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L’Uomo delle Castagne: la corrente del giallo danese non si arrende. E fa bene

Spoiler Alert: L’articolo contiene spoiler su L’Uomo delle Castagne.

L’Uomo delle Castagne è una delle sere tv più chiacchierate e apprezzate del momento, e giunge direttamente dalla Danimarca. Avevamo sentito parlare dei danesi già con The Rain e Rita, prodotti che avevano appassionato moltissimi spettatori in tutto il mondo. Soprattutto The Rain: serie tv di genere survival distopico, con protagonisti un fratello e una sorella alle prese con della pioggi acida, la quale trasmette un pericoloso virus a chiunque si bagni (se considerate il fatto che in Danimarca piove sei giorni su sette, comprendete pienamente il dramma dei due poveri ragazzi).

Questa volta, però, i danesi si cimentano con i misteri del giallo poliziesco. Un genere che, in vero, è un pezzo forte in tutta la Scandinavia, soprattutto sul fronte letterario con penne del calibro di Camilla Lackberg e Jo Nesbo. Senza dimenticare, ovviamente, Søren Sveistrup autore del romanzo ‘Kastanjemanden‘ da cui è tratta la serie tv di Netflix. In realtà Sveistrup non è certo sconsciuto agli amanti delle serie tv, poiché già creatore e sceneggiatore di The Killing (serie tv danese conosciuta anche per il successivo remake americano), con protagonista l’ispettrice Sarah Lund (Sofie Gråbøl) e la bellissima città di Copenaghen.

Dunque Il giallo scandinavo, con L’Uomo delle Castagne, si dimostra all’altezza delle aspettative e, anzi, le supera.

uomo delle castagne
Naia Thulin, L’Uomo delle Castagne

Nella capitale danese, immersa nella foschia autunnale, il dipartimento di polizia è chiamato a risolvere una serie di crimini efferati, collegati dalla stramba e angosciante presenza di un uomo delle castagne su ogni scena del crimine. Ossia, un piccolo omino che i bambini danesi si divertono a costruire con due castagne e alcuni fiammiferi, prendendo spunto da una simpatica filastrocca.

La sfumatura infantile, trasposta dal contesto che le è proprio, assume delle tinte inquietanti e allo stesso tempo quasi psichedeliche. Così, le puntate scorrono una dopo l’altra, ed è quasi impossibile non cedere alla tentazione di vedere la serie tutta di un fiato.

Il punto di forza di tutta la narrazione è l’intreccio intrigante tra tematiche sociali, politica e traumi infantili. Il tutto condito da due protagonisti particolarmente carismatici, con cui viene semplice empatizzare nonostante la velocità della narrazione lasci poco spazio alla caratterizzazione degli stessi che, nel complesso, rappresentano un topos del genere thriller. Da un lato troviamo Mark Hess, agente della Europol che, a causa dei suoi metodi non sempre ligi al protocollo, viene temporaneamente trasferito alla Omicidi di Copenaghen.

Dall’altro lato, invece, c’è la detective Naia Thulin. Un personaggio che, a causa della sua storia personale, si inserisce perfettamente nel quadro narrativo disegnato da Sveistrup. La donna, infatti, è una madre single che, a causa del suo lavoro, non ha mai abbastanza tempo da poter dedicare a sua figlia. Situazione che la spinge a voler lasciare il reparto della Omicidi per ritagliare più tempo per la famiglia.

La serie, come anticipato, si lascia guardare con molta semplicità. Tenendo lo spettatore incollato allo schermo e pronto a elaborare le teorie più disparate in merito all’identità dell’efferato omicida. Complice una fotografia a dir poco efficace e la sconfinata bellezza dei paesaggi danesi, soprattutto se vestiti con i colori dell’autunno.

A fare da filo conduttore a tutta la storia, inoltre, c’è la scomparsa della piccola Kristine Hartung, figlia di Rosa Hartung, Ministro degli Affari Sociali danese. La sparizione di Kristine risale a oltre un anno prima del primo omicidio e il caso era stato ormai archiviato con una sentenza di morte presunta, avallata dalla confessione di un losco individuo, nonostante il suo corpo non fosse stato mai ritrovato e l’assassino affermava di non ricordare il luogo dell’occultamento del cadavere. Tutti indizi che, sin dal principio, ci fanno comprendere lo stretto collegamento tra gli omicidi dell’uomo delle castagne e la sparizione della bambina. D’altronde, i bambini scomparsi sono ormai un must delle produzioni Netflix, da Stranger Thing a Dark.

Anche perché proprio su ogni uomo delle castagne ritrovato sul luogo del delitto, erano presenti le impronte digitali di Kristine. Un importante indizio che lascia trapelare dei dubbi in merito alla veridicità della confessione di omicidio e riaccende il fuoco della speranza in Rose e suo marito.

Con soli 6 episodi questa riuscitissima minserie analizza tematiche molto forti, che al termine della serie lasciano lo spettatore solo con i suoi pensieri, portandolo a riflettere sul ruolo delicatissimo dei genitori e sulla fragile delicatezza dell’infanzia.

uomo delle castagne
L’Uomo delle Castagne

La violenza, infatti, è come un virus in grado di infettare la spensieratezza felice a cui ogni bambino del mondo dovrebbe avere diritto. Ecco perché, alla luce di ciò, la scelta di incupire filastrocche e giochini infantili appare ancora più efficace, e non meramente volta a colorare la serie di noir.

Ma, a mio avviso, la serie sorprende lo spettatore grazie a un finale ricco di sorprese e sicuramente ben strutturato. Il passato e il presente si riconciliano, le vicende macabre avvenute sull’Isola di Møn nel lontano 1987 ritornano a galla cariche di rancore e marciume. Ogni elemento torna al suo posto, mentre assistiamo allo srotolarsi ormai inarrestabile della follia dell’uomo delle castagne. Il trauma prende forma e diventa un mostro. Un mostro che ha piantato le sue radici nell’infanzia e che ha continuato a mangiare l’anima del bambino, ormai diventato uomo.

Certo, probabilmente L’Uomo delle Castagne non è nulla di sconvolgentemente innovativo, eppure dovreste assolutamente vederlo (qui vi spieghiamo perché). I personaggi, seppur ben fatti, sono incastrati nei loro stereotipi e anche l’indagine in sè segue gli schemi tipici del suo genere. Ma, allo stesso tempo, è difficile riscontrare dei veri e propri difetti. È una serie che in pochi episodi riesce ad appassionare e inquietare lo spettatore, intrattenendolo senza mai appesantire il carico, ma non limitandosi a una patina di superficialità, grazie alle tematiche trattate. Insomma, la serie perfetta da vedere in compagnia, accompagnata da una buona cioccolata calda in un sabato sera piovoso, in un perfetto mood scandinavo.

L’unica controindicazione è che, dopo aver visto la serie tv, non riuscirete più a mangiare le castagne come una volta.

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