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Mindhunter è il viaggio distruttivo di chi non ha paura di perdersi nei ricordi

Il silenzio delle emozioni
nel mondo del male
origina menti criminali.

Mindhunter è il luogo del silenzio, dove l’ombra del non detto è la verità profonda della mente umana. Come una grande tempesta, che prima di rovesciare giù tutto ciò di cui nel tempo si è nutrita, ha bisogno della sua giusta atmosfera. La crea istante dopo istante, si nutre del grigio delle situazioni e delle cupe sfumature di devianti personalità. È la verità che ancora non è stata detta e che verrà svelata, in un equilibrio che si trasforma in caos, nel disastro che da un angolo di mente si propaga attraverso le persone, come un virus, come una psicosi.

Nasce tutto lì, in quell’angolo di vita vissuta, abitata di ricordi coperti da teli impolverati. Diventa, nelle storie dei protagonisti, l’interpretazione di una macchia di colore che si espande senza alcun limite, dall’utopia alla realtà del vero. Mindhunter è il dolce movimento della testa che scivola all’indietro, che guarda in alto e vede altrove. Si accorge di un posto nuovo, mai esplorato fino a quel momento.

Un luogo creato dall’ombra.

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La compulsiva ricerca di un metodo di misurazione si contrappone alla compulsione alla vita. Come una fantasia di illusioni che il test di Rorschach potrebbe definire o addirittura dedurre. Eppure negli anni di Ed Kemper e Charles Manson non ci sono test, non c’è la psicometria, ma solo interpretazioni di macchie astratte e nascoste che bisogna ritrovare negli angoli di mente.
Sotto i teli impolverati di menti criminali Holden Ford rincorre i fantasmi del passato, li conosce, li abbraccia e diventa ognuno di loro. Studia ogni loro sguardo, ogni loro azione e arriva inconsapevole a conoscere se stesso.

Non si torna più indietro, da qui si va solo avanti, nell’oscurità di quell’altrove che non ha luce né compassione. Dove è più facile perdersi che trovare un senso al percorso. Si è soli, Holden Ford è l’unico, è entrato in questo mondo con un altro essere umano, ma Tench non è pronto, ha saputo trovare la via del ritorno e non ha esitato. Ford invece in quell’esitazione ci è entrato e se ne è innamorato. Non può più fermarsi. Ormai di tempo per arrendersi nel luogo di Mindhunter non ce n’è più.

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La vita reale è solo la cornice che regge il quadro. Esiste, ma non ha più valore individuale. La vita al di là del male per Holden è un piacevole passatempo in cui riflettere sul disegno principale senza però averlo intorno. Una distrazione per quello che conta davvero, il luogo della vita vissuta, i ricordi di un tempo che salveranno i ricordi che verranno. L’importante è non perdersi nel passato, nei crimini già commessi. La regola fondamentale è non cedere alle lusinghe del buio di quell’angolo di mente che piano e dolcemente si manifesta ai suoi occhi e alla sua anima. Ma forse, è già troppo tardi, è tutto troppo complicato per evitare di essere frainteso.

Forse, Mindhunter è il luogo della vita che deve essere portata in superficie, con calma e discrezione.

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Ma ora Holden non può smettere di correre, vede fantasmi ovunque, corre così veloce e tanto che comincia a ricordare di non essere nel mondo reale, si ferma, improvvisamente. Si guarda attorno, non c’è più alcun fantasma, nessun altro essere umano, solo lui. Chi sta rincorrendo? Basterebbe guardarsi per conoscere la verità, basterebbe portare le mani davanti agli occhi per sapere di essere vivo, vero. Ha paura, ma alla fine lo fa ugualmente. Quello che vede non è quello che credeva di essere. Non esiste, non più. In quell’istante, facendo scivolare piano la testa all’indietro e chiudendo gli occhi, si accorge del mondo che ha creato semplicemente volendo conoscerne un altro di cui si è pian piano innamorato.

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