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Framing Britney Spears – La recensione dell’interessante documentario sulla vita di Britney

Incompetente. È questa la parola che spicca subito agli occhi nel documentario del New York Times, Framing Britney Spears e che racconta l’intera esperienza della cantante, esperienza che l’ha portata a trovarsi sotto il controllo di suo padre per ogni aspetto della sua vita.

Tutti la conosciamo per la sua carriera, per essere la principessa del pop, l’icona musicale che dagli anni ’90 ha conquistato il pubblico e le classifiche di tutto il mondo in un periodo in cui gli idoli degli adolescenti erano le boyband. Colei che è riuscita, dunque, a farsi spazio e a imporsi come artista emergente incontrastata nell’industria prevalentemente maschile di quegli anni.

Così come conosciamo la sua splendida carriera, conosciamo anche la tragica svolta che l’ha vista protagonista ad un certo punto della sua vita e che l’ha messa sulla strada del declino, confinata ad essere il guscio di se stessa e costretta a portare sulle spalle il peso di un’infanzia, di un’adolescenza e di una vita troppo pubblica, troppo spettacolarizzata che l’ha condotta – a lungo andare – a essere definita incompetente e privata del diritto più importante per l’essere umano: la libertà. Insomma, quello narrato in Framing Britney Spears non è esattamente il futuro che tutti immaginavamo per lei a quei tempi.

Ma andiamo con ordine. Avrete sicuramente sentito parlare del movimento #FreeBritney, movimento che ha posto l’attenzione di tutto il mondo su una condizione di cui nessuno era a conoscenza. Di cosa si tratta?

Dopo le vicende che hanno visto protagonista Britney tra il 2007 e il 2008, vicende come l’atto abbondantemente criticato e discusso della Spears di rasarsi i capelli o quella volta in cui è stata ritratta alla guida della sua auto con suo figlio piccolo in braccio o quella volta ancora in cui ha danneggiato l’auto di un paparazzo con un ombrello, la Spears è stata sottoposta – a causa di una grave crisi nervosa – a trattamento sanitario obbligatorio e da quel momento la sua vita è cambiata per sempre.

A causa della crisi nervosa, dell’abuso di sostanze stupefacenti e della perdita della custodia di entrambi i figli, nonché della pressione mediatica che la schiacciava sempre di più, Britney è stata sottoposta a conservatorship. La conservatorship – come ci viene spiegato nel documentario del Times – è una forma di tutela del patrimonio, una pratica utilizzata negli Stati Uniti che prevede che a un individuo incapace di prendere autonomamente decisioni venga assegnato un tutore che si occupi di prenderle. Nel caso di Britney fu designato come tutore suo padre, Jamie Spears. Peccato che quello che doveva essere un incarico temporaneo, è durato ben dodici anni.

La questione della conservatorship è venuta a galla solo negli ultimi anni e ha acquisito visibilità quando le comiche statunitensi Tess Baker e Barbara Gray hanno affermato che Britney non fosse più in controllo della sua vita allarmando i fan e hanno rincarato la dose accusando Jamie Spears di controllare ogni aspetto della vita della figlia, ponendo l’accento sulla questione economica, cosa che viene più volte ribadita anche nel documentario Framing Britney Spears. Ed è proprio in questo contesto che si colloca il prodotto del Times che in una raccolta di inchieste per Hulu (qui la classifica delle migliori serie), ha ricostruito il caso di Britney, dando vita all’indagine sopraccitata.

Già il titolo da degli indizi sul contenuto, la traduzione letterale sarebbe Incastrare Britney Spears, anche se vorrei porre l’attenzione su un’altra possibile interpretazione: Inquadrare Britney Spears. Inquadrarla prima come persona e poi come personaggio nel preciso contesto sociale che l’ha condotta al declino che a lungo andare l’ha privata della libertà.

In poco meno di un’ora, viene narrata l’intera storia della Spears dagli esordi. Ci viene raccontata la Britney bambina dal talento incontenibile che i genitori non sapevano come gestire. E, immediatamente, viene fatta una distinzione fondamentale tra l’approccio del signor Jamie e quello della signora Lynn alla dote della figlia. Se per Lynn l’obiettivo principale era quello di tutelare e far crescere il talento della figlia, aiutandola come possibile per permetterle di inseguire una passione, per Jamie tutto ciò che conta sono i soldi.

A un certo punto della sua infanzia, agli Spears viene consigliato dalla talent scout Nancy Carson di portare Britney a New York per seguire dei corsi e per farla partecipare a dei provini. Nel documentario, dall’intervista di Nancy emerge che, nel periodo che ha preceduto il debutto della Spears a Il Club di Topolino (The Mickey Mouse Club) programma per ragazzi a cui Britney ha partecipato assieme a Christina Aguilera e Justin Timberlake, il padre – che ogni tanto si faceva vivo – non era minimamente interessato ai progressi della figlia, ma era impaziente per i soldi che questi avrebbe guadagnato.

Questo dettaglio che può sembrare apparentemente insignificante, è in realtà fondamentale per capire l’intera battaglia di Britney e dei suoi fan contro la conservatorship e – più nello specifico – Jamie Spears.

Nel documentario, gli esperti del caso analizzano e cercano di restituire gli eventi scatenanti della crisi nervosa della cantante che l’ha condotta a questo punto, ponendo l’attenzione principalmente su due questioni: da una parte abbiamo l’insistenza della prepotenza mediatica che si è abbattuta sulla Spears senza lasciarle la possibilità di condurre una vita quantomeno tranquilla quando è lontana dai riflettori, dall’altra la carneficina perpetrata da un’industria maschilista che ha condannato, giudicato e trattato l’artista senza rispetto alcuno. Ad aggravare la situazione ci ha pensato anche Justin Timberlake che, seppur in maniera velata, viene additato come una delle principali cause dell’accanimento mediatico contro Britney a causa della fine della loro relazione che Timberlake ha usato per screditare l’ex ritenendola responsabile per la rottura e – nel frattempo – per far pubblicità a due singoli a lei dedicati.

Personalmente avrei preferito – da spettatrice – un’inchiesta più accurata e dettagliata riguardo un punto essenziale per capire il tracollo della carriera della Spears: mi riferisco al parere e al punto di vista di un esperto psicologo o psichiatra capace di chiarire largamente alcuni atteggiamenti della donna, soprattutto in questo periodo storico in cui – finalmente – si pone l’attenzione sulla questione igiene mentale e la sua importanza.

A dimostrazione della carneficina perpetrata ai danni della Spears, ci sono le testimonianze di uno dei paparazzi che l’ha seguita per anni, nonché proprietario dell’auto su cui la Spears si avventò nell’episodio dell’ombrello e che ha testimoniato il cambiamento della ragazza, ammettendo di aver avuto poco rispetto per la sua privacy, ma non pentendosi di aver oltrepassato il limite. E non è l’unica cosa. In un momento come questo, in cui non siamo più disposti ad accettare discriminazioni di genere, né alcuna forma di shaming, le immagini di una Britney Spears poco più che adolescente che viene tartassata da giornalisti ansiosi di sapere di questioni private delle sua vita, pronti a chiederle dettagli della sua vita sessuale e a giudicare i suoi comportamenti fanno accapponare la pelle, fanno ribrezzo.

Ma, non fanno ribrezzo tanto quanto alcune affermazioni seguite alla rottura con Timberlake che ha stravolto l’immagine che il pubblico aveva della Spears e che arriva a vederla sempre più come un cattivo esempio, come un esempio di promiscuità solo per le dicerie sul suo conto, il suo stile e la sua musica e che perciò si riteneva autorizzato a rilasciare commenti o affermazioni riprovevoli. Questo è il caso di Kendall Ehrlich, moglie del governatore del Maryland dei tempi che si permise di dichiarare quanto segue:

Se avessi l’opportunità di sparare a Britney Spears, penso che lo farei.

Questa stessa dichiarazione fu poi mostrata alla Spears durante un’intervista con la giornalista Diane Sawyer nel 2003, intervista che potete vedere qui di seguito e in cui emerge la tendenza dei media a colpevolizzarla per via di alcuni suoi comportamenti, senza neppure considerare la sensibilità della persona che vive dietro il personaggio, ormai inevitabilmente fusi all’occhio del pubblico. Dal più banale ‘Cosa hai combinato?’, alla battutina ‘Cos’è successo ai tuo vestiti?’, le domande della giornalista sono chiaramente il frutto di un’industria poco solidale nei confronti del mondo femminile. Tant’è che in seguito all’uscita di Framing Britney Spears, sia la Sawyer che Timberlake hanno pubblicamente chiesto scusa a Britney.

In questo clima, già poco tranquillo, a peggiorare la posizione della cantante è la relazione con Kevin Federline con cui Britney si sposa nel 2004 e da cui ha due figli. Poco dopo la nascita del secondo figlio, avvenuta poco tempo dopo l’arrivo del primo, la coppia scoppia. Entrambi chiedono la custodia dei bambini e questa battaglia legale che Britney perde, la conduce definitivamente all’esaurimento che la porta addirittura a rinchiudersi nel bagno con i suoi figli, rifiutando di riconsegnarli al marito. Poco dopo fu costretta al TSO e da quel momento fu istituita la conservatorship che fu affidata al padre.

Secondo le testimonianze mostrate nel documentario, Britney si sarebbe dimostrata più che disposta a sottoporsi a questa pratica, chiedendo solo una cosa: che la tutela non fosse affidata a suo padre. Sfortunatamente per lei, però, fu proprio lui ad assumere il ruolo. Come dicevamo all’inizio, l’interesse di Jamie per il denaro non è un elemento poco importante, ma è il fulcro di tutta questa faccenda. Per ben dodici anni, il signor Spears ha avuto il controllo delle finanze della figlia e di qualunque altro aspetto della sua vita, arrivando addirittura a costringerla – secondo numerose speculazioni – nel 2019 a ricoverarsi in ospedale perché aveva rifiutato di prendere dei medicinali e aveva guidato la sua macchina senza avergli chiesto il permesso.

Framing Britney Spears

Accanto a Britney, come dimostrazione della loro solidarietà, si sono schierate numerose celebrità come Cher, Miley Cyrus e Paris Hilton. Sebbene la tutela del patrimonio della Spears fosse passata temporaneamente nelle mani di Jodi Montgomery, assistente personale della canta, prima mossa di un possibile tentativo di rinunciare alla conservatorship, purtroppo di recente è stata restituita al signor Spears nonostante il suo avvocato avesse ribadito che Britney si opponeva fermamente a questa scelta.

Il documentario è un’interessante narrazione delle tappe salienti di una carriera che sembrava inarrestabile e degli sviluppi che ci portano ad oggi, alla battaglia per la libertà di Britney, battaglia ancora lunga e in corso e lo fa con più che sufficiente attenzione ai dettagli e con grande sensibilità e solidarietà nei confronti della Spears per fin troppo tempo incompresa e – mi azzardo a dire – maltrattata da un’industria poco incline all’empatia e ad umanizzare i propri divi.

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