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Annalise Keating ha dimostrato chi fosse fin dalla prima stagione di How to Get Away with Murder: una regina di ghiaccio, una donna cinica, dedita al lavoro e alla carriera, la migliore nel suo campo. Perché per arrivare in cima alla catena alimentare, per ottenere un riconoscimento così alto, ha dovuto lavorare il doppio rispetto agli altri. Solo perché donna, solo perché nera. È senza scrupoli, senza rimorsi, piena di ambizione. Va avanti per la sua strada sempre e comunque, cercando di non farsi travolgere dalle sue emozioni. Aprirebbe un vaso di Pandora impossibile da richiudere. Perché ha celato e represso se stessa così tanto, indossando una maschera perfetta, che far uscire tutto la farebbe impazzire.

Eppure lo fa comunque. Si mette a nudo di fronte alla giuria che deve decidere il suo destino, davanti a sua madre e sua sorella, davanti a Bonnie, Frank, Tegan, Laurel, Michaela e Connor. Ma soprattutto davanti a se stessa in un discorso bellissimo, riassunto in queste semplici righe:

Sono una donna di 53 anni, proveniente da Memphis, nel Tennessee, di nome Anna Mae Harkness. Sono ambiziosa, di colore, bisessuale, arrabbiata, triste, forte, sensibile, spaventata, aggressiva, talentuosa, sfinita. E sono nelle vostre mani.

Ed ecco che emerge la vera sé, quella Anna Mae Harkness che aveva sempre cercato di nascondere in How to Get Away with Murder.

How to Get Away with Murder

Lei odia profondamente Anna Mae perché è una donna distrutta. Spezzata dalla vita, dai sensi di colpa, da un passato orribile che cerca di dimenticare con tutto il suo cuore. Ma ignorare gli abusi dello zio, avvenuti quando aveva solo undici anni, non è facile. E non è l’unica cosa che l’ha segnata nel profondo: il difficile rapporto con il padre, il bullismo, la derisione dei suoi compagni di classe, le troppe volte in cui è stata chiamata con quella brutta parola che inizia per “n”. Una violenza psicologica di cui porta ancora le cicatrici, che non le permette di accettarsi.

Si vergogna perché lei non è quello che la società vuole. Donna nera e per giunta lesbica? Avente quelle origini, quel passato, quella famiglia e quella storia? Non può sopportare di essere Anna Mae. E così la mette da parte e si infila un costume chiamato Annalise Keating.

Non le basta molto per cambiare in How to Get Away with Murder: vestiti nuovi, scarpe con il tacco, trucco aggressivo, parrucca liscia. E un matrimonio con un uomo che le aveva già dimostrato che razza di persona fosse: un inaffidabile, un manipolatore, un traditore senza spina dorsale. Disposto a far uccidere al figlio segreto la giovane donna che porta in grembo suo fratello. In una parola: viscido. Per lui rinuncia all’amore vero, solo per sentirsi una Keating, essere accettata dalla sua nuova comunità e diventarne un pilastro.

In effetti a Philadelphia Annalise è una stimata – e temuta – professoressa di legge e avvocatessa.

Ma per diventarlo ha dovuto seppellire Anna Mae. 

Eppure il dolore, quello che pensava di chiudere in una scatola insieme ad Anna Mae, non l’ha lasciata nemmeno per un secondo. Come se fosse iscritto nel suo DNA. E forse è stato anche più grande.

Annalise ha perso un figlio legittimo e uno acquisto. Perché Wes Gibbins per lei era come se fosse suo. Suo marito è stato ucciso, è caduta nell’alcolismo e in una spirale depressiva-distruttiva dalla quale sembrava non riuscire a riemergere. Ha perso i suoi più fidati collaboratori, morti sotto i suoi occhi, tra le sue braccia. Ha dovuto mentire per delle persone (qui 10 motivi per odiare Michaela Pratt) a cui aveva dato diverse possibilità ma che l’hanno pugnalata alle spalle, più volte. Per loro ha insabbiato omicidi, distrutto prove, rischiato di finire in prigione. E quando è scappata l’hanno colpevolizzata. Solo perché ha avuto paura, solo perché umana.

Annalise ha fatto di tutto in How to Get Away with Murder, ma non è un’assassina. Come dice lei stessa:

Ho corrotto i testimoni, ho fatto mentire i miei clienti sotto giuramento, ho maltrattato studenti fino alle lacrime, ho manipolato giurati come voi. Ma quelli non sono i crimini per cui sono processata. È l’omicidio. E non sono un’assassina. Quello che sono è una sopravvissuta.

Ed è vero: ha manovrato tutti come burattini, si è servita delle persone per i suoi scopi. Ma non si è mai macchiata le mani con il sangue di altri.

Per questo, nonostante tutte le cose orribili e inquietanti che ha fatto, alla fine viene salvata. Perché per la prima volta in vita sua dice la verità. Si apre sinceramente, si toglie la sua parrucca, il suo trucco, il suo costume. È in tutto e per tutto Anna Mae Harkness. Non lascia più che sia qualcun altro a dirle chi deve essere, non lascia più che l’odio domini la sua vita, che le faccia disprezzare la sua vera essenza.

Dopo una vita di segreti, di battaglie, di caos, di tentativi disperati di trovare la pace nei posti sbagliati, Annalise (qui 7 curiosità sulla sua interprete) finalmente capisce quale sia la chiave per essere felice: perdonarsi. Smette di definirsi un fallimento, una viziata, una sgualdrina, un essere disgustoso, un rifiuto, un mostro, e inizia ad amarsi. Questa è la cosa più importante. Finalmente libera da Annalise Keating si innamora di Anna Mae. Una donna diversa, una donna nera, una donna bisessuale, una donna. Piena di difetti, di pregi, che ne ha passate tante ma che ha in sé una forza straordinaria e che risplende di luce propria. Una donna che non si è lasciata sconvolgere dai drammi della sua vita e la cui determinazione ha portato sempre sul percorso giusto.

Anna Mae amerà, sarà felice e vivrà una vita piena di amore perché ha imparato ad amarsi. E questa è la sua più grande vittoria.

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