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Il Mostro (che potete trovare qui) non è di certo la classica serie crime: è un’indagine collettiva sul modo in cui la società stessa contribuisce a creare i suoi “mostri”. Ambientata in un’Italia ferita ma viva, sospesa tra la paura e la morbosità mediatica, la serie trasforma il contesto sociale in un vero e proprio personaggio. Un personaggio talmente forte da essere capace di influenzare, distorcere e giudicare. Attraverso la ricostruzione di uno dei casi più discussi della cronaca nera italiana, Il Mostro mette in scena la caccia al colpevole. Ma anche un Paese intero che osserva, commenta e si specchia nel male. L’opinione pubblica, i media e soprattutto la cultura popolare si fondono in un unico, inquietante coro che definisce la narrazione tanto quanto i protagonisti stessi. In questa serie, il contesto non fa da sfondo, agisce plasmando e corrompendo. È il vero volto del “mostro” che tutti, in qualche misura, abbiamo contribuito a creare.
Il Mostro rifiuta i tecnicismi giudiziari e lascia spazio al racconto delle anime
Guardando Il Mostro di Stefano Sollima risulta semplice comprendere la struttura della narrazione fin dalla conclusione del primo episodio. La serie si concentra specificamente su una delle svariate piste seguite dagli inquirenti nelle indagini sul Mostro di Firenze. E, ancora più nello specifico, la trama decide di concentrarsi sui quattro indagati della ben nota Pista Sarda. Stefano e Giovanni Mele da una parte e Francesco e Salvatore Vinci dall’altra. La storia di due famiglie che letteralmente (e strutturalmente) si intreccia in un racconto che mira a evidenziare un contesto sociale. Contesto che, soprattutto a distanza di decenni, non viene mai preso troppo in considerazione quanto dovrebbe. Il Mostro si affida al racconto intimo di quattro personalità estremamente differenti tra loro, pur provenienti dalla stessa terra e cresciute in condizioni simili. In questo senso, la serie è molto schematica: tutto ruota attorno alla medesima scena, quella dell’omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco.
Il Mostro, come ci si poteva aspettare da un racconto basato sul più famoso cold case nostrano, non punta il dito. O meglio, mette perfettamente lo spettatore nella condizione di farlo da sé, potenzialmente contro chiunque. Ciò che abbiamo apprezzato di più della miniserie (almeno per ora) di Stefano Sollima è la scelta di proporre un racconto naturale, privo di deviazioni nazional popolari. Un racconto volutamente lento e intimo, in grado di trasportare lo spettatore all’interno di quelle case fatiscenti e tra i campi fiorentini. La forza più grande di questa serie sta nel riuscire a far vivere in prima persona un tipo di disagio sociale raramente mostrato in tv, perlomeno in Italia. E’ proprio per questo che chi pensa che non si tratti di una serie internazionale si sbaglia: lo è eccome, nel contenuto come nella forma. Sollima riesce a mostrare a chi guarda la misera quotidianità che annulla l’essere umano, così come la ricostruzione pratica dell’omicidio.
Quattro personaggi accomunati da un elemento comune: un contesto privo di umanità (qui trovate la nostra recensione sulla serie di Stefano Sollima)
Entriamo nel merito dei fratelli Mele. Stefano e Giovanni, interpretati rispettivamente dagli ottimi Marco Bullitta e Antonio Tintis, spiegano al pubblico l’essenza de Il Mostro. La casa di Stefano Mele e Barbara Locci è l’epicentro della narrazione. La capacità di Sollima sta nel gestire una voluta dilatazione temporale per mostrare ogni dettaglio utile della quotidianità dei due coniugi. Ogni sguardo, ogni cenno di intesa e, soprattutto, ogni silenzio. Un assordante silenzio che porta lo spettatore a interrogarsi sulla condizione di chi quell’epoca, e quei fatti, li ha vissuti in prima persona. Così, in questo modo, il mostro inteso come tale non è più soltanto un corpo vuoto, un animale da mettere alla forca. Le orribili gesta del Mostro sono di dominio pubblico e, come abbiamo già sottolineato, trattasi del caso di cronaca nera più noto dal dopoguerra. Il Mostro scava nell’essenza, sfugge abilmente a qualsiasi banalizzazione.
Giovanni Mele è il protagonista dell’episodio forse più enigmatico della serie. E’ un personaggio talmente complesso da risultare quasi inaccessibile rispetto agli altri. La sua anima, sempre che esista, non è alla portata di nessuno, men che meno di lui. Finché il racconto non indaga sulla sua personalità Giovanni Mele sembra l’assassino perfetto. Ma la serie ci mostra il suo lato più infantile, nonché il più interessante: quello di un fanatico. Conosce tutto del mostro, racconta quelle gesta con una passione disturbante. Il suo personaggio è forse quello che rende al meglio quel tempo: sospeso tra realtà e imitazione, tra finzione e violenza. La lunga sequenza tra i campi prima e al cimitero poi è un crescendo di tensione e incredulità. Sollima e Fasoli mettono lo spettatore a tu per tu con il potenziale assassino, servendosi di lui per demonizzare ciò che rappresenta, ma senza seguire futili certezze.
Il Mostro è una serie tv come se ne vedono raramente in Italia, capace di dare risalto al contesto e innalzando il suo ruolo a quello di un personaggio a sé stante
Il male espresso nelle figure dei fratelli Vinci, poi, è un tipo di male differente. Ancora più violento, tanto inquietante quanto radicato. Il compito de Il Mostro appare chiare nell’ultimo episodio della serie, dedicato al più controverso tra i personaggi: Salvatore Vinci. La sua storia è la più sconvolgente e la sua ombra è la più oscura di tutte. Un assassino spietato, un uomo totalmente privo di affetto, condizione provocata dalla sua estrema repressione sessuale. Vinci è un personaggio tanto ambiguo quanto carismatico, lo è a tal punto da trascinare il debole Mele nella sua scia di sangue e perversione. Tra i due si crea un rapporto morboso nel senso più estremo del termine. Ma ciò che fa più paura di Vinci è che, a differenza degli altri, lui la paura non la conosce.
Il Mostro è un’indagine su una società dimenticata, che a vederla ora ci sembra appartenere a tanti secoli fa. Eppure la mediaticità del caso del Mostro di Firenze continua a vivere. Magari ogni tanto se ne parla di più per un motivo o per l’altro, ma il succo resta lo stesso. A differenza, invece, di tutto il resto, tutto ciò che circondava quel periodo, quei borghi, quelle campagne. A vederla ora, Il Mostro ci sembra ferma in uno spazio-tempo distante anni luce. Invece è proprio tra quelle case fatiscenti e quella miseria che si faceva spazio il malessere sociale che non abbiamo mai voluto vedere. Una scia di sangue e di paura che magari non sarà stata opera dei Vinci o dei Mele, ma che comunque aveva bisogno di un contesto. E Il Mostro ha saputo raccontarcelo.





