralasciato per tratteggiare le dinamiche familiari, nella parte finale dello show diventa preponderante. Tutto l’enigma di Dear Hongrang ruota infatti attorno al passato del ragazzo. Un passato scabroso che si intreccia con desideri di vendetta, visioni folli di principi psicopatici e personaggi che scompaiono e riappaiono all’improvviso.
Diciamo che una visione immersiva di Dear Hongrang potrebbe risultare pesante. Nonostante gli episodi siano ben fatti, a volte la narrazione sembra un po’ ridondante e segmentata, elemento che potrebbe disturbare una parte del pubblico. Se però l’obiettivo dei creatori è quello di immergerci nell’epoca Joseon regalandoci uno sguardo su tradizioni, costumi e usanze di quel periodo, il risultato è piuttosto apprezzabile. La scenografia è molto ricercata, i colori sono vividi e le immagini taglienti. L’abbigliamento è ricostruito con grande fedeltà, così come pure alcune pratiche e rituali di quel tempo, di cui noi spettatori delle piattaforme di streaming probabilmente non avevamo idea. L’esperienza di immersione in quel mondo vale il prezzo della visione, ma la storia si trascina un po’ troppo per le lunghe e dopo un po’ smorza l’interesse dello spettatore.
La parte più intrigante di Dear Hongrang, quella legata al passato oscuro di Hong Rang e ai legami di potere all’interno della Gilda, è spesso sacrificata per far spazio al melodramma vero e proprio, con colpi di scena un po’ telefonati e reazioni prevedibili dei personaggi.
Kim Jin-ah ha provato a proporre dei protagonisti complessi, enigmatici e ambivalenti. Ogni loro decisione è frutto di una serie di sommovimenti interiori che spingono ad andare in una direzione piuttosto che in un’altra, a cercare se stessi piuttosto che il proprio ruolo nella vita. Dear Hongrang vuole essere uno strumento di riflessione sull’identità e le scelte, calcando la mano su quanto il contesto sociale e culturale possa influenzare un determinato tipo di decisioni. Come sarebbe stato Hong Rang se avesse trascorso la sua giovinezza negli agi di casa, coccolato dalla madre ed educato all’arte degli affari? Quali scelte avrebbero compiuto i personaggi se non si fossero sentiti inadatti ed esclusi per gran parte della loro vita?
Sono quesiti che la visione di Dear Hongrang suggerisce, traslandoli in un mondo lontano, ma solo da un punto di vista storico-culturale. Perché il fulcro della narrazione, con alti e bassi, continua a essere il tema universale dell’amore ostacolato tra un uomo e una donna, con le loro storie e i loro complessi (per i 10 amori proibiti delle serie tv che ci hanno trasmesso un forte senso di inquietudine, date uno sguardo qui). Bisogna essere veri appassionati della storia coreana o dei melodrammi storici (con tanto di finale strappalacrime) per catapultarsi in una maratona di Dear Hongrang. Per tutti gli altri spettatori potrà risultare più comodo spezzettare la visione e godersi a spezzoni quanto di buono c’è nella serie Netflix. Per gli amanti dei k-drama invece, ecco interessanti serie tv incentrate sui viaggi nel tempo.