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Perché Sei Come Sei – La Recensione: la faticosa conquista di un’identità

Il genere umano ha un’unica arma veramente efficace: ridere, scrisse Mark Twain. E talvolta è proprio così: le circostanze sanno essere tanto complesse che tutto ciò che resta è farsi una bella risata. Sembra che di questa verità la nuova comedy originale Netflix, Perché sei come sei, abbia fatto la sua missione. L’episodio pilota – inizialmente concepito per far parte della serie antologica made in Australia Fresh Blood – ci trasporta velocemente nelle vite un po’ strampalate (ma piene di buoni propositi) di Penny, Mia e Austin, tre coinquilini alle prese con la fatica di conquistare indipendenza e identità. I loro modi brutalmente schietti, la voglia irrefrenabile di correggere tutto ciò che di sbagliato vedono nel mondo intorno a loro e – non ultima – la necessità di trovare la propria strada sono gli elementi essenziali di una sitcom che racconta la cosiddetta Generazione Z senza inibizioni e con quel pizzico di irriverenza che non guasta mai.

Il titolo originale della serie, Why Are You Like This, deriva dal famosissimo meme in cui un ragazzo davanti al proprio riflesso nello specchio si chiede il perché dei suoi atteggiamenti a volte completamente fuori da ogni logica. E già questo basterebbe per inquadrare il tono della prima stagione di Perché sei come sei. 

perché sei come sei

Ambientata a Melbourne, la serie ci presenta tre protagonisti poco oltre i vent’anni, tutti alle prese con qualche tipo di dilemma. Mia ha appena perso il lavoro e la colpa, secondo lei, è della misoginia e del razzismo del suo capo e non delle sue “piccole” sviste o del suo trascurabilissimo lassismo. Anche Penny è alle prese con problemi al lavoro: sta infatti cercando di combattere da sola le disparità di genere e gli atteggiamenti tipici della mascolinità tossica che ha notato nel suo ufficio. Ancor peggio, si rende conto che un suo collega sta cercando accuratamente di aggirare tutti i discorsi riguardo alla festa per l’orgoglio queer che sta per tenersi in azienda. Sconcertata si rivolge al capo: forse si trovano davanti a un caso di subdola omofobia. E Penny, con il suo spirito da perfetta alleata LGBTQA+, non può starsene con le mani in mano.

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C’è soprattutto Austin a darle manforte: in fondo, come dice lui stesso, non ha affrontato tante difficoltà per venire a patti con la propria sessualità solo per essere messo a tacere da un mondo omofobo. Ma se gli intenti dei nostri tre social justice warrior sono più che sacrosanti, i risultati delle loro lotte si dimostrano estremamente variabili e oscillano tra il disastroso e l’esilarante.

La simpatia suscitata da Perché sei come sei sta tutta in queste circostanze imbarazzanti in cui i protagonisti si infilano senza rendersene conto. La loro voglia di sottolineare e correggere tutte le ingiustizie del mondo li porta inevitabilmente a scontrarsi con le mille sfaccettature della realtà. La serie non sempre sceglie il modo “corretto” di portare in scena le sue tematiche di punta, l’obiettivo è principalmente quello di regalarci un parterre variegato di personaggi che ci spingono – a fine puntata – a parlare di ciò che abbiamo visto e di quello su cui abbiamo riso. Che poi è un po’ come invitarci a un dibattito sul mondo e la sua percezione al giorno d’oggi: con tutti i disagi, gli imbarazzi e le incomprensioni che ne derivano inevitabilmente.

La depressione di Austin affrontata a suon di meme, gli atteggiamenti dai tratti sociopatici di Mia e l’attivismo molto performativo di Penny non vogliono essere un “attacco” alla Generazione Z, né un modo per sminuirne le battaglie. Al contrario, mette le tematiche più dibattute degli ultimi tempi al centro della scena e le libera da quell’aura mostruosa che ha attribuito loro l’opinione pubblica, dimostrandoci che in una serie che parla di inclusività può esserci ben poco di politically correct e moltissimo da ridere.

Inclusiva, irriverente, sfacciata, Perché sei come sei cerca la chiave migliore per farci ridere di ogni circostanza in modo intelligente.

La sua vera arma di punta è quel connubio perfetto tra autoironia e satira che permette a ogni episodio di raccontarci la realtà odierna senza mai perdere di vista l’obiettivo ultimo di una sitcom: strapparci una risata che ci lasci il giusto spunto per una riflessione finale. Ed è specialmente grazie ai tre attori protagonisti (citare i nomi) che la serie riesce in questo intento. 

Forse non ha ancora il retrogusto delle grandi comedy che ci hanno fatto sentire come in presenza di vecchi amici e non porta con sé quel modo brillante di raccontare la vita dei personaggi che potrebbe renderla una serie particolarmente rivoluzionaria, ma non si può negare che sia uno spaccato sui nostri giorni capace di mostrare pregi e difetti di tutti i personaggi che mette in gioco, senza mai porsi con sguardo moralistico sulle vicende che porta in scena.

Se c’è qualcosa in più da chiedere alla serie è che si spinga oltre le impalcature della sitcom, che si liberi da quelle puntate-siparietto, e che punti invece a una trama continuativa. Ma se le modalità sono legate ai vecchi schemi comedy, i temi da cui scaturiscono le risate non possono che risultare freschi: ciò che di certo non manca a Perché sei come sei è una sequenza battute che potrebbero entrare a gamba tesa tra i meme e le gif più utilizzate online e scene divertenti dal sapore squisitamente moderno

In soli sei episodi, la prima stagione ci parla (e ci fa sorridere) inequivocabilmente di noi stessi. E mentre gli sketch si rincorrono sullo schermo abbiamo la sensazione di guardare il nostro riflesso allo specchio, con una voce all’orecchio che ci sussurra la domanda più vecchia del mondo: ma perché siamo fatti così? 

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