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Intelligence è nata vecchia

Chissà quanti di voi ricorderanno una certa serie tv di nome Intelligence. Probabilmente pochi, e non solo perché è andata in onda per una sola stagione nel 2014, ma soprattutto perché Intelligence non era davvero niente di che. Lo show vedeva protagonista Josh Holloway (l’amato e insolente Sawyer di Lost) nei panni di Gabriel Vaughn, agente della CIA che si ritrova con un microchip impiantato nella testa. La presenza di questo corpo estraneo concede a Gabriel l’accesso a Internet e a qualsiasi tipo di server, una sorta di superpotere che lo mette in connessione con la rete globale. L’uomo viene inserito all’interno di una squadra speciale e accanto a lui troviamo l’inamovibile direttrice Lilian Strand (Marg Helgenberger) e l’agente dei servizi segreti Riley Neal (Meghan Ory). Una trama che vi ricorda qualcosa, non trovate? Dal 2014 sembra essere passata una vita intera, e di certo all’interno del panorama seriale moltissime cose sono effettivamente cambiate.

Due elementi vanno tenuti da conto. Il primo è l’assenza, ai tempi, del dominio dei servizi di streaming come Netflix o Amazon, questo lasciava ancora moltissimo margine allo strapotere della televisione in senso stretto e alla consumazione settimanale delle serie tv (in contrasto con il binge-watching di oggi). Il secondo elemento è lo scenario all’interno del quale si colloca Intelligence. Nel 2014 i procedural andavano ancora molto di moda, seppure un primo declino cominciava ormai a intravedersi. Il successo di Game of Thrones e Breaking Bad avevano aperto la strada a un nuovo modo di concepire la televisione, che collideva inevitabilmente con i procedural del nuovo millennio sul modello di CSI.

Intelligence

Se in quell’anno questo tipo di show non era ancora passato del tutto di moda, è anche vero che Intelligence non riusciva a trovare spazio in un ambiente ormai saturo. Il tema della tecnologia sempre più presente nella vita dell’uomo, quasi in simbiosi con lui, andava pian piano a sostituirsi al modello classico della crime story, in cui vigeva il mero intuito del detective (qui i migliori della storia delle serie tv). Ma questa tematica, ai tempi in cui la serie andava in onda per la prima volta, risultava ormai trita e ritrita. Non sorprende quindi che Intelligence ricordi da molto vicino le “cugine” Person of Interest, Fringe e persino Chuck.

Il personaggio di Gabriel Vaughn non presentava alcuna caratteristica in più rispetto al personaggio medio delle serie tv del periodo: lavora per un’istituzione governativa, ha una persona cara scomparsa, è avverso alle regole.

Intelligence non mostrava nulla di nuovo, risultando anzi la brutta copia di altre storie ben più riuscite. Mentre Fringe riusciva a costruire un universo accattivante e sufficientemente innovativo, Intelligence non dimostrava di avere alcun punto di forza. L’utilizzo della tecnologia e di strumenti high-tech serviva a nascondere una trama piatta e monotona, e si vede. Fin dal pilot, lo spettatore si ritrovava di fronte scenari ben noti e ripetitivi e quel che è peggio è che la serie tv non riusciva a instillare la voglia di andare avanti. Il pubblico anticipava le mosse dei personaggi e finiva per prevedere, senza difficoltà, come si sarebbe sviluppata la trama. Non ci sono colpi di scena apprezzabili, né tantomeno la voglia di saperne di più, di approfondire questa storia.

Così come la trama manca della benché minima freschezza, anche i personaggi non sono altro che stereotipi legati al genere. Gabriel e Riley sono due macchiette di altre coppie televisive, di un modus operandi che si ripresenta puntuale anche in Intelligence. Essi però, nonostante le discrete doti attoriali dei propri interpreti, non riescono a fare breccia nei cuori degli spettatori. Inevitabile diventa il confronto con altre coppie famose come Murder e Scully (X-Files) od Olivia e Peter (Fringe), dove però i protagonisti di Intelligence escono perdenti. Gabriel sembra essere stato privato di quelle emozioni tipicamente umane. Freddo e cinico, l’uomo è incapace di instaurare alcun legame o di farsi apprezzare dal pubblico. Stesso discorso per quanto riguarda la figura di Riley che non viene mai approfondita, rimanendo a uno stadio superficiale e pericolosamente vicino al personaggio di Kate Austen in Lost.

Un agente arrogante, una partner opposta a lui e come se non bastasse il solito capo freddo e insensibile. Insomma, tutti i personaggi seguono inesorabilmente le battute di un copione che il pubblico conosce a memoria.

Intelligence

La colpa sarebbe da attribuire agli autori, i quali non sono stati in grado in alcun modo di far emergere la serie tv. Troviamo parecchie scelte discutibili, sia a livello registico per cui non ci sono guizzi interessanti anche quando una scena potrebbe richiederlo, sia a livello narrativo. La sceneggiatura non rischia e non è ben chiaro se sia per incapacità o per mancanza di volontà. Fatto sta che trame e sottotrame potenzialmente di successo vengono abbandonate a se stesse, mentre i personaggi rimangono statici per tutta la durata della serie. Le vicende che vedono protagonisti Riley e Gabriel non apportano alcuna crescita personale, annoiando sempre di più lo spettatore.

Intelligence sembra non essere in grado di gestire il materiale a disposizione, per questo motivo si adagia su allori decisamente più comodi pescando a piene mani da questo o quell’altro show.

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