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Love, Death & Robots: la recensione della seconda stagione, bella solo a metà

Dopo due anni di attesa, Love, Death & Robots è tornata con la sua seconda stagione, disponibile su Netflix dal 14 maggio scorso. Prodotta da David Fincher e Tim Miller, la serie aveva riscosso un grande successo con il suo primo ciclo di episodi (qui troverete la classifica delle 10 migliori puntate) che, attraverso stili, generi, toni e tematiche diverse, era riuscita a imporsi come uno dei prodotti più innovativi della piattaforma. Anche questa volta lo show ha deciso di puntare su una formula antologica, alla quale si è però aggiunta una riduzione degli episodi che, purtroppo, si è fatta sentire (8 corti contro i 18 della prima stagione). Nonostante sia stata compensata da una durata media più lunga rispetto al passato, la limitazione dei corti ha influito sulla ricchezza tematica e stilistica della seconda stagione che, pur risultando più omogenea e coerente, ci ha lasciato tutt’altro che sazi.

Una sensazione che nasce non tanto dalla mancanza di qualità tecnica (che anzi, non delude affatto) quanto più da una carenza narrativa. Difatti, il mancato approfondimento di alcune storie ha compromesso la godibilità dell’esperienza stessa, lasciandoci con l’impressione di trovarci di fronte a un prodotto non finito. O quantomeno con ancora qualcosa da raccontare. Basti pensare a Pop Squad o Snow nel deserto: due corti dal grande potenziale, costruiti intorno a universi affascinanti che avrebbero necessitato di più di 20 minuti per essere raccontati con completezza.

Dunque, narrativamente parlando non tutti gli episodi sono riusciti a eccellere.

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Ancora una volta, Love, Death & Robots ha potuto contare sulla collaborazione di artisti e studi diversi che, ispirati da brevi racconti, hanno spaziato fra fantascienza, commedia, horror e persino il grottesco. Generi che ben si adattano ai tre concetti del titolo (amore, morte e robot), che ritroviamo bene o male in tutti gli episodi: violenza e azione si alternano infatti con introspezione e poesia, elementi che in alcuni casi sono riusciti a trovare un perfetto equilibrio all’interno dello stesso corto. Tuttavia, nonostante le puntate siano godibili, non c’è innovazione dal punto di vista narrativo. Le storie che ci vengono raccontate sono sì interessanti, ma anche prive di originalità. In molti casi i risvolti presentatici sono molto prevedibili, togliendo così allo show l’elemento shock che ci aveva conquistato ne Il vantaggio di Sonny o in Oltre Aquila.

Chiaramente, questo discorso non va applicato a tutti gli episodi. Pop Squad, Ghiaccio e Il Gigante affogato offrono spunti di riflessione per niente scontati, trascinandoci in mondi distopici affascinanti e perdendosi nei meandri dell’esistenzialismo. Ma non solo! Anche nei corti meno forti, lo show è riuscito a far emergere macro-temi dominanti che, come abbiamo accennato prima, hanno contribuito a creare un legame invisibile fra alcuni episodi. La rivolta delle macchine è il tema principale sia in Servizio clienti automatico che ne La cabina di sopravvivenza. Ma mentre il primo è capace di strapparci un sorriso con la sua ironia (nonostante non sia particolarmente innovativo), il secondo risulta piuttosto deludente dal momento che sembra essere la versione più dark e fotorealistica dell’episodio precedente.

L’erba alta ed Era la notte prima di Natale hanno invece le atmosfere più horror di questo ciclo di episodi di Love, Death & Robots.

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Il primo corto riesce sicuramente a catturare l’attenzione del pubblico, merito di un’animazione degna di nota. Ma anche se azione e riflessione si bilanciano piuttosto bene, la storia di per sé è dimenticabile considerata la narrativa vista e rivista. Era la notte prima di Natale rimane invece impressa grazie alla componente grottesca e weird che la contraddistingue, oltre che alla rapidità della narrazione che, non lasciando quasi il tempo di elaborare ciò che si è visto, finisce per rendere l’episodio memorabile (e lo spettatore ugualmente meravigliato e perplesso).

Attraverso le sue atmosfere post-apocalittiche e una CGI fotorealistica veramente impressionante, Snow nel deserto ci parla invece di sopravvivenza e immortalità, così come dell’importanza dei legami interpersonali in un mondo ostile come quello in cui vive il protagonista. Tematiche che ritroviamo in parte anche in Pop Squad, uno dei corti meglio riusciti della seconda stagione. La storia è piuttosto prevedibile sin dall’inizio, ma l’universo distopico in cui si sviluppa è tragicamente affascinante: il desiderio della vita eterna si scontra con quello di creare una nuova vita, di concedersi una felicità la cui mancanza è il prezzo da pagare per l’immortalità. E per tenere sotto controllo un mondo decisamente sovrappopolato (anche se i motivi sono sconosciuti). Così come in Era la notte prima di Natale, ancora una volta sono i bambini a dare maggior significato alla storia, facendo emergere il tema dell’importanza delle generazioni future.

Sicuramente Pop Squad avrebbe avrebbe beneficiato di una durata più lunga. Ma ciò non significa che non sia stata comunque eccezionale dal punto di vista estetico ed emotivo.

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Un discorso che vale anche per Ghiaccio. Realizzato dallo studio Passion Animation Studios e diretto da Robert Valley, il corto ha potuto contare sulla stessa regia e scrittura di Zima Blue, uno dei corti più belli e poetici della prima stagione. Dai toni dark e l’animazione stilizzata, Ghiaccio è una storia intima ma comunque spettacolare, che riesce a raccontarci sia del rapporto di due fratelli che del razzismo nei confronti di chi è diverso. Ultimo ma non meno importante, Il Gigante affogato è l’episodio che più di tutti trae forza dal monologo del protagonista piuttosto che dalle immagini presentatici. Di fronte alla bellezza e decadenza del gigante, l’uomo si perderà infatti in una lunga riflessione sul tempo e sul significato dell’esistenza. Così come sul comportamento degli esseri umani, che troppo spesso seguono le mode passeggere piuttosto che fermarsi ad ammirare le meraviglie del mondo.

Dunque, possiamo affermare che anche la seconda stagione di Love, Death & Robots è riuscita a proporre temi variegati. Tuttavia, a causa del numero ridotto di episodi, queste tematiche non sono state approfondite nel modo giusto: i robot vengono definitivi solo in relazione alla loro violenza, l’amore è quasi sempre rapido e fisico. Fra tutte, è forse la morte a essere descritta più approfonditamente, soprattutto in Pop Squad e Il gigante affogato. Episodi che ci pongono di fronte all’ingiustizia della morte e al potere che questa (e il tempo) ha su di noi.

Se non altro, Love, Death & Robots ha dimostrato di poter contare su un comparto tecnico eccezionale.

Ghiaccio 640x320

Le animazioni sono tutte mozzafiato e degne di nota: lo stile caricaturale di Servizio clienti automatico, la simil stop-motion di Era la notte prima di Natale, il tratto stilizzato de L’erba alta, il design dalle linee nette e i colori intensi di Ghiaccio (che ricorda sia i videoclip dei Gorillaz che Johnny Bravo). E che dire della CGI fotorealistica di Snow nel deserto e La cabina di sopravvivenza? L’utilizzo della motion capture ha fatto passi da giganti negli ultimi anni, e questi due corti sono la testimonianza di quanto il volto di un attore possa ormai prendere vita anche in un prodotto digitale. Quindi, è chiaro come dal punto di vista stilistico ogni episodio della seconda stagione sia un piacere per gli occhi, ognuno contraddistinto da concept entusiasmanti curati nei minimi dettagli.

Dunque, alla luce di tutto ciò, la seconda stagione di Love, Death & Robots è stata un successo?

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A malincuore, possiamo dire solo in parte. Il secondo ciclo di episodi riesce a stupire grazie al suo comparto tecnico, proponendo animazioni di prima classe senza però ricorrere a virtuosismi. Difatti, l’animazione non è mai fine a se stessa, ma sempre strettamente legata alla narrazione. La riduzione degli episodi è deludente (almeno per i più), ma di sicuro ha fornito la possibilità di affrontare tematiche ben precise e offrire un’esperienza diversa rispetto a quella della prima stagione. Tuttavia, non essendoci più il fattore novità, i nuovi episodi non sono riusciti a colpirci come quelli del passato, complice anche una mancanza di originalità e approfondimento narrativo. Infatti, pur spaziando fra toni, generi e stili diversi fra loro, si è percepita comunque una mancanza di varietà: se in passato c’era stato molto spazio per la commedia e l’ironia, questa seconda stagione ha prediletto principalmente atmosfere e tematiche molto più adulte e dark.

Non siamo più gli spettatori che eravamo nel 2019, e forse le nostre aspettative sono più alte rispetto al passato. O quantomeno diverse. Ma nonostante abbia mostrato alcune carenze, questa serie antologica ha sicuramente ancora qualcosa da dire. Mondi distopici da mostrarci, storie d’amore improbabili da raccontare e robot impazziti da distruggere. Dunque, nonostante potesse darci molto di più, non possiamo dire che questa seconda stagione sia stata un fallimento completo. I nuovi episodi forse non sono tutti memorabili, ma quantomeno godibili. E soprattutto capaci di intrattenerci, almeno fino all’uscita della prossima stagione.

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