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Noi che avremmo voluto una terza stagione per Don’t Trust the Bitch in Apartment 23

“Và dove ti porta la sbronza”

DON'T TRUST THE B---- IN APARTMENT 23
Una terza stagione per Don’t Trust the Bitch in Apartment 23.
Precisiamo: non si tratta né di un suggerimento all’emittente, che ha deciso di cancellare la serie dopo appena due stagioni, e neanche di una richiesta; bensì di quella che era/è una vera e propria esigenza.

Osserviamo l’attuale panorama situation-comedy. A parte alcune clamorose eccezioni, la maggior parte di queste, stagione dopo stagione, hanno finito con il “fermentare” in una comicità scontata, dove le uniche risate sono quelle registrate.

Proprio per la banalità di alcuni nuovi prodotti e lo stentato proseguire di altre serie più datate, è ancor più difficile capacitarmi del motivo per cui una sit-com quale “Don’t Trust the Bitch in Apartment 23” (per quanto in calo di ascolti), sia stata cancellata senza margine di replica, a fronte di un largo consenso dalla critica (vedi il Critics’ Choice Television Awards nel 2011).

Eppure lo devo ammettere, inizialmente avevo anche io le mie riserve. Dovevo abituarmi ad uno humor diverso, a un’esperienza metropolitana portata allo stremo dell’irriverenza. Insomma qualcosa di nuovo rispetto a quanto avevo visto fino a quel momento.

E così ho scoperto una serie che funziona in tutto e per tutto: un’equazione riuscita dove le variabili sono le personalità eterogenee dei protagonisti, lasciati liberi di essere loro stessi in tutta la loro originalità e senza una narrazione che li limiti (anche perché, va riconosciuto, di narrazione ce n’è ben poca).

“Adoro le persone che non bevono. C’è meno fila ai bar”; CHLOE

DON'T TRUST THE B---- IN APARTMENT 23

E se June, la semplice e candida ragazza che si trasferisce dalla provincia in un grattacielo della Big Apple, è qualcosa di visto e rivisto in fin dei conti, croce e delizia della serie invece non può essere che lei, “The Bitch”. La Krysten Ritter che abbiamo apprezzato in Jessica Jones, per quanto alla truce detective preferisco di gran lunga questa versione nei panni di Chloe. E concedetemi di aggiungere… Che panni ragazzi!

La spilungona è un po’ lo specchio della serie stessa. Al primo sguardo ti viene naturale giudicarla per le apparenze: è una donna “facile”, fannullona cronica, opportunista come pochi, bugiarda da far schifo. Beh, si direbbe proprio una vera “bitch”.

Ma lo è davvero? Se lo fosse non farebbe certo ridere, o meglio proveremmo un “insano” divertimento misto a pena per ogni disavventura e danno causato alla povera June, ma non riusciremmo certo a innamorarci di un personaggio del genere.

Ma allora che cos’è che ci fa provare empatia verso di lei? La risposta che mi sono dato è che se fossimo in un Gioco di Ruolo, Chloe sarebbe senza ombra di dubbio un personaggio caotico (buono o neutrale fate voi, ma sicuramente non malvagio).

No, Chloe non è propriamente “cattiva”, è semplicemente quello che è: una newyorker party girl in crisi dal carattere naïve, che vive sulle spalle delle sue coinquiline  guadagnando come “accompagnatrice” per diplomatici e chiedendo prestiti al suo migliore amico.

Ed è proprio questo suo modo di essere, estremo e stravagante, a tratti imbarazzante, che ci fa innamorare e che la rende un personaggio da antologia.

Quell’opening che per tutti era semplicemente “Anu uona uei”

A tal proposito, ho già detto di come Chloe non fa altro che chiedere prestiti al suo migliore amico? Costui non è altro che Dawson Leery o meglio James Van Der Beek nei panni di sé stesso!

Non stiamo parlando di un semplice cameo, ma di una parte che è il vero quid in più della serie. Per chi come me ricorda bene le vicende (e il successo) dei ragazzi di Dawson Creek”, vedere come il personaggio di James, la sua vita e la sua carriera siano (purtroppo e per sua fortuna) ancora indissolubilmente legate al ruolo di Dawson, rende questo esercizio “esistenziale” una vera e propria bomba d’ironia.

L’altalena di serietà velata e comicità nell’interpretazione crea un’atmosfera positiva, una ventata d’aria fresca ogni volta che Van Der Beek e il suo spassoso e improponibile assistente Luther compaiono sulla scena.

Ecco perché per il sottoscritto Don’t Trust the Bitch in Apartment 23 è un piccolo capolavoro, un diamante grezzo dal grande potenziale se paragonato ad altre sit-com che da anni ormai fanno capolino nei vari palinsesti.

Una serie da cui aspettarsi di tutto e in qualsiasi momento, con la sua estrema comicità d’istinto e un’ironia mai banale che sicuramente sa far divertire lo spettatore nel raccontare quella che in fondo è, tra mille sfumature assurde, una trama di rapporti d’amicizia crudi e genuini. Una serie a cui si sarebbe potuto e dovuto riconoscere i meriti e avere pazienza, dandogli una possibilità in più.

Se la nostra Chloe potesse parlare sono abbastanza sicuro che direbbe:
“Siamo sicuri che sono io la s****** qui e non quelli che hanno deciso di cancellarmi?!”
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