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Solo un episodio prima dell’attesissima conclusione della terza stagione di Only Murders in the Building. Il tempo passa ma questa serie non sembra invecchiare mai, frutto di un mix perfetto di elementi che la rendono il prodotto ideale per una rilassata fruizione che non trascuri però anche la componente intrigante. Only Murders in the Building sulla carta, forse, prima del suo esordio non risultava così quotata: alcuni storcevano il naso di fronte alla scelta di Selena Gomez, altri davanti a un format che non pareva dovesse regalare grosse novità. E invece due anni orsono, quando Only Murders in the Building ha fatto il suo debutto è stato un meritatissimo tripudio di consensi. Ha funzionato tutto, non solo una trama avvincente su uno sfondo unico al mondo come quello della Manhattan neorinascimentale ma anche l’incredibile affiatamento dei suoi protagonisti.

Il primo tocco di genio però è stato senza dubbio proprio l’ambientazione.

Scegliere un palazzo storico (per forza di cose fittizio, onde evitare di macchiare il nome di uno autentico) di forgia tipica della New York di inizio ‘900 è una scelta vincente. In questi palazzi d’epoca al lusso tutto moderno proprio della gentrificazione della “New York bene” dei giorni nostri si uniscono anche segreti architettonici che rimandano dritti alle origini della Grande Mela. Cunicoli segreti, nicchie, stanze nascoste, Manhattan ne è colma: se ne ritrovano in hotel decaduti, in uffici postali, in importanti grattacieli. Sotto New York è un’altra New York spesso teatro di macabre e affascinanti leggende e mitici eventi storici. Stazioni di carico sotterranee, cunicoli di rami morti della metropolitana e chi più ne ha più ne metta: Roosevelt stesso usò uno di questi passaggi abbandonati per lasciare la città senza far notare il peggioramento della sua paralisi mentre Warhol vi organizzò un leggendario party underground.

Martin Short
(640×360)

Only Murders in the Building recupera tutto questo: recupera il mistero, la leggenda, il fascino d’altri tempi di una New York old-style e lo condensa in un unico, iconico, seppur posticcio, palazzo: l’Arconia. Nella nostra classifica dei 5 momenti più geniali di Only Murders in the Building non a caso abbiamo inserito al quinto posto proprio la trovata dei tunnel che conferiscono mistero, tensione e fascino irresistibile all’indagine dei tre protagonisti. Rivestono un ruolo centrale nella prima stagione ma tornano in maniera più o meno diretta anche nelle successive pur nella necessità di trovare nuovi stimoli di attrattiva. Naturalmente però Only Murders in the Building è molto più di questo.

È anche e soprattutto Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez, un trio tanto eclettico quanto rodato.

Quello che stupisce di più non è tanto la maestria recitativa di due mattatori indiscussi come Martin e Short, perfettamente calati nella parte, irresistibili nei loro anacronismi. No, stupisce molto di più la resa attoriale di Selena Gomez, sicura, pulita, scafata. La ragazza, che certo non è nuova alla recitazione visti i suoi esordi televisivi con la Disney, non solo rispolvera alla grande la sua esperienza pregressa ma mostra una crescita personale di tutto rispetto.

Senza il bisogno di strafare (per quello ci sono già Steve e Martin), la Gomez si cala perfettamente nella parte, tanto che le malelingue dietro la figura di Mabel hanno voluto vedere la stessa Selena. Illazioni spazzate vie da questa terza stagione che mostra un’evoluzione concertata del personaggio: una psicologia ben definita, fatta di incertezze personali crescenti, cinismo autoprotettivo, paure da sindrome di abbandono. Il tutto reso con un gusto e una delicatezza rari. Insomma, Selena Gomez sta dimostrando, tra le altre cose, di essere anche un’attrice a tutto tondo. E lo sta facendo con uno stile e una bellezza così semplici ma iconici da diventare una vera moda.

Only Murders in the Building
(640×360)

Questa stessa palette di colori e abiti che contraddistingue i personaggi non fa altro che arricchire Only Murders in the Building di una brillantezza scenografica che si prefigura già dalla sigla. Ogni personaggio ha una sua splendida e solo apparentemente stereotipata caratterizzazione, non solo nell’outfit ma anche nei modi. Dal portiere dello stabile all’apparentemente burbera e asociale amministratrice passando per l’esuberante condomino Howard: tutti contribuiscono a creare uno microcosmo così vario che ci dimentichiamo completamente che esiste un mondo al di fuori dell’Arconia. New York è lontana dall’occhio della telecamera, solo evasivamente allusa dalle architetture del palazzo, dalle parlate e dai modi dei personaggi, da qualche raro scorcio che ci catapulta fuori dal teatro di tutti gli eventi.

Questo mondo di paillettes e luci si mescola al mistero degli eventi con un mix di incredibile riuscita.

L’aspetto drammatico si affianca e integra perfettamente a quello comico, al registro leggero portato avanti in particolare dai tre protagonisti. Lo scontro generazionale tra Charles-Haden Savage (da leggere tutto d’un fiato) con Oliver da un lato e Mabel dall’altro, è scoppiettante: i giochi di parole appaiono riusciti, le stilettate sempre ben assestate. Si strizza l’occhio ai giovani ma anche alla vecchia generazione, con Mabel che racchiude in sé entrambi gli aspetti con quel suo old style comportamentale e di outfit misto alla padronanza delle nuove tecnologie e alla sua freschezza mentale. Insomma c’è tutto: gusto vintage, comicità salace, parodia del vecchio e del nuovo.

Mystery
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E poi, naturalmente, c’è il mistero. E qui sta il grande, ininterrotto merito di Only Murders in the Building. Perché se una prima stagione sorprendente può sembrare un’eccezione, ripetere il successo per altre due stagioni conservando scenari analoghi non era facile. La trovata per ovviare all’uso ormai saturo degli spazi dell’Arconia, in questa terza stagione, è stata geniale: il fulcro degli eventi è stato spostato in un teatro d’epoca (anch’esso con tutti quei misteri, cunicoli, segreti e miti) mantenendo però come luogo dell’assassinio (e spazio ricorrente) l’Arconia così da giustificare il titolo della serie e del podcast che rimane coerentemente, immancabilmente Only Murders in the Building.

La trama ben orchestrata in ogni stagione completa il quadro ricco di attrattiva di questa serie. Il mistero sull’omicidio, i passi che portano i tre maldestri detective ad avvicinarsi alla soluzione, i continui colpi di scena tengono incollati allo schermo come ogni giallo si promette di fare. Il limite, forse inevitabile, è l’impossibilità di dedurre il colpevole dagli indizi seminati. Il colpo di scena finale (almeno finora) è stato un vero coniglio dal cilindro del quale nessuno poteva avere sentore se non a poco dalla conclusione stessa. Poco male, sarebbe forse peggio vedersi rovinata la soluzione del mistero da un attentissimo spettatore che la spoilera su Reddit. E allora ben vengano il continuo ribaltamento di colpevole, le nuove piste che appaiono improvvise, i cortocircuiti di alcune teorie, l’assassino più che insospettabile.

In fondo seguiamo Only Murders in the Building anche per il mistero da dipanare ma soprattutto perché ci piace.

Ci piacciono le atmosfere, ci piace l’affinità dei protagonisti, gli scenari ora crepuscolari ora splendenti di un teatro di terza categoria di Broadway, le figure di contorno, la loro irriverente simpatia e antipatia. Ci piace Selena Gomez con i suoi iconici outfit, Martin Short con la sua irrefrenabile e vacua teatralità, Steve Martin con la goffaggine narcisistica da attore decaduto. E poi i tunnel e le botole, i passaggi segreti e le soffitte dimenticate, l’irriverenza e il non prendersi mai sul serio. L’ironia e la meta-ironia.

Only Murders in the Building
(640×360)

Insomma, questo show non sarà forse una serie d’autore ma neanche vuole esserlo. Sa curare la sua fotografia senza dover arrivare a farne un quadro pittorico; sa costruire e sviluppare psicologie intriganti senza drammi colossali e insormontabili dilemmi morali; riesce ad avvincere per trama senza dover costruire intrecci mirabolanti e viaggi dell’eroe. In altre parole ci fa semplicemente stare bene nella sua essenzialità. Ed è a questo che dobbiamo il successo ininterrotto di Only Murders in the Building.