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Reacher ha trovato un’identità chiarissima. E si è messo in testa di conquistare il mondo

ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su Reacher 2.

Hulk spacca! Ma anche Reacher non scherza. La seconda stagione dedicata al personaggio creato dalla penna di Lee Child, autore da milioni di copie in tutto il mondo, è appena conclusa ed è stato davvero un successone. Per capirci: le prime tre puntate uscite lo scorso 15 dicembre hanno conquistato il pubblico di oltre 180 paesi in tutto il mondo decretando questa seconda stagione come il titolo più visto nel 2023 in termini di spettatori totali di tutte le serie e film prodotti da Prime Video. Roba di cui andare veramente fieri. Complimenti!
Già la prima stagione aveva convinto parecchio. Questa seconda sembra non soltanto confermare quanto di buono visto nel 2022 (data di rilascio 4 febbraio 2022) ma addirittura alzare il livello portando un progetto di difficile gestione su livelli che rasentano la stratosfera.
Sì, perché Reacher non è propriamente una di quelle produzioni sulle quali si può giocare d’azzardo con la speranza di ottenere qualcosa di buono e nel caso dovesse andare male, pazienza. È un rischio grosso, di quelli che poi restano negli annali. Un po’ come il Machiavelli che affidarono a René Ferretti, in Boris, per intenderci. Chiedete a Tom Cruise in che guai lo hanno cacciato i due film dedicato all’ex maggiore della Military Police dello US Army. Se dovesse rispondervi vi dirà che preferisce dimenticare (nonostante fossero, comunque, due film di tutto rispetto).

Eh già, Reacher poteva essere un bel problema. Un po’ come poteva esserlo Jack Ryan, tanto per fare un altro esempio. Perché quando qualcuno decide di trasporre un personaggio così conosciuto come quello di Lee Child (o di Tom Clancy nel secondo caso) sul piccolo schermo va incontro al rischio di deludere milioni di fan. Ma così non è stato. Anzi, pare che le vendite dei libri dell’autore inglese che dal 1998 vive a New York siano in continua crescita proprio grazie al successo della serie dedicata al gigantesco vagabondo dall’affinato acume e dalle maniere forti. Agli spettatori, insomma, questo Reacher è piaciuto davvero molto tanto che chi non lo conosceva dal punto di vista letterario ha cominciato a leggerlo apprezzandolo ancora di più.
Ma il lavoro fatto da Nick Santora (già noto per Prison Break, Scorpion, Most Dangerous GameFUBAR) prima con Zona pericolosa, poi con Vendetta a freddo, rispettivamente il primo e l’undicesimo romanzo della saga (sono più di venti, al momento), è stato davvero, davvero encomiabile. Soprattutto perché non si è limitato a estrapolare una storia e adattarla al piccolo schermo quanto piuttosto a prelevare l’anima di un personaggio letterario e renderla viva, reale, concreta. Certo, il fisico erculeo di Alan Ritchson ha dato una mano (l’attore è altro poco più di 190 cm mentre il personaggio letterario è oltre i due metri) ma diciamo pure che lo spirito di Reacher è stato ben capito e Lee Child può essere finalmente soddisfatto.

Se la prima stagione era piaciuta la seconda è stata un trionfo. Mentre nella prima era mancato qualcosa in termini di carattere, nella seconda ci sono tutti gli ingredienti giusti perché la ricetta abbia successo. Reacher non è roba da palati fini, intendiamoci. Non siamo di fronte a un piatto da tre stelle Michelin. Semmai ci viene proposta la padellata di fagioli alla Bud Spencer, da mangiare con il cucchiaio di legno. Sì, perché Reacher ha la pretesa di dire molto chiaramente “io sono così. Se vi vado bene, ok. Altrimenti, amici come prima“. Niente sofisticherie, niente esercizi di stile. Tutto molto semplice, lineare, diretto. Ci sono i cattivi che vanno resi inoffensivi, meglio se eternamente. E noi lo facciamo, con tutta la forza di cui siamo capaci.
Un po’ retrò, in un certo senso. Come certe serie anni Ottanta nelle quali i colpevoli non veniva mai, mai, nemmeno per sbaglio, assicurati alla giustizia ma finivano dentro una cassa da morto in pieno stile far West. Occhio per occhio, dente per dente: Reacher prende alla lettera l’antica legge del taglione, l’adatta ai nostri giorni e la fa sua. “Non si scherza con l’Unità Investigativa Speciale“, insomma.

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La potenza di Reacher, non solo quella fisica ma anche e soprattutto quella televisiva, è esemplificabile in due scene. Quella iniziale, che ha la funzione di spiegarci il personaggio. L’ex maggiore dell’esercito intuisce che la donna di fronte a sé, al bancomat, ha un problema. Si intromette e risolve la faccenda alla sua maniera: pestando il delinquente che la stava rapinando, seduto in auto tenendo in ostaggio il figlio della donna. Dopo averlo saccagnato di botte lo trascina fuori dall’abitacolo sbattendolo a terra, più morto che vivo. “Ciao” dice al bambino terrorizzato “vuoi vedere la mamma?“. Come se niente fosse.
La seconda, invece, quando con un calcio sfonda il cofano dell’auto di Gaitano Russo (altro meraviglioso personaggio interpretato da Domenick Lombardozzi, il mitico Herc di The Wire) facendo esplodere l’airbag della macchina in faccia al detective della polizia di New York.
Due scene tamarrissime. Al limite del credibile. Tra l’altro dirette in maniera piuttosto semplice, senza troppi voli pindarici. Eppure entrambe un vero capolavoro. Due scene che fanno esultare lo spettatore che da Reacher questo vuole. Niente sofismi, niente bizantinismi. Sappiamo già come si concluderà la storia, è già nota la fine che farà il cattivo di turno. Va solo capito, tra l’inizio e la fine, quanto sarà in grado di sorprenderci il personaggio creato da Lee Child, con la speranza che lo faccia tanto tanto.

In queste due scene c’è tutto il successo di Reacher.

Perché in queste due scene c’è l’identità chiara e netta di un personaggio fuori dal mondo comune ma con quei valori che, nonostante il passare del tempo, continuano a piacere ancora tanto al pubblico. Reacher è rassicurante, forte, giusto, severo. Fa paura se sei un cattivo ma ti spinge a gettare il cuore oltre l’ostacolo se sei nel giusto. È violento, uccide senza pietà. Al tempo stesso ha il giusto carisma perché quelle morti passino in sordina senza risultare ridicolo. Non vuole essere disturbato ma l’iniquità lo porta a impicciarsi di quello che non lo riguarda perché smuove un ordine costituito dove tutto segue un determinato iter e da lì non deve sfuggire. Dipendesse da lui il mondo seguirebbe poche, semplici regole e tutto funzionerebbe magnificamente. Ma la realtà dei fatti lo porta a essere costantemente al centro dell’attenzione per cercare di rimediare a un incomprensibile malfunzionamento.

Reacher, però, non è semplicemente un uomo tutto muscoli e niente cervello. I pensieri che lo portano alla soluzione del caso, difficilmente ricostruibili in una trasposizione televisiva, dimostrano che la sua è una mente investigativa degna di Sherlock Holmes. La maniera con la quale unisce i vari indizi insieme alla sua ex squadra investigativa dimostrano che l’ex maggiore dello US Army ha una mente fuori dall’ordinario capace di notare il più piccolo indizio senza particolari bizzarrie o l’uso di particolari stimolanti. I suoi avversari lo classificano come un bestione ma è nel processo deduttivo che Reacher ha la sua vera forza. Certo, le storie sono piuttosto semplici, non hanno particolari colpi di scena da far trasalire lo spettatore. Ma la maniera con la quale viene affrontato il caso ha un che di sistematico dal quale è impossibile sfuggire. È quasi tranquillizzante la modalità con la quale Reacher guida l’indagine perché non si distrae mai. Richiama tutti all’ordine mostrando in maniera quasi didascalica come ci si debba comportare durante una investigazione. Soprattutto quando questa riguarda la morte dei propri compagni d’arme.

Reacher
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Reacher dispensa giustizia. È giudice e giuria. E di conseguenza anche boia. Per questo motivo dev’essere estremamente sicuro di non commettere errori. La linearità con la quale viaggia evita qualsiasi distrazione. Gli inconvenienti capitano, certo. Ma servono più che altro a dare allo spettatore quasi un senso di serenità. Sembra un paradosso in realtà è la conseguenza di una scrittura che punta a descrivere pienamente un concetto chiave del personaggio: sul passare, letteralmente, sopra gli intralci costruisco la mia forza. Non è un caso che una delle scene più drammatiche e intense di tutta la seconda stagione sia priva del personaggio principale. Perché Reacher non sarebbe stato in grado di sostenerla. Troppo emotiva, troppo priva di logica, troppo improvvisata. Assolutamente non da Reacher. E per questo perfetta, perché capace di regalare al pubblico un’intensa emozione che amplia la coralità della serie.

Molto di più che nella prima stagione in questa seconda gli autori hanno lavorato in maniera tale da non annoiare il pubblico. Il rischio c’era, proprio perché alla lunga la struttura semplice della serie può risultare ripetitiva. La scelta di utilizzare una storia corale che desse spazio al passato dell’ex maggiore e mettesse in campo altri personaggi è stata certamente vincente. In ogni caso il pubblico è dalla parte di Reacher. Sempre e comunque. Perché Reacher non promette niente che non possa mantenere. E questo il pubblico lo sa. Un pubblico che magari è anche fan di Homeland o di The Crown, per citare due serie così lontane da quella di Nick Santora, dove l’intrigo e la sofisticatezza sono all’ordine del giorno. Ma che ha un debole nel vedere il suo eroe menare come un fabbro ferrario. Che adora farsi cullare dal modo nel quale viene raccontata l’ennesima lotta tra il Bene e il Male. E non ne fa una questione personale se, tutto sommato, viene a mancare un po’ di originalità in favore di una coerenza che gli permette di non pensare, di rilassarsi e godersi intrattenimento puro.

Reacher ha trovato il suo spazio viaggiando su un terreno a lui ben congeniale. Ci è riuscito mischiando il vecchio (personaggio che ha sempre ragione, esageratamente macho) col nuovo (personaggi femminili di gran lunga più in gamba, ottimamente descritti). Apparentemente il gigante buono, con il suo un tono un professorale nel dispensare consigli e direttive, risulta obsoleto, persino un po’ kitsch. Suona di già visto. In sé però ha un qualcosa che, puntata dopo puntata, viene fuori e tiene lo spettatore incollato allo schermo (e in questo il rilascio di un episodio a settimana è stato davvero deleterio).Evita le stereotipie dell’eroe ombroso e macerato dentro optando per altre cadute fuori modo. È ironico ma mai ammiccante, piacione. Piace, soprattutto perché rincuora, mette di buon umore. Sai già che succederanno cose. Hai persino la vaga di idea di sapere quali. Eppure non vedi l’ora che accadano. È certamente un genere che deve piacere, che ha il suo pubblico di aficionados. Ma che non annoia mai, anzi. Ti fa venire voglia di guardarne ancora e ancora. Tanto che Prime Video ha già dato il via alla terza stagione. E, inutile negarlo: non vediamo l’ora di vederlo nuovamente in azione.