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Perché Lost è la Serie Tv della mia vita

“Lost è un’esperienza”. Me lo avevano detto in tanti e, proprio per questo motivo, faticavo a mettermi all’opera e a iniziare il mio viaggio, come mi capita ogniqualvolta io senta la pressione sociale di iniziare la nuova e imperdibile serie tv del momento per mettermi al passo coi tempi. Tuttavia, sapevo benissimo che una simile lacuna in ambito seriale necessitava di essere colmata il prima possibile. Così, finalmente, mi decisi a imbarcarmi insieme ai passeggeri del Volo 815 della Oceanic Airlines da Sidney a Los Angeles. Non ho seguito Lost sin dal primo momento assaporando gli episodi della serie in prima serata su Rai 2. Non ho mai partecipato ai forum per teorizzare sulle rivelazioni scaturite dai vari episodi e la puntata finale della serie non l’ho vista la notte del 23 maggio 2010, ma a distanza di dieci anni, nel 2020, nel pieno della pandemia di Covid-19 e in modalità Watch Party su Amazon Prime Video con un amico che la stava terminando assieme a me.

Non si può dunque di certo dire che io sia una fan di Lost sin dal primo minuto, ma una cosa è sicura: nell’istante stesso in cui vidi per la prima volta Jack Shepard aprire gli occhi in quel canneto, la mia vita cambiò inevitabilmente.

Lost
Jack Shepard (640×360)

Sarà che fino a quel momento avevo visto le serie tv più come un mero mezzo per intrattenere che come qualcosa capace di arricchire a tutto tondo, sarà che ero da sempre stata più legata alle serie comedy che a quelle drama, ma quel pilot diviso in due parti in cui conobbi per la prima volta i protagonisti di Lost costituì per me un punto di non ritorno. Lost divenne per me un appuntamento indispensabile che mi estraniava completamente dalla mia vita per capovolgermi sull’Isola, farmi avvolgere e stuzzicare dai suoi tanti misteri e, soprattutto, farmi vivere in prima persona le avventure di queste anime perdute in lotta gli uni contro gli altri, ma anche contro se stessi e contro il proprio passato.

 “Io l’ho guardata negli occhi quest’isola, e quello che ho visto… È bellissimo!”

John Locke

Con la sua inevitabile coralità e le tante voci a cui dare spazio, Lost è stata in grado di coinvolgermi in una storia come mai prima d’ora, facendomi agognare con intensità di scoprire cosa il destino avrebbe avuto in serbo per Kate, Hugo, Sawyer, Shahid e per tutti gli altri sventurati capitati per un motivo o per un altro sull’Isola. Perché, per quanto mi sforzassi, non sono mai riuscita a disdegnare nemmeno uno tra i naufraghi approdati sull’Isola, appassionandomi in egual misura alla storia e al vissuto di ciascuno di essi, ognuno con lati di luce e di pesante ombra, ognuno umano oltre ogni dire. Uomini e donne dalle mille sfaccettature che finiamo per conoscere in ogni loro aspetto: personaggi che hanno continuato ad approfondirsi e a evolversi con coerenza e che hanno finito per dare ogni cellula di se stessi l’uno per l’altro nella lotta tra il Bene e il Male, ma anche in quella per la propria anima.

Hugo Reyes, Jack Shepard, Leslie Arzt, Kate Austen, Danielle Rousseau e John Locke (640×360)

Ma oltre al grandioso lavoro di esplorazione dei personaggi e della loro progressiva e lenta evoluzione (il caso di Benjamin Linus, per esempio, è da manuale), ad aver trafitto il mio cuore con la freccia dell’amore è stato l’impianto narrativo che ha reso Lost unica nel suo genere e che, ai tempi, fece la storia della televisione. Dal magistrale uso dei flashback e dei flashforward fino all’estrema bravura nell’utilizzo dei cliffhanger, passando per la geniale trovata dei flash-sideway. Lost aveva tutto quello che sognavo di vedere: una storia capace di raccontare come nessun’altra intrecci complessi e accattivanti e una struttura in grado di non annoiare mai e di tenere sempre sulle spine e con il fiato sospeso.

Perché Lost è un vortice di curiosità e di emozione, di tensione e di sentimento.

Una narrazione che, per quanto arzigogolata e complessa, è stata in grado di scaldarmi il cuore in tantissime occasioni e che è stata capace di trasmettermi e insegnarmi moltissimo: quel senso di fratellanza e comunione che fa dimenticare tutto il male subito e che spinge a essere migliori, perché, come la serie ci tiene a ribadire, non è vero che “si vive insieme, si muore soli“. In un momento estremamente cupo per l’umanità come quello della pandemia, Lost è infatti riuscita meglio di chiunque altro a trasmettermi un grande senso di pace e di speranza che ha dato un nuovo senso al mio modo di stare al mondo. La serie, infatti è riuscita a farmi capire che, per quanto tutto possa crollare attorno a noi, nei momenti di crisi possiamo farci cullare dalla consapevolezza che le nostre esistenze sono rese speciali non dagli eventi in sé quanto dalle persone che ci accompagnano nel nostro viaggio e che resteranno sempre con noi, qualunque cosa accada, in un grande abbraccio collettivo prima dell’inevitabile ignoto.

Desmond(640×360)

Ma la serie targata Fox mi ha anche trasmesso un incredibile senso di appagamento di fronte a una scrittura che, per quanto ricca di intrecci, colpi di scena e di misteri, riesce a non perdere mai la propria verve, ma, anzi, continua a catturare la curiosità dello spettatore. Perché, al di là di frasi fatte, vedere Lost è davvero un’esperienza: un impegno che investe testa e cuore, logica ed emozione e che avvolge nella propria totalità. Se provo anche solo a pensare ad alcuni tra quelli che per me sono i momenti storici della serie, non riesco davvero a evitare che un piccolo brivido mi sfiori la schiena o di sentire la pelle d’oca sulle mie braccia. Quel senso di emozione misto a stupore dopo aver visto il momento in cui per la prima volta John Locke riacquista l’uso delle gambe. L’estrema commozione provata in quella telefonata tra Desmond e Penny, la sua costante. Il grande senso di pace e di speranza avvertito nel vedere il pullmino della Volkswagen della D.H.A.R.M.A. guidato da Hurley sfrecciare sulle colline dell’Isola. L’incredibile sbigottimento di fronte al gelido discorso di Henry Gale sotto lo sguardo attonito di Jack…

E ancora, le morti più drammatiche, i dialoghi più profondi e intensi, gli addii più tristi….

Iconica in ogni sua parte, dai picchi più alti fino ai suoi momenti generalmente meno apprezzati, come l’episodio “filler” su Nikki e Paulo o le puntate della sesta stagione ambientate al Tempio: c’è un motivo per cui ancora oggi, il pubblico è alla ricerca incessante di una serie tv erede di Lost, un’erede che probabilmente (e giustamente) non arriverà mai.

Sawyer (640×360)

Capace di sorprendere mescolando sapientemente azione e avventura con dialoghi profondi e di spessore e di introdurre al proprio interno diversi sottogeneri di riferimento, dalla fantascienza al misticismo, Lost è concepita per stregare anima e corpo con lo scopo di essere vissuta come un vero viaggio che ci occupa a 360° gradi e che non stanca mai per la sua incredibile capacità di abbracciare universalmente mondi e vissuti diversi. Un viaggio che da un lato rimpiango di non aver intrapreso prima, nella sua epoca d’oro, ma a cui, d’altra parte, sono davvero felice di essermi approcciata al momento giusto, all’età giusta, quando sentivo di avere tutti gli strumenti per capirne la portata e per apprezzarne appieno la poetica e la poeticità, come meritava.

E, allora, non posso davvero fare altro che sentirmi grata e appagata ogni volta che, scorrendo sui social, vedo un frame della serie che, a distanza di quasi vent’anni dalla sua prima messa in onda, sta continuando ad appassionare nuovi fan in tutto il mondo. E, allora, non riesco davvero evitare di commuovermi ogni volta che riascolto in religioso silenzio la meravigliosa colonna sonora della serie composta da Michael Giacchino e ogni volta che scelgo di rivedere un particolare episodio della serie su Disney Plus, così come non sono davvero in grado di evitare di sorridere di sbieco ogni volta che sento qualcuno fraintenderne il significato o il finale.

E se qualcosa va storto o non so che fare, chiudo gli occhi e mi metto a contare: “4, 8, 15, 16, 23, 42”.

Lost: la guida for dummies