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Prison Break vs Oz: duello dietro le sbarre

Prison Break e Oz sono probabilmente le “jail series” più famose e ben riuscite di tutti i tempi: oggi HOS le farà duellare per voi!

Raccontare una storia ambientata dietro le sbarre non è affatto facile.

Per quanto questo pazzo mondo stia impazzendo e le carceri trabocchino, la maggioranza del globo è comunque composta da quelle che molto qualunquamente (cit. Cetto La Qualunque) si potrebbero definire “brave persone”: è assai complesso far comprendere al pubblico la tensione, il disagio, la sicurezza di vivere giorno dopo giorno in pericolo di vita e la paura di vedere i propri incubi diventare realtà nel più inospitale degli ambienti.

Tutto molto difficile, ma non impossibile.

È unanimemente riconosciuto che (con buona pace di OITNB), i due principali esponenti di questa categoria seriale siano “Oz” e “Prison Break”, prodotti usciti rispettivamente dalle fabbriche di HBO e Fox che in modi molto diversi ci hanno portati in cella a farci vivere la vita di un detenuto (e stranamente la cosa ci è garbata molto!).

La domanda è esattamente quella a cui state pensando da 7 righe a questa parte: qual è il migliore?!

Non garantiamo assolutamente di dare la risposta esatta, ma noi matti di Hall of Series abbiamo scelto di analizzarle entrambe un po’ più a fondo ed evidenziare pro e contro dell’una e dell’altra, dopodiché vedremo di esprimere un umilissimo parere che in alcun modo potrà fungere da prova a carico della nostra colpevolezza in tribunale.

Fateci sapere la vostra, of course, ma sappiate che il punto di partenza è che ci sono piaciute entrambe!

Prison Break

Prison Break, come testimoniano tra l’altro le due candidature ai Golden Globe, è sicuramente la più famosa e la più popolare tra le due.

La storia del tatuatissimo Michael Scofield e del suo innato talento per evadere dai carceri, mettersi nei guai, rifinire in gattabuia e così via ha appassionato milioni di fan dal 2005 a oggi se è vero come è vero che l’attesa per la nuova stagione sta divampando sui social da molto tempo a questa parte.

L’elemento “diverso” della creatura di  Paul Scheuring è stato senza dubbio quello di unire alla rozzezza della maggior parte dei detenuti la scaltrezza, l’ingegno e la sensibilità di un personaggio come Michael che ha fatto innamorare (letteralmente e non) appassionati di ogni genere ed età, esaltandoli con le sue trovate geniali e le improvvisate al di fuori di programmi/piani teoricamente infallibili, che però la sfiga minava costantemente. O almeno ci provava.

Bellissimo anche il rapporto tra i due fratellastri, con l’imponente figura di Lincoln a controbilanciare quella del parente più mingherlino e viceversa, in un meccanismo di crescita reciproca che li ha resi col tempi più simili l’uno all’altro senza perdere la loro identità iniziale. Migliorandoli.

Ciò che ha sempre fatto alzare il sopracciglio anche ai più ferventi accoliti di Prison Break è probabilmente la sua trama, in alcuni punti troppo incentrata su un complottismo stucchevole e con colpi di scena di rara prevedibilità che non davano l’iniezione di energia sperata alla narrazione. Questo non significa assolutamente che fosse tutto da buttare, anzi, bensì che in alcuni punti si poteva essere decisamente più originali.

Oz

Oz, invece, è un prodotto più di nicchia anche per via della sua maggiore età rispetto al rivale odierno (la Serie è stata prodotta dal 1997 al 2003) che non ha mai attirato troppo l’attenzione.

Il contesto in cui è ambientato è molto particolare poiché all’interno del cosiddetto “Paradiso” le celle sono trasparenti, i detenuti sono piuttosto pochi e gli spazi particolarmente stretti, eppure da un ambiente virtualmente così limitato possono scaturire decine di storie, centinaia di dialettiche, migliaia di intrighi tutti diversi tra loro, ma egualmente affascinanti.

Oz è in grado di attrarre in maniera sinistra lo spettatore anche solo minimamente incuriosito perché ha una maniera incredibilmente moderna e coinvolgente di raccontarsi, un po’ per i dialoghi brillanti, un po’ per la presenza di un narratore interno/esterno (Augustus Hill) chiamato a far luce sulle dinamiche più difficili da cogliere dall’altra parte dello schermo e un po’ perché nonostante si stia parlando, come accennavamo qualche riga più in su, di una minoranza della società, il buon Tom Fontana è un mago a farti sentire parte di quella marmaglia.

La pesantezza di questo titolo, così pieno di morte, sesso e violenza è potenzialmente sia il suo miglior pregio che il suo peggior difetto: coloro che più hanno piacere di mettersi in discussione e di immedesimarsi ad esempio nelle varie faide di potere tra siciliani e latini sicuramente apprezzeranno particolarmente i dettagli di alcuni efferati omicidi, ma dall’altra parte non si può certo biasimare il pubblico più sensibile che nell’assistere all’ennesimo stupro ai danni di Beecher o ai danni delle droghe pesanti potrebbe rimanere piuttosto scioccato e abbandonare la visione.

Prison Break e Oz

Un punto di contatto importante è sicuramente l’ampiezza del cast, con tutto ciò che ne consegue.

A Fox River ci siamo innamorati di Sucre, abbiamo temuto Abruzzi, schifato T-Bag etc etc, questo perché gli autori sono stati bravi e saggi nel circondare i due fratelli di una moltitudine di personaggi sicuramente più stereotipati, ma non per questo meno intriganti e incapaci di cambiare (pensiamo ad esempio all’evoluzione di Bellick!).

Dall’altra parte non sono tanto singoli uomini a dover dividere quello scomodo soggiorno, quanto più gruppi divisi in base all’etnia, alle credenze religiose o semplicemente al colore della pelle, perciò era necessario mettere a capo di ognuno di essi una figura preponderante senza perdere d’occhio gli altri, che diventano talvolta ancora più importanti rispetto ai loro superiori come ben testimoniano le vicende di Arif, Robson o del Poeta.

Per di più, e vale per entrambi, non stiamo proprio parlando proprio di pizza e fichi: Peter Stormare (Armageddon), Ernie Hudson (Ghostbusters), William Fichtner (Pearl Harbor), Adewale Akinnuoye-Agbaje (visto anche in Lost) e tantissimi altri interpreti conferiscono il titolo di vere e proprie palestre di talento a queste due opere seriali.

La differenza, tanto banale quanto cruciale, è che Oz è l’unica prigione che Fontana ci mostra…mentre Michael va a spasso da un carcere all’altro impunemente!

Questo cambia completamente l’intero sviluppo perché nel titolo targato HBO troviamo 6 stagioni molto molto toste in cui i personaggi cambiano (che è un modo gentile per non scrivere “schiattano tra atroci sofferenze”) a ritmo vorticoso mentre lo sfondo è sempre lo stesso, non cambia di una virgola se non con il progressivo aumentare dell’ansia e della paura che provocano quei muri. In Prison Break, invece, sono i contesti a variare di stagione in stagione mentre lo zoccolo duro dei protagonisti rimane più o meno lo stesso, con qualche piccola variazione per aggiungere un po’ di pepe al tutto.

Reiterazione e dinamismo. Due colonne portanti completamente diverse su cui appoggiarsi.

Alvarez Vi avevamo promesso un parere vero? Non appena avrete riposto le torce e i forconi ci pronunceremo. Da bravi. Ottimo.

A chi vi scrive, molto onestamente, Oz ha lasciato qualcosa in più.

Adebisi, Said, Schillinger e gli altri detenuti fanno parte di un vero e proprio universo parallelo in grado di assorbirti come un vortice e sbatterti in faccia ciò che succede quando un essere umano va oltre il suo limite dal punto di vista della morale, dello spirito e della cognizione di se stesso.

Ci si estrania a guardare questa Serie Tv. Non è necessariamente piacevole, ma è una bella sensazione perché si ha l’esatta percezione di migliorare guardando cosa succede in Paradiso, non tanto in un’ottica di emulazione come poteva fare il buon Dante quando passeggiava tra i beati, quanto più attraverso il concetto opposto: capisci le conseguenze a cui ti può portare essere cattivo, non seguire la via giusta…è un ricordo che rimane impresso come un tatuaggio sia nel tuo cervello che nel tuo cuore.

Nell’oceano delle opinioni, questa volta la goccia è finita nell’anfora di McManus & Co. Non volercene Michael, ti vogliamo bene comunque.

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