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Sento che i miei nervi stanno cigolando, come gli ingranaggi delle montagne russe.
Rallentando verso l’inevitabile, lungo tuffo.
Mi sento come se stessi svanendo.

Buffet Froid è la conferma di quanto Hannibal sia vicino alla spiegazione della deriva della mente umana. Nonostante sia tenuta in vita e elegantemente costruita attraverso le metafore, questa serie ha reso comprensibili e vicini aspetti della percezione che altrimenti non avremmo mai potuto vedere.

Hannibal è una fantasia che supera la realtà e che addirittura, arriva a spiegarla.

Siamo arrivati al punto in cui Will si ritrova solo ad affrontare la sua patologia. Questa volta non c’è niente di astratto, le sue allucinazioni derivano da qualcosa che c’è ed esiste concretamente. Tra le dieci e trentasei e l’una e diciassette, a Greenwood Will ha visto un altro tipo di invisibilità. Ha incontrato una solitudine nel corpo di una persona che non vede. Non una cecità, ma un’impossibilità di riconoscere i volti.

Come l’inconsapevolezza di Will negli istanti in cui diventa l’assassino, anche lei è disorientata, si sente svanire o probabilmente è già svanita. Ed è qui che la patologia fisiologica si rende autoimmune, cresce e sovrasta. Diventa indipendente da tutto, ma non dalla personalità che ne è affetta. Si adegua agli attributi, alle esperienze e al passato dell’ospite. Ogni patologia neurologica, sebbene abbia la stessa definizione per tutti, è unica per ognuno, come la sensazione sola e rara che si prova nel guardare un colore, ognuno di noi ne ha una diversa, è esclusiva ed è nostra.

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Quello che riusciamo a vedere nei sintomi non è mai una fedele riproduzione di quanto accade in quella che i comportamentisti chiamavano scatola nera. L’opposizione tra anatomia e realtà (o quella che viene percepita come tale) è evidente. Di definizione nel cervello c’è qualcosa che non va, un deficit che però non toglie, ma altera. Trasforma la percezione della realtà, delle persone, di se stessi. È l’ossimoro del cervello, qualunque cosa accada al suo interno, è quasi sempre impossibile che la percezione e la neuroanatomia coincidano. Non è un togliere, né un’aggiunta, quello che si manifesta è un’alterazione.

Il cervello lavora da solo, non si è coscienti dei processi cognitivi che permettono di vedere quello che non c’è o che non permettono di percepire quello che c’è.

Per questo è così difficile capire, studiare o addirittura riconoscere l’importanza dell’ignoto nelle neuroscienze.
A volte la cura è solo la fine di un lungo percorso che non è semplice da definire e affrontare. Il decimo episodio di Hannibal è una rappresentazione, per quanto fittizia e metaforica, della difficoltà e dell’oscurità di questo viaggio. La verità si scopre solo alla fine, ma per arrivarci bisogna mettere in gioco tanto. Will sta pian piano sacrificando ogni cellula del suo essere, della sua sanità mentale, e quello che gli viene nascosto è la cura.

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I sintomi sono la cura.

In Buffet Froid sono i sintomi l’unica risorsa in grado di dare una definizione a ciò che ha spinto l’assassina ad uccidere Beth LeBeau. Hannibal illude e manipola Will, dà inizio ad un gioco di prospettive spostando l’attenzione su l’uno e poi sull’altro paziente. Continua ad infittire la confusione e arriva ad un passo dalla soluzione del caso. La Sidrome di Cotard. Un disturbo della personalità in cui ci si convince di essere morti. Dal punto di vista anatomico è una disfunzione del giro fusiforme, un’area del cervello impiegata nel riconoscere i volti, ma colpisce inevitabilmente anche l’amigdala che solitamente ha il compito di dare un’etichetta emozionale agli stimoli, come per esempio ai volti. Quando ad essere lesa è solo la capacità di etichettare un’informazione come emozionale si parla invece di Sindrome di Capgras. Le persone che si sono sempre sentite più vicine, a causa di questa patologia, sembrano dei semplici sosia, e quindi degli impostori.

Georgia Madchen, protagonista dell’episodio, è affetta da entrambi i disturbi.

Hannibal

Ancora una volta, il parallelismo messo in piedi da Hannibal tocca anche Will. D’altronde tutto ciò che negli assassini viene riconosciuto come sintomo è un’impronta della personalità di Will Graham.
Sebbene le sue allucinazioni siano frutto di qualcosa di riscontrabile, diversamente da molte sindromi che vengono sviscerate nel corso delle tre stagioni, Hannibal riesce a condurlo nel buio della follia. Manipolandolo e nascondendogli esattamente ciò che permetterebbe di salvarlo. Lo vediamo in questa puntata, nella collaborazione immorale tra due professionisti. L’encefalite autoimmune di Will comincia a questo punto a trasformarsi in falsa consapevolezza. Del suo male e di quello del suo psichiatra. Hannibal sceglie di non curarlo, sceglie di lasciare lì l’infiammazione e di farne uso ed abuso per trovare la giusta direzione al suo paziente.

Hannibal è la ricostruzione di un’intensa malattia mentale. Nel viaggio, dalla partenza fino alla metà ritroviamo diversi sintomi e diverse patologie, tutti riconducibili in un modo o nell’altro, a Will.

La decima puntata della prima stagione non è un’eccezione.
Georgia Madchen è un’altra goccia di invisibilità che cade nel mare della confusione concreta, che esiste e che fa male.

 

 

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