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Non guardare It’s a sin è un peccato

Nel panorama seriale ci sono tante piccole gemme nascoste che spesso passano in sordina, oscurate dalle produzioni blockbuster, ma che non per questo devono essere da noi snobbate. Tra questo vasto elenco di perle, troviamo sicuramente It’s a sin.

Ideata da Russel T Davies, lo storico showrunner alla base del ritorno al successo della nuova serie di Doctor Who, It’s a sin narra la storia di un gruppo di giovani omosessuali che si ritrovano a condividere un appartamento nella Londra d’inizio anni ’80. La grande metropoli è l’occasione giusta per questi ragazzi, per lo più provenienti dalla bigotta provincia, per poter finalmente esprimere la propria identità senza la paura d’essere emarginati. Sfortuna vuole che questa ritrovata libertà coincida temporalmente con la diffusione di uno sconosciuto virus, tanto letale quanto socialmente stigmatizzato: l’HIV.

I sogni di Ritchie (Ollie Alexander), aspirante attore che nasconde da sempre alla sua famiglia il suo vero orientamento, Roscoe (Omari Douglas), sfuggito dalla casa paterna per il rifiuto dei famigliari nell’accettarlo in quanto gay, e di Colin (Callum Scott Howells), timido apprendista sarto che cela la sua omosessualità persino ai suoi palesemente aperti coinquilini, si scontrano così con una serie di tragedie che li portano, senza difficoltà iniziali, ad informarsi e consapevolizzarsi riguardo questa terribile malattia che uccide ed emargina. A completare questo cast di talentuosi attori esordienti, oltre che a qualche celebre apparizione come nel caso di Neil Patrick Harris (qui la curiosa storia dell’audizione che lo ha consacrato ad attore più leggen-non ti muovere-dario della televisione), troviamo Ash, studente di letteratura di origine indiana, e Jill, unica ragazza della combriccola e prima a muoversi in favore di una maggiore presa di conoscenza di questa malattia che sembra colpire apparentemente i soli omosessuali.

Davies, creatore tra l’altro della serie Queer as Folk, mette su schermo le esperienze di tutte quelle persone che, come lui, vissero in prima persona la crisi sanitaria ma anche sociale e politica scaturita dal diffondersi dell’AIDS, imponendosi perché le parti degli attori gay andassero solo a personaggi dichiaratamente omosessuali, in modo da salvaguardare il realismo della interpretazioni.

I didn’t want to write a drama about deathbeds. I wanted to reclaim that ground and remember those lives with joy

Non volevo scrivere un dramma sui morti. Volevo rivendicare quel mondo e ricordare coloro che vissero con gioia.

Russel T Davies
It's a sin

It’s a sin racconta della dolorosa esperienza della comunità gay della Londra degli anni ’80, tra coming out e scoperta dell’AIDS. È il viaggio in un’epoca dove l’omosessualità è ancora tabù e dove il clima pesante che gravava attorno alla comunità gay non ha certamente favorito la lotta contro l’HIV. L’impreparazione e la poca consapevolezza nei confronti di una malattia che sembra punire solamente i sodomiti, ci lascia di stucco ma è il perfetto ritratto di una società che sembra così lontana dai giorni nostri ma che risale a pochi decenni fa. Delle scene non tanto differenti da quelle che abbiamo vissuto e che stiamo tuttora vivendo noi oggi, alle prese con un’altra terribile malattia. Oggi come allora paure, pregiudizi e fake news erano all’ordine del giorno e, in entrambi i casi, non hanno mai favorito e sempre rallentato la rincorsa verso una soluzione a questo drammatico problema.

Nel corso di questa miniserie (solo cinque sono gli episodi che la compongono), assistiamo all’evolversi del rapporto che i protagonisti hanno con la malattia, dapprima ripudiata e poi combattuta con forza, delle modalità di contrasto messe in atto dalla medicina del tempo e anche alla disarmante assenza delle istituzioni nella lotta contro un male che viene visto spesso, e talvolta anche dagli stessi malati, come una punizione divina per un peccato capitale. Emarginati e ripudiati dagli stessi famigliari, gli stessi omosessuali finiscono per credere che la loro tragica fine sia la giusta pena per una vita di eccessi e piaceri peccaminosi. Perché, come del resto recita il titolo della stessa serie, tutto questo it’s a sin.

Cinque episodi ricchi di momenti forti, capace di passare dall’euforia dettata dalla spensieratezza e dall’irrefrenabile voglia di vivere dei protagonisti, numerose sono le scene esplicite di sesso, alle tragiche conseguenze dettate dal virus HIV. I picchi di drammaticità sono altissimi, quindi vi raccomandiamo di partire equipaggiati con una vasta scorta di fazzoletti. D’altronde, cos’altro vi sareste aspettati da una serie ideata da quel buontempone di Russell T? (qui i 50 momenti in Doctor Who ci ha spezzato il cuore. Si lo so cosa vi state chiedendo…. solo 50?!)

It’s a sin è il ritratto di un’epoca e di una generazione sfortunata. Una serie davvero ben fatta, con una colonna sonora iconica e altrettanto strappalacrime. Davvero un peccato non recuperarla.

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