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Outer Banks 2, la Recensione – Tra alti e bassi, il finale che non volevamo vedere

Parliamoci chiaro, Outer Banks è la classica serie da binge watching irrefrenabile, ma che al tempo stesso non fa altro che farci dubitare e chiedere “ma cos’ha di speciale?”.

In realtà, e ve lo dico pur essendo una grande fan, assolutamente niente. Partiamo da un assunto fondamentale: nonostante la prima stagione abbia creato intorno a sé una buona fanbase, non è solo questo il motivo che ha permesso ai creatori Jonas Pate, Josh Pate e Shannon Burke di dare vita a una seconda stagione. Pare infatti che un grande incentivo l’abbiano dato i bassi costi di produzione. Cosa che chiaramente piace molto ai produttori e un po’ meno a chi di prodotti televisivi se ne intende.

Nonostante tutto, anche questa seconda stagione spacca (quasi fino alla fine), pur incappando in alti e bassi davvero evidenti e di cui mi lamenterò (non potrebbe essere altrimenti, no?) nelle prossime righe.

Dove eravamo rimasti?

Della trama della prima stagione parlo qui. Prima di proseguire con gli sviluppi delle nuove puntate, però, è bene fare un piccolo recap.

Tramite una serie di indizi lasciati dal padre di John B. e la bravura nel decifrare enigmi, i ragazzi riescono a trovare l’oro. Ma Cameron Ward, padre di Sarah e che all’inizio aveva finto di voler aiutare John B., riesce a rubare i lingotti e a spedirli in un deposito sicuro a Nassau. Mentre John B. prova a fermare Ward con l’aiuto dello sceriffo Peterkin, interviene Rafe, e Kooks uccide lo sceriffo. Ward in maniera astuta riesce ad attribuire la colpa a John B., che è costretto a scappare.

Sarah capisce che il padre è un criminale, e così scappa con lui in un rocambolesco inseguimento navale che li vede finire vittime della tempesta. Fortunatamente vengono poi raccolti da una nave, e la serie si chiude con John B. e Sarah vicini a Nassau, che possono ancora raggiungere l’oro.

La seconda stagione funziona?

Come accennato in precedenza, non posso rispondere in maniera del tutto affermativa. Partirei anzitutto dalle cose che funzionano.

La trama in primis si sviluppa bene, le vicende sono accattivanti e i continui colpi di scena sul finale delle singole puntate non ci permettono di limitarci alla visione di una sola di queste (e considerata la durata che va dai 40 ai 50 minuti, questo è un grande “problema”). Gli attori, quasi tutti alle prime armi o comunque con ruoli di poca importanza alle spalle, se la cavano molto bene, fatta eccezione per Jonathan Daviss che fa fatica a ingranare, soprattutto quando le vicende iniziano a concentrarsi su di lui. In particolare, si distinguono l’amatissima Madelyne Cline e Drew Starkey. La prima ci regala delle performance tragiche davvero credibili, il secondo dei momenti altissimi di tensione grazie alla sua ottima interpretazione da persona completamente fuori di testa.

L’evoluzione dei personaggi, in particolare il ruolo di Rafe, è strutturata molto bene. Il ragazzo è fin da subito evidentemente problematico, ma il vero delirio ha inizio con la “morte” del padre, l’unico in grado di tenerlo a bada.

Outer Banks e le love story

Le love story sono sempre state in secondo piano, ma pur sempre presenti all’interno delle vicende dei personaggi. La relazione tra Pope e Kiara è forzata, probabilmente non necessaria ma usata per rendere più credibile la presenza di vicende adolescenziali. I due, per qualche strano motivo, pur non andando mai a scuola non destano la minima preoccupazione nei confronti di nessuno, se non nei genitori di Kiara che vogliono mandarla in collegio (solfa trita e ritrita).

La storia d’amore tra John B. e Sarah ci piace, i due piccioncini (coppia anche nella realtà) riescono a trasmettere un’autentica sintonia che riesce a coinvolgerci e a farci tifare per la relazione.

Cosa non funziona?

Domanda lecita, perché purtroppo in questa stagione di Outer Banks diverse cose non sono andate come avrebbero dovuto.

Al netto della noiosa lista di aspetti tecnici discutibilissimi, tra cui immagini notturne di bassissima qualità ed evidenti problemi di regia, c’è da evidenziare la presenza di clamorosi buchi di trama e derive evitabili.

La morte del padre di Sarah ci spiazza e ci piace allo stesso tempo, perché rimescola le dinamiche della coppia e ci regala un colpo di scena alla Game Of Thrones che non guasta mai. Tutto molto bello, se non fosse che in realtà Ward è ancora vivo. Gli sceneggiatori hanno dunque sentito l’esigenza di buttare altra carne al fuoco per favorire un’eventuale terza stagione e altre 4 puntate nella seconda: la storia di Pope, famiglia, croce, cose inutili.

La ricerca della croce appare prima incomprensibile e poi forzatissima. Il momento in cui tutti hanno la lacrimuccia davanti alla tomba della prozia fa storcere il naso, infatti quando Sarah perde il padre non le viene data neanche una pacca sulla spalla, mentre per la prozia mai conosciuta e morta chissà quanto tempo prima il comitato dei Pogues piange raccolto.

Questi adolescenti (che dovrebbero avere 17 anni?) non vanno mai a scuola, fanno quello che vogliono, inseguono crimini e nessuno se ne preoccupa minimamente. Inoltre, tutti la fanno franca; sulla pistola con cui è stato ucciso lo sceriffo c’erano le impronte di Rafe, ma questo è stato ugualmente scagionato perché il padre si è “preso la colpa”. Fanno incidenti, distruggono auto e luoghi, ma nessuno batte ciglio.

Passiamo poi ad altre due scene che definirei inutili e a tratti imbarazzanti. La fuga del padre di JJ non apporta nulla di nuovo ed utile alla trama, se non far arrivare in ritardo i soccorsi da John B. che nel frattempo combatte con un alligatore (WTF?). Ebbene sì, i creatori di Outer Banks, dopo aver visto The Revenant e la lotta di Di Caprio con l’orso, hanno pensato bene di far combattere John B. con un alligatore (dai, ma per favore!).

Tante critiche. Ma Outer Banks si guarda, eccome se si guarda

outer banks

Proprio come anticipato fin da subito, le cose che non funzionano sono diverse, ma quelle che vanno bene sono coinvolgenti al punto da battere i difetti. Chiaramente si tratta di prendere la serie esattamente per quello che è: una serie basso budget, adolescenziale e leggera.

La sua grande fortuna e bravura sta in un cast che ha saputo sfruttare al meglio l’epoca in cui si trova, utilizzando i social media per comunicare e rendere partecipe il proprio pubblico, che ne è rimasto letteralmente ossessionato (su questo potete fidatevi, sono diretta testimone). L’introduzione di nuove figure nel cast ci ha da una parte confuso, ma dall’altra ha reso possibile l’uscita da una fase di stallo che la serie si sarebbe trovata ad affrontare. Diamo quindi il benvenuto a Elizabeth Mitchell nel ruolo di Limbrey e Carlacia Grant, che saranno tra le colonne portanti di una quasi certa terza stagione.

Il finale, del resto, è un misto di emozioni e nervosismo. I ragazzi come supposto sopravvivono anche questa volta e si rifugiano da naufraghi su un’isola, lasciando il povero Topper con il cuore spezzato in attesa della sua Sarah. L’effetto Game Of Thrones svanisce presto, ricordandoci che stiamo guardando Outer Banks, e se non fosse sufficiente la croce che probabilmente riporterà i giovani all’avventura, scopriamo che Ward non è morto (ma non mi dire!).

Ma ciò che sul finale distrugge tutto quanto di buono detto finora è il colpo di scena meno desiderato al mondo: il padre di John B. è ancora a vivo.

E niente, a voi i commenti!

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