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Hollywood: per quanto tempo può brillare una stella?

Hollywood, miniserie tv del 2020, é stata ideata e prodotta da Ryan Murphy (che giá aveva lavorato con The Politician per Netflix) e Ian Brennan. Ambientata nella Hollywood del secondo dopo guerra, la serie segue le vicende di un gruppo di aspiranti attori unconventional, perché ognuno portavoce di una classe storicamente discriminata – le persone di colore, le donne, gli omosessuali – a cui però è concesso giocare un ruolo di spicco nell’industria cinematografica. Nonostante la miniserie presenti in chiave anacronistica, quasi distopica, la realtà degli anni Cinquanta mette in luce pregiudizi e favoritismi, idealizzando un futuro più egualitario; quel futuro sognato da centinaia di ragazzi e ragazze in fila per ore davanti agli Hollywood studios per accaparrarsi una parte da dieci dollari al giorno. This is Hollywood.

In questo panorama si intrecciano le vite di alcuni giovani talentuosi e volenterosi che si fanno portavoce di un’intera generazione, disposta a rischiare e a vivere inseguendo i propri sogni.

Si susseguono così sullo schermo le vite di Jack Castello (David Corenswet), il cui sogno è quello diventare una star, cercando di sbarcare il lunario con un figlio in arrivo; Archie Colman (Jeremy Pope), aspirante sceneggiatore; Raymond Ainsley (Darren Criss) giovane regista alla ricerca del prodotto perfetto da girare, compagno dell’attrice Camille Washington (Laura Harrier), di grande talento ma destinata a piccoli ruoli stereotipati perché di colore.

Infine, ruolo di particolare importanza viene giocato sullo schermo dal famigerato Henry Wilson (interpretato magistralmente da Jim Parsons), agente molto potente che era solito abusare sessualmente dei propri clienti in cambio di promesse lavorative.

Hollywood scintillante

Hollywood California, Tinseltown in crescita… lo Studio System è sovrano e se fai le mosse giuste anche tu potresti vivere a Beverly Hills… le ricompense per gli ambiziosi non mancano, sotto il bellissimo sole della California del Sud”.

Quando si pensa a Hollywood la prima immagine che ci salta in mente è sicuramente il suo sfarzo, i suoi colori e le sue luci. La frenesia della recitazione, la magia che vi si nasconde. Insomma se si dovesse spiegare ad un bambino cosa è Hollywood sicuramente lo si farebbe così.

Questa Hollywood è quella ricalcata, per fare un esempio, dal film di Quentin Tarantino (qui abbiamo provato a immaginare una puntata di Friends diretta dal regista) Once Upon a Time in Hollywood, una terra fatta di sogni e pura magia, quasi dal potere salvifico.

Dopo gli orrori della guerra e la paranoia della Guerra Fredda quale miglior posto se non Hollywood per trovare riparo.

Insomma, la seconda guerra mondiale porta con sè una serie di cambiamenti significativi, apportando delle modifiche sia in ambito divistico, come nel caso di James Dean e Marlon Brando, che portano sulla scena una rappresentazione più realistica della realtà, che in ambito registico con personalità di spicco quale Billy Wilder. Inoltre il boom economico è in piena ascesa così come l’industria cinematografica americana che esporta l’american dream in tutti il mondo.

Dimentichiamoci per un momento questa radicata ideologia per passare all’altra Hollywood, per nulla caratterizzata da sfavillii e lustrini. Questa Hollywood è quella di Ryan Murphy.

L’altra Hollywood di Ryan Murphy

Da sinistra i personaggi di Darren, Jeremy, Jack e Jake in una scena della serie tv

I wanna go to Dreamland, questa la principale credenza nel secondo dopoguerra, quando tutti vedevano Hollywood come la terra dei sogni. Un luogo in cui potersi recare per realizzare ogni piccolo desiderio, dal più surreale al più tangibile. La serie esplora in modo, talvolta caricaturale, questo American Dream e lo fa regalando emozioni uniche. I protagonisti lottano con tutte le forze contro le proprie incertezze, i propri scheletri nell’armadio in un mondo in cui essere omosessuali o di colore rappresenta uno scoglio, talvolta insormontabile.

Ryan Murphy riesce brillantemente a scardinare questo Star System, cercando di offrirci una possibile via d’uscita al problema della diversità. Hollywood punta gli occhi sugli emarginati sociali, su quelle persone impossibilitate a costruirsi il proprio futuro. È quindi possibile dare ad Hollywood una seconda possibilità? Possiamo scardinare le vecchie idee in nome di una meritocrazia? Sarebbe un utopia e forse è proprio questo a cui Murphy voleva puntare il dito. D’altronde Hollywood è la terra dei sogni.

Questa nuova chance viene offerta non solo alle nuove generazioni ma anche a personaggi realmente esistiti; è il caso di Hattie McDaniel, Mami di Via col Vento, e Ane May Wong, prima star asiatica di Hollywood che nella sua carriera ha subito troppe ingiustizie.

Da questo cosmo ne esce una serie essenzialmente divisa in due blocchi come se lo stesso produttore volesse sancire un taglio su ciò che era e ciò che invece sarebbe potuto essere.

La prima parte ci mostra cosa essenzialmente siamo abituati a vedere o meglio a pensare: una società basata sul superfluo e sulle apparenze, dove la bellezza sovrasta le capacità e l’intelligenza.

La seconda parte assume invece un tono diverso, affrontando temi di grande importanza come il tema della discriminazione (molto cara a Murphy, come già visto con Glee) o dell’omosessualità. Il tono della serie tv diventa quello del ”cosa sarebbe successo se” (What if), aspetti positivi e incongruenze

Cosa si poteva cambiare

Nonostante la serie presenti in modo chiaro e fatiscente – con scenografie spettacolari, abiti alla moda e una colonna sonora degna di nota – la Hollywood degli anni Cinquanta, non mancano gli aspetti che potrebbero far arricciare il naso.

Ancora una volta occorre citare Once upon a time in Hollywood, poiché, seppur frutto di due prodotti separati con idee altrettanto diverse, in entrambe l’idea di fondo è quella di una grande industria, una grande macchina pronta a esplodere in qualsiasi momento. La differenza sostanziale tra i due prodotti è che nella serie in questione Murphy non intende nascondere le sue intenzioni e l’immagine che è talvolta ricca di cliché e caricature; per fare un esempio gli Studios rappresentati come un covo di vipere.

Capita talvolta che i personaggi perdano di significato non facendo comprendere allo spettatore i risvolti psicologici e specifici di ognuno ma solo la loro problematicità all’interno del contesto; ciò che traspare è una serie piacevole all’occhio e di grande significato ma di difficile comprensione in alcuni passaggi, specie quando, per arrivare allo scopo, si eludono punti di vista e scale valoriali, indispensabili per farci capire, per esempio, chi è il buono e chi il cattivo.

Al di là dei cliché che la serie presenta e delle incongruenze con la realtà che avranno fatto storcere il naso ai più cinefili, la serie si presenta come una straordinaria parabola di vita. Più che mai oggi dopo gli eventi del #Metoo e dello scandalo Wenstein, la serie affronta le maggiori problematiche del nostro quotidiano, lasciandoci perplessi e amareggiati nel capire che i problemi di ieri non sono poi così diversi da quelli di oggi.

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