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Pluribus, recensita dal pubblico

Pluribus

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulle prime due puntate di Pluribus.

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E alla fine è arrivata: accolta con aspettative gigantesche, Pluribus ha esordito ancora meglio di quanto si potesse immaginare alla vigilia. A certificarlo, i primi dati: su Rotten Tomatoes ha ottenuto immediatamente un’unanime 100% da parte della critica, mentre il pubblico si ferma a un pur ottimo 84%. Su IMDb, invece, si attesta al momento su un eccezionale 8.9: la prima puntata arriva addirittura a 9.2, mentre la seconda conquista un altrettanto ottimo 8.6. Numeri da grandissima serie tv, senza ombra di dubbio.

Non era scontato, affatto. L’auspicio era che Vince Gilligan, lo storico autore di Breaking Bad, potesse sorprenderci ancora, ma non mancavano le incognite.

Dopo sole due puntate, ovviamente, sarebbe un errore trarre delle conclusioni, ma è evidente che la vocazione artistica dello sceneggiatore spinga gli orizzonti narrativi ben oltre le logiche algoritmiche del nostro tempo. Con una struttura del genere, oltretutto, il valore metatestuale del racconto si avventura implicitamente in quella direzione: in un mondo in cui dominano sempre più i cori, la voce che diverge è un’ancora di salvezza per l’umanità. Un’umanità che in tempi di tale instabilità necessita di aggrapparsi anche alla visione di artisti come Gilligan: è dalle unicità che derivano gli arcobaleni, mentre non possiamo trarre altro che il nero dalle tavolozze asettiche.

Detto questo, ci avventureremo in un’operazione particolare che forse replicheremo in futuro: dopo avervi proposto la recensione canonica, abbiamo messo in piedi una mappa tematica che ricostruisce l’approccio del pubblico nei confronti di Pluribus. In poche parole, abbiamo definito un’impalcatura dalla quale proporvi una sorta di recensione del pubblico. Perché è vero: i numeri sono chiari, non dicono tutto. Parola a voi, allora: e pluribus unum, d’altronde.

Le prime due puntate di Pluribus, recensite dal pubblico

Rhea Seehorn, la protagonista di Pluribus
Credits: Apple TV+

Partiamo da X, dove abbondano i commenti positivi sulle prime puntate di Pluribus. La natura del racconto è talmente sfaccettata da permettere tante chiavi di lettura differenti: “Vince Gilligan ha catturato perfettamente quanto sia esasperante vedere tutti intorno a te arrendersi all’intelligenza artificiale, mentre loro si comportano come se fossi tu il pazzo ad avere capacità di pensiero critico”. Inevitabile pensare, a questo punto, allo stesso Gilligan e alle sue parole di alcuni giorni fa dedicate all’intelligenza artificiale: per usare un enorme eufemismo, non la apprezza granché. Non a caso, ci ha tenuto a evidenziare nei titoli di coda che Pluribus sia realizzata esclusivamente da esseri umani.

A proposito, qualcuno scrive a un certo punto: “In questa serie è come se tutti, sul pianeta, si trasformassero in ChatGPT ambulanti”. Quale sintesi migliore per le prime due puntate di Pluribus? La chiave di lettura, infatti, è presente anche in altri commenti: “#Pluribus propone uno dei concept più originali degli ultimi anni, immaginando un mondo in cui l’umanità intera si fonde in una mente collettiva, un ChatGPT corale che agisce all’unisono come una schiera di angeli”.

Si sprecano gli elogi per Gilligan e per Rhea Seehorn, già straordinaria protagonista in Better Call Saul (ma ignorata colpevolmente agli Emmy).

“I primi due episodi di #pluribus potrebbero essere il miglior inizio per uno show. Punto. Vince Gilligan ha combinato perfettamente i suoi stili di scrittura di X-Files e Breaking Bad. E con Rhea Seehorn al timone, oh, questo show è straordinario. Rhea, questa volta ti faremo vincere quell’Emmy, tesoro”.

Il personaggio di Carol è cucito perfettamente su di lei. E lei è eccezionale nel restituirne le sfumature all’interno di quello che si trasforma presto in percorso interiore con rarissime interazioni, mai semplici: “Adoro questa inquadratura di Carol davanti al sigillo presidenziale… sembra la leader di un minuscolo Paese di cinque persone che la detestano”. Doveroso ricordare, a questo punto, che il motto “E pluribus unum” sia presente nello stemma americano: quando si parla di Gilligan, ogni dettaglio è fondamentale.

Interessanti anche le chiavi di lettura offerte: “Sembra quasi una punizione divina: lei descriveva i suoi fan come se fossero una mente collettiva, ma almeno erano uniti dall’amore per l’arte autentica. Il virus, invece, è qualcosa che cancella proprio quell’individualità da cui nasceva la creazione artistica”. Come dicevamo in apertura, al di là degli arcobaleni di una tavolozza impazzita non possiamo ritrovare altro che l’oblio del nero.

E poi i confronti con altre serie tv straordinarie, più o meno centrati.

Ho amato tantissimo i primi episodi di Pluribus e non ho potuto fare a meno di notare alcuni paralleli con Severance“. Per non parlare di Fargo: “Vince Gilligan colpisce ancora: un pilot che si impone come il migliore dell’ultimo decennio, forse dai tempi di Fargo. Un’ora di televisione di rara tensione e intensità. Rhea Seehorn è semplicemente fuori categoria: quell’Emmy dovrebbe essere già suo”. Ancora un Emmy per Rhea Seehorn: se dovessimo pensare noi alle assegnazioni, la candidatura sarebbe autorevole dopo due sole puntate.

Tanto entusiasmo anche su TV Time, dove la promozione delle prime puntate di Pluribus è pressoché assoluta. E torna l’interazione tra la “vecchia” vita di Carol e il nuovo corso degli eventi.

Rhea Seehorn in una scena della serie tv pluribus
Credits: Apple TV+

Leggiamo: “Questo episodio mi è davvero entrato sotto pelle, nel miglior modo possibile. L’intera idea della mente collettiva sembra uno specchio distorto della stessa storia di Carol: è letteralmente intrappolata nel mondo di cui scriveva, solo che ora è l’unica a rendersi conto di quanto sia malato tutto questo. Il fatto che l’entità abbia scelto qualcuno che somiglia alla protagonista femminile originale dice molto. È quasi come se l’universo la stesse prendendo in giro, trasformando la sua stessa creazione in qualcosa di vuoto e privo di significato, esattamente quel tipo di fantasia superficiale che lei criticava. È una forma di ironia poetica, ma crudele”.

Il commento si chiude così: “Quando capisci che Zosia è la stessa donna dell’aeroporto, tutto assume un altro peso. C’è qualcosa di davvero inquietante nel modo in cui la serie gioca con il riconoscimento: i volti di tutti sono familiari ma leggermente sbagliati, abbastanza da farti chiedere se l’individualità conti ancora qualcosa”. Un trionfo dell’algoritmo: in una delle interazioni che precedono l’irruzione finale del “virus” (che poi virus non è, ma rende l’idea), ci si domandava se un’opera d’arte creativamente scadente potesse comunque essere considerata tale, se capace di generare un’emozione in qualcuno. È una riflessione interessante e trova tanti echi nel nostro approccio a tanti prodotti televisivi, cinematografici o musicali: meritano davvero di essere sminuiti, al di là del loro valore creativo? Non è la connessione emotiva che si innesca col pubblico a fare davvero la differenza? Magari ne parleremo approfonditamente un’altra volta.

In ogni caso, il rischio di trasformare la creatività umana in un asettico perseguimento delle logiche algoritmiche è altrettanto incombente.

Ne parlammo qualche tempo fa, domandandoci quanto possa essere artificiale, talvolta, la stessa intelligenza umana. E non è un impulso ad abbandonarsi asetticamente alla tecnologia, affatto: al contrario, è la vocazione alla ricerca di un’interazione reale in cui non disperdere il cuore e la mente. Non dimentichiamo, però, di cosa siamo capaci quando un genio come Gilligan si mette al servizio dell’umanità: “Una storia tanto originale quanto appassionante. Vince Gilligan conferma che la creatività resta insostituibile, e che nessuna intelligenza artificiale potrà mai replicarla davvero”.

Il bello di Pluribus è che stimola un livello d’analisi interessantissimo: mette alla prova il pubblico e scommette fino in fondo sulla sua fame di complessità. Da questo, nascono interazioni del genere: “Tutto in questa serie è profondamente simbolico. Ogni personaggio rappresenta un comportamento collettivo del mondo reale: ci sono quelli che temono di perdere le persone a cui tengono, quelli ingenui che si lasciano sedurre dal sistema, quelli che non capiscono cosa diavolo stia succedendo e si limitano a guardare le giraffe mentre mangiano le loro piante, quelli che cercano di trarre vantaggio da qualsiasi situazione e, infine, quelli che si preoccupano davvero degli altri, indipendentemente dal fatto che li sostengano o meno”.

E ancora:Il simbolismo di questa serie è incredibile, stratificato all’estremo: puoi addentrarti nei suoi significati e collegarli al comportamento sociale, a questioni etiche ed esistenziali. E probabilmente, alla fine, sarà tutto lì, davanti a noi. Non credo che la serie debba offrirci una risposta “giusta” o “sbagliata”, ma che debba mostrare una visione neutrale, e finora, secondo me, ci è riuscita perfettamente”.

Già, una risposta giusta o sbagliata. Perché è giusto domandarselo: è ovvio parteggiare immediatamente per Carol e per la sua causa, quasi fosse l’espressione ideale dell’approccio che dovremmo avere in una situazione del genere. Ma è corretto non prendere in considerazione l’alternativa offerta dal “virus”?

Pluribus, la serie tv in arrivo più attesa del periodo
Credits: Apple TV+

Leggiamo ancora: “Questa serie mi ha davvero fatto riflettere: sarei più una Carol o un signor Boner? Mi piace pensare che lotterei per l’umanità, ma immagina un mondo di pace, in cui ogni singolo individuo è impegnato solo a renderti felice. Credo che, sul lungo periodo, la mia reazione sarebbe la stessa di Carol. Immagina passare anni senza una vera connessione umana. Lei l’ha semplicemente sentito subito”.

Già: “Il mondo che hanno costruito qui è incredibile. Sulla carta è un paradiso: niente fame, niente guerre, niente stress. Puoi letteralmente fare tutto ciò che vuoi. Ma è un vuoto perfetto, senza legami autentici, senza nessuno da cui sentirsi lontani, senza nessuno con cui litigare o da perdonare. Sembra che l’umanità sia stata ridotta a rumore di fondo per un sistema perfetto che non ha più bisogno di noi. È per questo che il dolore di Carol colpisce così tanto: è l’unica rimasta a ricordare cosa significhi davvero provare qualcosa di reale”.

Una pace a tutti i costi? Tutti… tutti? “Se il virus era pensato per portare la pace, è quasi tragico quanto invece abbia appiattito tutto. La pace senza conflitto non è pace, è sedazione. Forse è proprio questo il punto. Forse gli alieni, se davvero sono alieni, hanno cercato di “aggiustare” l’umanità cancellando ciò che la rendeva umana. E Carol è l’anomalia del sistema, il promemoria che equilibrio, caos, amore e perdita contano tutti allo stesso modo. È questo che rende questa storia così inquietante e difficile da dimenticare”.

Tutto molto bello: Pluribus ha già creato intorno a sé una solida community che ha deciso di farsi prendere per mano da Gilligan. Non per essere guidato verso le risposte, ma verso le domande.

Eppure non mancano le voci critiche, ed emergono in particolare in un post su Facebook in cui Rotten Tomatoes ha celebrato il 100% di Pluribus.

Ne riportiamo alcuni.

“Il primo episodio è stato fantastico, mi aveva completamente catturato. Il secondo, invece, mi ha perso per strada. Se la serie vuole diventare una sorta di commento sociale sul rapporto tra esseri umani e mente collettiva, per me è no. Non mi interessa proprio”. Non è il solo: “Un altro esperimento con una pelle fantascientifica, ma senza una vera storia”. C’è poi chi ha dei dubbi da fugare: “L’episodio è stato molto ben diretto e ben realizzato. Tuttavia, la premessa potrebbe diventare noiosa e ripetitiva rapidamente. Bisognerà aspettare e vedere come gestiranno la situazione”. Qualcuno la vede persino poco creativa: possiamo parlare di tutto, ma in questo caso è difficile trovarsi d’accordo. E quindi: “Ammettiamolo… l‘umanità ha prosciugato le sue riserve di immaginazione e creatività, quindi ora si limita a riciclare idee. Quindi mi aspetto che ‘la grande rivelazione’ sia contorta e inverosimile come in Severance”.

Ci sentiamo di replicare: al di là della trama in sé, è lo sviluppo che ne consegue a fare tutta la differenza del mondo. Ma va benissimo così: il confronto nasce attraverso tesi discordanti.

Tesi che talvolta sospendono il giudizio in un vero e proprio atto di fede: “Meh. Ma è così che è iniziato Breaking Bad. Gli darò una possibilità grazie a Rhea”.

Anche qui, comunque, non mancano le riflessioni evocative: “I primi due episodi di Pluribus mettono in scena un’idea che nasce direttamente dalla nostra realtà. Non sono d’accordo con chi la interpreta come la storia di una donna che cerca di salvare il mondo dalla felicità. Io ci vedo qualcos’altro, da un’altra prospettiva: l’isolamento che un individuo vive all’interno della società. È qualcosa di semplice ma terribilmente attuale, causato dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale. Ogni scena di quei due episodi può essere letta come una traduzione diretta della nostra relazione con l’AI: un’entità che esegue i comandi senza mai mettere in discussione nulla. Può essere un medico, un pilota, uno chef, un consulente psicologico, chiunque vogliamo che sia”. E chiude: “Hai notato che tutti i personaggi infettati dal virus sorridono? Esattamente come fanno i modelli di intelligenza artificiale quando interagiscono con noi”.

Decisamente sì, e dovremmo ricordarlo sempre: non è difficile abituarsi all’interazione con “qualcuno” che ti dia sempre ragione e abbia una presunta verità in tasca. Una verità incontestabile, soprattutto.

Ci avviamo alla conclusione di questa strana “recensione” di Pluribus. E lo facciamo tornando a casa: abbiamo selezionato, infatti, alcuni tra i commenti più interessanti che abbiamo ricevuto nelle ultime ore sulla nostra pagina Facebook e all’interno della nostra community. Scrive Marko Galli, avanzando alcune perplessità su quella che potrebbe essere la ricezione generale sul lungo periodo: “Ho visto solo la prima puntata e mi pare piuttosto inquietante come ambientazione generale. Ma anche difficile da portare avanti come sceneggiatura. Il ritmo ricorda molto quello di Chuck McGill mentre girava con la stagnola. Può non piacere a tutti“.

Un dubbio legittimo, come interessante è il punto di vista di Alessio Bolognesi: “A mio avviso tenere un ritmo così nel 2025 è molto rischioso. Lo spettatore base ha 1/3 dell’attenzione di 15 anni fa”. Avevamo parlato anche di questo, qualche tempo fa. E non possiamo negarlo: il rischio c’è.

La fame di complessità è comunque onnipresente anche sui nostri canali.

Scrive Francesca Fischetti, in particolare: “Vorrei aggiungere che La Macchina del Tempo di Wells (il romanzo) deve aver in qualche modo ispirato in nostro Vince. È già stato citato in BCS, ma bisogna leggerlo per capire che quasi nessuno ha compreso appieno la citazione. Molti hanno parlato di ‘rimpianti’, ma non sono quelli il focus della macchina del tempo. È la civiltà, il vero focus. La civiltà del futuro, come le differenze di classe si evolvono fino a diventare mostri”.

Quanto è bella una serie tv che permette di inoltrarsi in tematiche del genere, sviluppando oltretutto piacevoli conversazioni approfondite in un’era in cui i più non fanno altro che alzare o abbassare il pollice per esprimere un’opinione? Sono sempre più rare, e sono necessarie come non mai: non sappiamo ancora quale sarà il destino di Pluribus, ma al di là di tutto è già un successo anche solo per questo. Ci hai sorpreso ancora, maestro Gilligan.

Antonio Casu