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Cosa non ha funzionato in Nine Perfect Strangers 2?

Copertina di Nine Perfect Strangers 2

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Quando a tornare sugli schermi di Prime Video è stata Nine Perfect Strangers 2, l’aria che si respirava era quella tipica dei grandi ritorni: entusiasmo, curiosità e, soprattutto, aspettative altissime. La prima stagione, pur con tutti i suoi problematici limiti, aveva avuto il merito di sorprendere. Aveva saputo sfruttare la tensione psicologica e la sua atmosfera da wellness–thriller per dire qualcosa, almeno in potenza, sul dolore, sulla ricerca di sé e sul culto contemporaneo della spiritualità da resort di lusso. Tuttavia, portava addosso un difetto comune a molte produzioni firmate David E. Kelley: un certo compiacimento estetico.

Il pubblico, in fondo, voleva solo capire se quella visione avesse ancora qualcosa da dire. La seconda stagione risponde a quella domanda nel peggiore dei modi: con un “sì” esitante, o meglio, con un “forse” che si dissolve episodio dopo episodio. Tutto ciò che nella prima stagione era tensione, qui diventa formula. Ciò che era mistero, diventa meccanismo. Quella che era potenza psicologica, diventa estetica. È come se la serie avesse dimenticato che l’inquietudine non nasce dal colore dei filtri o dalle dissolvenze al neon, ma dall’impossibilità di capire dove finisce la terapia e dove inizia la follia.

Il primo cedimento di Nine Perfect Strangers 2 è narrativo

La scrittura della storia non sa più perché esiste. Senza un romanzo di Liane Moriarty a fungere da architrave, gli autori sembrano procedere a tentativi. Il risultato è una stagione che non racconta nulla di davvero necessario. Masha, l’enigmatica guru interpretata da Nicole Kidman, viene spogliata della sua aura di mistero (ecco le serie mistery da non perdere). La serie decide di far luce sul suo passato, di scavarle dentro, di spiegarla. Ma il mistero, quando lo si spiega, muore. Il fascino della Masha della prima stagione stava nella sua impenetrabilità: non capivi se fosse un’illuminata o una manipolatrice, una sciamana o una truffatrice. Nella seconda, è tutto chiarito, tutto narrato, tutto appesantito.

L’alone mistico si riduce a retorica spirituale, e il personaggio che prima dominava la scena diventa prevedibile, quasi stanco di se stesso. In questo scivolamento verso l’ovvio, Nine Perfect Strangers 2 compie il suo errore più grande, confondendo la profondità con l’esagerazione. Le sequenze psichedeliche, che nella prima stagione erano frammenti calibrati e significativi, qui invadono lo schermo fino a diventare autoindulgenza pura. Gli allucinogeni, le visioni, le dissolvenze sature e tutto il resto, serve a ricordarci quanto la serie voglia apparire complessa, senza mai realmente esserlo. Il risultato è un’orgia visiva priva di catarsi, un trip estetico che si consuma su se stesso. Sembra di assistere a un montaggio di videoclip di lusso, dove l’effetto sostituisce l’emozione.

Una scena di Nine Perfect Strangers 2

Il paradosso: la Serie Tv è benfatta ma disorientata

Tutto, in questa seconda battuta funziona, tecnicamente. La fotografia è perfetta, i costumi impeccabili, la colonna sonora costruita con gusto chirurgico. Ma è una perfezione fredda, come quella di un resort benessere in cui ogni cuscino è al suo posto ma nessuno ha voglia di sdraiarsi davvero. Il disagio che la serie dovrebbe trasmettere si spegne nel compiacimento visivo, e lo spettatore resta fuori, escluso, a guardare personaggi bellissimi e tormentati che si muovono in spazi altrettanto belli ma narrativamente sterili. Anche il cast, sulla carta straordinario, soffre questa mancanza di direzione. Christine Baranski, Murray Bartlett, Mark Strong, Annie Murphy: nomi che potrebbero reggere una stagione intera ciascuno, ma che qui vengono sprecati in ruoli che non hanno un vero arco evolutivo. I personaggi si presentano, raccontano il loro trauma e restano lì, sospesi.

È come se la serie volesse abbracciare troppe voci e finisse per soffocarle tutte. Non c’è un’idea chiara di cosa significhi “essere uno dei nove perfetti sconosciuti” e la coralità si riduce a una serie di monologhi (qui i migliori monologhi delle serie) privi di eco. Il tono, poi, è il campo di battaglia più evidente. Nine Perfect Strangers 2 non sa che tipo di racconto vuole essere. A tratti si atteggia a thriller psicologico, in altri momenti flirta con il dramma mistico, altrove si abbandona a un sentimentalismo quasi soap. Ma non costruisce mai un equilibrio tra queste anime. Non è abbastanza inquietante per spaventare, né abbastanza empatica per commuovere. La serie sembra soffrire di quella sindrome da seconda stagione che colpisce molti prodotti di successo: la paura di cambiare e la paura, uguale e opposta, di restare uguali. Così finisce per fare entrambe le cose, male.

In Nine Perfect Strangers 2 non manca l’ambizione

Si sente che la serie vuole parlare di temi importanti come la formazione dell’identità, la spiritualità tossica, il bisogno di controllo che si nasconde dietro il desiderio di guarire. Ma tutto resta accennato. Ogni riflessione viene suggerita e poi abbandonata. Si ha la sensazione che gli autori temano la semplicità, che rifuggano il rischio di dire qualcosa con chiarezza. Invece, preferiscono l’alibi dell’enigma (ecco i misteri più famosi delle serie), una cripticità costruita a tavolino che alla lunga stanca. Il problema è che Nine Perfect Strangers 2 confonde il silenzio con la profondità, la lentezza con la riflessione, il caos con la complessità. Tutto appare calcolato, studiato per sembrare elevato, ma raramente si sente autentico. Anche la regia, pur splendida, è prigioniera del suo stesso formalismo: incornicia i personaggi come se fossero opere d’arte, ma non li lascia mai respirare. Ogni scena è un’illustrazione patinata, mai un momento vissuto.

La scelta di spostare l’ambientazione in un luogo montano, più isolato e simbolicamente puro, poteva rappresentare una rinascita. Invece diventa un altro sfondo da cartolina. Le montagne, il ghiaccio, la natura incontaminata, sembrano suggerire che la serie voglia scavare nel freddo interiore dei personaggi, ma le immagini restano vuote, slegate da qualsiasi tensione drammatica. È un’estetica che funziona in superficie, ma non produce risonanza. A livello tematico, Nine Perfect Strangers 2 aveva l’occasione di spingersi più a fondo nella sua critica al benessere di lusso, nel mostrare come la spiritualità possa diventare un’industria, una forma sofisticata di manipolazione. Ma preferisce il comfort del déjà vu: i riti, le terapie alternative, la seduzione del controllo. Non c’è più la sottile ironia della prima stagione, quella capacità di giocare con il confine tra cura e follia. Qui resta solo la ripetizione, svuotata di significato.

Nicole Kidman aka Masha

Il pubblico ha percepito la stanchezza del flusso

I numeri, i commenti e le recensioni dello show lo confermano. Nine Perfect Strangers 2 è stata accolta con freddezza, non per disprezzo ma per indifferenza (qui le serie che ci lasciano indifferenti). E l’indifferenza, per una serie che vive di suggestione e mistero, è la condanna più dura. La verità è che questa seconda stagione non fallisce perché è opinabile, ma, semplicemente, perché è inutile. Non aggiunge niente, non apre nuovi orizzonti, non osa davvero. C’è un momento, in uno degli episodi centrali, in cui Masha guarda i suoi ospiti e dice: “Non sapete cosa cercate, ma vi spaventa trovarlo.” Forse è la frase più sincera dell’intera stagione. Perché vale anche per la serie stessa. Di fatto, cerca disperatamente di ritrovare la propria anima, ma ha troppa paura di affrontare il vuoto che troverebbe dentro di sé.

È questo, in fondo, il fallimento più autentico della stagione: aver smarrito il coraggio di essere inquieta. Aver trasformato l’incertezza, che era la sua forza, in un difetto da correggere con la lucidatura dell’immagine. In un panorama televisivo sempre più dominato da sequel e ripetizioni, Nine Perfect Strangers 2 è la dimostrazione di quanto sia pericoloso tornare senza avere davvero qualcosa da dire. È una serie che brilla di una luce bellissima, ma fredda come quella di un centro benessere alle tre del mattino. Ti attrae per un istante, ma appena esci ti rendi conto che non ti ha lasciato nulla addosso, se non la sensazione di aver sognato qualcosa che non ricordavi più di volere.