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La Casa de Papel – Tokyo e Stoccolma: «Siamo donne circondate dal testosterone»

La terza stagione de La Casa de Papel ha ottenuto risultati straordinari (raggiungendo su Netflix un record mai ottenuto da una serie di lingua non inglese), a seguito dei quali sono state rilasciate numerosissime dichiarazioni da parte del cast.
Tra queste figurano Úrsula Corberó ed Esther Acebo, interpreti di Tokyo e Stoccolma nella serie.

Ai microfoni di Davide Maggio, LegaNerd, La Repubblica e ScreenWeek, le due attrici hanno dato vita a una interessante – e a tratti esilarante – intervista sul femminismo presente nella serie, sull’attribuzione dei soprannomi e sul passaggio a Netflix della terza stagione.

La casa de papel

A una domanda sulla presunta identità femminista de La Casa de Papel, le due attrici rispondono così:

Úrsula: Non la vedo come una serie particolarmente femminista, ma di certo i personaggi lo sono nella misura in cui affrontano i problemi delle donne di oggi, i conflitti, le decisioni che devono prendere. Anche perché sono donne che sono sempre circondate da testosterone e già soltanto il fatto di dover prendere posizione, marcare il territorio, è l’espressione del loro potere.

Esther: Quello che è interessante è che ci sono diversi tipi di donne, così che tutte le donne possano identificarsi. Ovviamente non sono tutte le donne del mondo, ma sono personaggi femminili forti, che vogliono dimostrare qualcosa, che alzano la voce e con punti di vista diversi.

Sulle dinamiche dei rapporti tra le donne della serie:

Esther: Credo di no, per fortuna o per sfortuna. Perché noi donne dobbiamo lottare molto, siamo circondate da molto testosterone, più che nelle stagioni precedenti. Dobbiamo lottare per affermare il potere femminile e, anche se siamo personaggi femminili molto diversi, riusciamo a creare tra noi un’alleanza, ci appoggiamo e ci rispettiamo in quanto donne.

Úrsula: Una cosa che mi piace molto in questa terza stagione è che ci sia un’alleanza tra donne e tra personaggi che prima erano nemici. Stoccolma era una delle prigioniere, Lisbona era una poliziotta. Questa unione tra donne rende ancora più evidente il “women power”.

È stato poi chiesto a Úrsula Corberò se il suo personaggio si sentisse in colpa per Rio:

Úrsula: Tokyo si sente colpevole, sì. Però io credo che questo non significhi che sia colpevole. Si sente colpevole perché è troppo dura e severa con se stessa. Credo che la colpa sia di Rio, perché lei era andata via con lo scopo di staccare un po’ e lui non è stato in grado di smettere di chiamarla. O in ogni caso del Professore, che ha avuto questa folle idea di metterla su un’isola deserta. Tokyo non è colpevole!

L’attrice di Tokyo risponde a un quesito relativo all’assegnazione dei soprannomi e alla loro attinenza col carattere dei personaggi, tra cui quella del suo soprannome, che potrebbe rappresentare il caos della città giapponese:

Úrsula: Ottima riflessione, non ci avevo mai pensato! Quando abbiamo filmato la scena in cui il Professore assegna i nomi, dissi al regista Jesús Colmenar di volere come nome Tokyo, non uno a caso. Quindi, non l’avevo mai vista in questi termini, ma in realtà ha senso. Lei è caotica. Forse nella terza stagione non la vediamo caotica come all’inizio, ma è pur vero che la sua essenza è fatta di sentimenti sempre in contrasto tra loro.

Le due hanno anche raccontato simpatici aneddoti relativi all’upgrade ottenuto con il passaggio a Netflix per la produzione della terza stagione de La Casa de Papel:

Esther: È stato un po’ come dare a un bambino delle ali o un giocattolo più costoso, per farlo giocare più in grande. Il team è rimasto quasi del tutto invariato, anche a livello di dinamiche l’essenza è rimasta la stessa, ma adesso abbiamo un giocattolo più potente con cui giocare.
Úrsula: Abbiamo anche un nuovo set, che è la sede di Netflix a Madrid, e abbiamo il bagno privato nel camerino. Sì, ci sono stati degli upgrade!
Esther: Ricordo che abbiamo fatto un video il primo giorno e sembrava fossimo appena uscite da una caverna, perché urlavamo “Fantastico, ho la doccia!”. Eravamo molto contente!

L’attrice di Stoccolma viene poi interrogata sul senso più profondo del legame tra il suo personaggio e il soprannome attribuitole, che la renderebbe una presunta “vittima“:

Esther: Credo che alla fine nelle vittime non ci sia nulla di attraente. Puoi, in una situazione, decidere di essere vittima o di essere un soldato e affrontarla. Questo è quello che ha fatto Monica. Anch’io ho avuto dubbi, dicevo: questa è sindrome di Stoccolma o vero amore? Perché non lo sapevo, nessuno lo sapeva. Però, per fortuna, nelle scene finali scopriamo che, oltre a quella che può essere iniziata come sindrome, c’è amore. Tutti i problemi, i conflitti che ora deve affrontare Monica/Stoccolma, sono reali, ma ha preso la decisione di smettere di essere vittima. Quindi, ora è in una posizione con molto più potere e responsabilità.

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