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Un mese dopo, cosa ci ha lasciato House of Guinness?

House of Guinness

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House of Guinness ha debuttato su Netflix il 25 settembre e oggi, dopo circa poco più di un mese dalla sua uscita, abbiamo modo di tirare le somme di una serie tv che aveva un pesante carico sulle spalle ma anche un brillante futuro. Chiaramente il carico cui facciamo riferimento è la firma dell’autore, Steven Knight, già noto per aver dato vita a Peaky Blinders. Ma ci preme anticipare che il confronto tra le due serie è, come spesso accade in questi casi, assolutamente inutile e superfluo. O meglio, potrebbe di certo essere interessante da un punto di vista prettamente demografico, ma di certo poco stimolante a livello narrativo. Steven Knight torna con House of Guinness dopo circa tre anni dalla chiusura della serie Peaky Blinders (che solo oggi sappiamo non essere in realtà ufficialmente chiusa) e si rimette in gioco con una serie simile dal punto di vista estetico ma assolutamente unica dal punto di vista esclusivamente descrittivo.

In House of Guinness, infatti, la firma di Knight è più che palese e riconoscibile e questo può solo essere un pregio.

Ma allo stesso tempo ha anche molto di più da raccontare, molto di più da svelare. E dopo un mese dalla sua uscita, gli elementi utili ad avvalorare questa tesi sono molteplici (e che, già con le prime immagini, erano abbastanza chiari) .

Partiamo col dire che sì, se siete stati fan di Peaky Blinders (se invece dovessero servire dei consigli in merito), le possibilità che vi piaccia anche House of Guinness sono molto più alte. Ma questo non perché le due serie parlino in maniera evidente l’una con l’altra. Piuttosto perché l’occhio dell’autore è facilmente distinguibile. Ma, anche se a una prima occhiata possono sembrarvi molto simili, le sue serie hanno delle anime molto diverse seppur affini. Per dirla in poche parole: condividono sicuramente il pubblico di appartenenza, ma non è questo a definirle. House of Guinness (qui la nostra recensione) partiva, come si diceva, con questo peso sulle spalle che è difficile sostenere ma che è anche altrettanto utile alla benevolenza del pubblico.

E House of Guinness riesce a sfruttare al meglio questo piccolo vantaggio per portare avanti una storia appassionante e coinvolgente.

House of Guinness
credits: Netflix

Che è poi il punto di forza maggiore che le permette di distaccarsi completamente da qualsiasi altro paragone. Siamo a Dublino a fine Ottocento, la casata dei Guinness perde il loro patriarca e i quattro figli di quest’ultimo dovranno spartirsi (e imparare a gestire) l’impero del birrificio irlandese che produce la famosa birra scura. È l’epoca delle lotte per l’indipendenza irlandese ma anche delle espansioni oltre oceano. Parte della storia, infatti, si svolge a New York.

Ogni membro della famiglia Guinness ha dei segreti da nascondere (tutti tranne uno), loschi intrighi da tenere in ombra e complesse dinamiche familiari con cui fare i conti. Il tutto, sullo sfondo del birrificio Guinness, attorno al quale ruota l’intera trama e le intere vite dei personaggi. Una cupissima fornace, circondata da un clima gelido e piovoso, poco accogliente e rigido. Intorno alle stesse identiche sensazioni, si muovono anche i fratelli Guinness, con una palese difficoltà nell’affrontare il cambiamento. Quella che scrive Steven Knight è una storia vera, House of Guinness è uno spaccato di storia che prende forma grazie ad una lente di ingrandimento su una piccolissima ed elitaria fetta di società del tempo. I temi che affronta sono molteplici: l’indipendenza irlandese, le case chiuse, la sessualità censurata, le difficoltà femminili, i primi tentativi di globalizzazione.

House of Guinness racconta un’epoca con gli occhi puntati su uno spaccato di vita che riesce a radunare tutto questo. E, nel mezzo, c’è spazio per la complessità delle emozioni umane, per la difficoltà relazionale ma anche fisica.

Nel mezzo c’è la storia di una famiglia, di un legame fraterno imperfetto e fallibile. Ma non per questo meno intenso e, soprattutto, affascinante e interessante.

House of Guinness
Credits: Netflix

Essendo passato poco più di un mese dall’uscita di House of Guinness, è facile parlarne con una freddezza più calcolata. Spogliandolo di qualsiasi entusiasmo iniziale o sovrastruttura dovuta al passato del regista. E con la stessa razionalità, è facile affermare che House of Guinness ha decisamente vinto la sua scommessa di andare oltre. Riesce senza dubbio a superare quel muro invisibile creato dalle aspettative del pubblico, soddisfacendolo con le sue armi segrete (primo fra tutti un cliffhanger finale come non se ne vedevano da tempo).

Senza nessuna ipocrisia, sappiamo che è facile intravedere Peaky Blinders in House of Guinness. Ma con altrettanta facilità, e un pizzico di spirito critico in più, si può affermare che il nuovo lavoro di Steven Knight non ha nulla da invidiare a nessun altro prodotto.

In House of Guinness c’è azione, c’è emozione e c’è soprattutto una sceneggiatura incredibile che rende ogni personaggio perfetto e coerente. Di certo si può dire che, quello seguito da Steven Knight è uno stile riconoscibile e auto citazionista, esattamente come succede ad ogni regista. Di conseguenza, notare dei particolari (soprattutto tecnici) che si ripetono o trame che rimandano ad uno stesso genere, può solo che essere normale. Parte del gioco, insomma.

Eppure, nonostante questo, House of Guinness riesce a prendere solo il buono della firma di Knight e ad affermarsi come prodotto di qualità. Quello che è certo è che il regista non si risparmia mai su un cast perfettamente calzante. In House of Guinness spiccano, sugli altri, Anthony Boyle e Danielle Galligan (rispettivamente il maggiore dei figli Guinness Arthur e sua moglie Lady Olivia), Fionn O’Shea (il piccolo Guinnes Benjamin) e James Norton, responsabile della sicurezza del birrificio, Mr. Rafferty. Anche grazie a questo cast, House of Guinness riesce nell’impresa di accaparrarsi un posto di tutto rispetto nel panorama seriale. Ottiene, grazie ai suoi sforzi e all’impegno del progetto, una rilevanza indipendente da qualsiasi altro riferimento.

A maggior ragione dopo una buona quantità di tempo dall’uscita su Netflix, House of Guinness dimostra di sapere chi è ed è ben consapevole del pubblico cui è destinata. Come si diceva, ne trae profitto e lo usa come trampolino di lancio per arrivare molto più in alto di quello che ci si aspettava.

Dimostrando, ancora una volta, che i paragoni sono spesso inutili e privi di significato. E che, se il prodotto è di qualità, non servono molte parole per difenderlo o per esaltarlo.

House of Guinness

E se proprio vogliamo incalzare su qualche paragone, a distanza di tempo è molto più semplice capire che non è a Peaky Blinders che si deve guardare. Per quanto ogni paragone sia privo di significato, è lì che House of Guinness affonda le sue radici, nel delicato tema delle lotte anglo-irlandesi. Non di certo nella Birmingham di inizio Novecento, così legata alla corona.

House of Guinness sradica, ancora una volta, un giudizio troppo affrettato su un prodotto che ha tantissimo da dire, oltre alla facciata o al nome che porta sulla locandina.

Perciò se avete amato Peaky Blinders guardate House of Guinness, perché c’è moltissimo Steven Knight e su questo non c’è dubbio. Ma soprattutto guardate House of Guinness perché è un prodotto necessario, capace di intrattenere e di tenere incollati allo schermo. House of Guinness è uscito da poco più di un mese e i risultati sono unicamente positivi, per una serie che ha saputo mettersi in gioco e dimostrare il suo valore a dispetto di tutto e tutti.