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Michaela Pratt ucciderebbe per un “grazie” di Annalise Keating. Nessuno vuole impressionarla più di questa giovane aspirante avvocatessa dal curriculum stellare e dall’ambizione spropositata. Sempre la prima persona ad alzare la mano in classe, pronta a stupire professori e autorità grazie alla sua grande preparazione. Annalise compresa. La donna che aspira a diventare. Come dice lei stessa nel pilot di How to get Away with Murder:

“I wanna be her” (Voglio essere lei).

In effetti, pensandoci bene, non c’è candidata migliore di Michaela per essere la nuova Annalise Keating. Queste due donne di How to Get Away with Murder hanno davvero molto in comune. A cominciare dalla difficile infanzia: sono cresciute in povertà, hanno dovuto affrontare numerose umiliazioni e ostacoli. Michaela si porta dentro una sofferenza, un dolore che Annalise capisce, vede, ha provato. La giovane Pratt è stata abbandonata dalla sua famiglia biologica, ha sempre avuto un difficile rapporto con i genitori adottivi, specialmente con la madre. Come Anna Mae, si vergogna delle sue origini, della sua storia.

E allora la cambia. La seppellisce così che da quelle ceneri ne nasca una nuova.

How to Get Away with Murder

Da Halpern si trasforma in Pratt, nello stesso modo in cui Anna Mae Harkness diviene Annalise Keating. Sa che così è più facile venir accettati da tutti, dalla società. E lei lo vuole disperatamente, tanto da indossare una maschera. Mostrando agli altri e a se stessa il volto che le conviene di più: quello della ragazza forte, intelligente, determinata, che non si fa schiacciare da niente e nessuno, talvolta crudele.

Il conflitto dentro di lei è acceso. La Michaela ferita e fragile lotta contro la Michaela badass e meschina. E vince sempre la seconda perché non può permettersi di far emergere debolezza o sentimenti. O non riuscirebbe ad arrivare alla vita perfetta che vorrebbe.

Non capisce l’amore. È vero, non lo ha mai avuto, nessuno gliel’ha insegnato. Ma non è solo quello. Semplicemente non è nei suoi piani. Si è sempre preoccupata solo di sé, non avendo mai relazioni vere e profonde in How to Get Away with Murder. Stava sposando Aiden Walker senza conoscerlo. Infatti, la scoperta della bisessualità del ragazzo distrugge l’immagine che Michaela ha di lui. Così come la vita che sognava. Tradisce un innamoratissimo Asher solo perché lui non è il suo Barak. Intraprende una relazione con Gabriel nonostante abbia una parte nella morte del padre del ragazzo. Non dimentichiamoci che ha gettato lei Sam dalla ringhiera.

Proprio in casa Keating, Michaela spera di trovare quello che cerca disperatamente.

Annalise è la madre che non ha mai avuto, il suo modello di vita. Colei da cui corre quando ha bisogno di aiuto, che la protegge sempre, che può capirla. È tutto quello che vuole essere: una forte donna di colore e di successo in un modo popolato da uomini. Peccato che la prima Annalise in How to Get Away with Murder sia una persona terribile. Una grande egoista che prende decisioni moralmente discutibili per migliorare la sua carriera, fregandosene delle conseguenze. Se non c’è un vantaggio per lei, allora non ha motivo di sporcarsi le mani.

Annalise mente, ruba, imbroglia, vende le persone, tradisce. Come fa Michaela. Condannare un ragazzo come Simon a vivere in un luogo in cui non può essere se stesso non è uguale al condannare un innocente come Nate per un delitto che non ha commesso? Se la Keating è nella causa contro la Corte Suprema, anche lei deve esserci. Ma non per bontà d’animo. Vuole solo vedere il suo nome sulle carte, essere ricordata, fare la storia. E se Annalise si è fatta strada grazie a un Keating, perché non dovrebbe farlo anche lei?

Annalise 1.0 è una donna arida, crudele e arrivista e questo lo deve principalmente a una persona: Solomon Vick. Niente di meno che il padre biologico di Michaela.

Solomon è il mentore di Anna Mae. Un uomo impeccabile, giusto, corretto. O almeno così sembra. La tresca con la moglie di un cliente demolisce l’idea che Annalise ha di lui e lo vede per ciò che è realmente: un individuo cinico, pronto a sacrificare chiunque e a usare qualsiasi mezzo per farla franca. E allora anche lei inizia a comportarsi allo stesso modo. Trasformandosi piano piano in lui, trasmettendo gli insegnamenti di Solomon ai suoi allievi.

E quando l’uomo entra davvero nella vita di Michaela, le fa esattamente quello che ha fatto ad Annalise: la trasforma in lui. Tira fuori il peggio di lei. Le mostra come poter diventare potente usando e manipolando le persone. È grazie a Solomon se riesce ad avere un accordo più vantaggioso di Connor. Tradendo l’unica persona che le è sempre rimasta al fianco, buttandola sotto un treno in corsa, liberandosi del suo ultimo briciolo di umanità. Senza esitazioni.

Perché nessuno in How to Get Away with Murder può impedirle di vincere. Né Connor, né tantomeno Annalise.

Nonostante quello che ha fatto, lei crede di non avere colpe. Michaela si comporta in How to Get Away with Murder (qui 30 disagi che solo un vero fan può capire) come se la sua professoressa le avesse puntato una pistola alla tempia, costringendola a scegliere. Nella sua testa, se ha commesso degli errori, è perché qualcuno l’ha spinta a farli.

How to Get Away with Murder

È questione di assumersi le proprie responsabilità. Annalise lo fa di fronte alla giuria, vincendo la sua più grande battaglia. Capisce dove le sue azioni l’hanno portata. Sola, alcolizzata, arrabbiata con il mondo, spaventata, colpevole, disgustata da se stessa. E allora reagisce. Provando a far reagire anche Michaela. Inutilmente. Perché la giovane Pratt continua a negare anche di fronte all’evidenza. Mente sotto giuramento, tradisce tutti per un solo scopo: liberarsi di Annalise. È quest’ultima quella da incolpare, quella che sta distruggendo i suoi sogni, senza comprendere che l’artefice del suo destino è solo lei.

Il suo premio? La sconfitta, la solitudine, l’abbandono. Di nuovo. I singhiozzi quando Connor la rinnega e Oliver le dice che sarebbe dovuto toccare a lei. Le lacrime quando Laurel cambia numero. La disperazione di chi ha ottenuto quello che voleva, ma ha perso l’affetto delle uniche persone che l’hanno veramente amata.

Quel “voglio essere lei” è stato più profetico che mai. Perché Michaela ce l’ha fatta. È diventata Annalise. Ma a quale prezzo?

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