È stata una delle Serie Tv più attese dell’estate, merito di una promozione incessante negli ultimi mesi e della mente che sta dietro la sua creazione. Ma Disincanto avrà soddisfatto le aspettative?
Ambientata in un Medioevo esagerato e fuori dal comune, la storia vede protagonista la principessa Bean, figlia del re Zøg di Dreamland (un luogo che è tutto l’opposto del suo nome), una ragazza profondamente infelice in cerca di un sogno da inseguire e stanca di dover obbedire alle regole e ai dettami del padre. Accanto a lei troviamo Elfo, un elfo magico ingenuo e speranzoso, esiliato dal suo regno natio, e il demone Lucille, per gli amici Luci.
Nonostante le premesse, Disincanto non riesce a superare la sufficienza, rivelandosi un cartone divertente ma non all’altezza de I Simpson e di Futurama. Il problema è proprio questo. Se si considerasse Disincanto come un cartone senza certi precedenti, lo si potrebbe benissimo inserire in una categoria B. I difetti ci sono ma non apparirebbero così rilevanti se non ci fosse quel nome dietro il progetto. Insomma Matt Groening era un’arma a doppio taglio: poteva essere la fortuna o la sfortuna dello show e si è rivelato rappresentare la seconda opzione.
Disincanto non può non essere messo a confronto con i suoi predecessori, perdendo così a mani bassissime. Perché? Ve lo spiego in cinque punti.
1) Sigla dove?
Uno degli elementi che ha reso iconici i Simpson, e poi Futurama, è la sigla.
Una sigla che di puntata in puntata è diventata un appuntamento immancabile. Lo stesso non si può certo dire per Disincanto. Tralasciando la musica accettabile e in linea con il tema del cartone, l’opening non dice nulla. Non rappresenta la storia, non introduce. C’è o non c’è non fa alcuna differenza.