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È arrivato il momento di recuperare Boss

Boss risponde perfettamente alla definizione di Political Drama. E in questo senso, è inutile girarci attorno o far finta di nulla, quindi tanto vale pelare la gatta già nelle prime battute di questa recensione.
Ne siamo perfettamente consapevoli, ogni Serie Tv di questo filone prodotta negli ultimi anni deve per forza di cose vivere all’ombra del Grande Fratello incarnato da Kevin Spacey. Lo si prende come dato di fatto, lo si accetta e si cerca di capire se e quanto lo show in esame possa reggere l’urto.

Come detto nella prima frase, Boss ci riesce benissimo.

Political Drama si diceva. Di politica ce n’è molta, dipinta nel tipico stile disincantato della serialità del ventunesimo secolo. Non ci sono buoni, non ci sono cattivi: esiste solo una varietà di gradazioni di grigio, e il fine (spesso personale, ma a volte anche sociale) giustifica sempre i mezzi. Intrallazzi, alleanze, cospirazioni e tradimenti, c’è un po’ di tutto, mentre al centro della scena si stagliano due figure ingombranti.

Chicago da una parte, metropoli difficile se ce n’è una negli States, contorta, corrotta e preda di una escalation criminale da far impallidire San Giovanni di Gubbio; dall’altra il suo padre padrone Tom Kane, sindaco dalle cui mani passa ben più che il destino politico della città, accentratore di un potere che va ben oltre i confini cittadini, ma che si estende praticamente su tutto l’Illinois.

Boss

Riprendendo il paragone iniziale, definire Tom Kane come un Frank Underwood in miniatura è fuori luogo. Per prima cosa perché Boss è uscita un paio di anni prima rispetto ad House of Cards, e quindi al massimo sarebbe il buon Frank a rappresentare un alter ego in grande scala di Tom, in seconda battuta perché i due personaggi si assomigliano davvero tanto.

L’ego ipertrofico e la brama di potere sono gli stessi, il rapporto con la consorte intricato e mai del tutto chiaro (amore, odio, convenienza a corrente alternata) anche, seppur con esiti diversi.
Si tratta in ogni caso di donne forti, per nulla intimorite da ciò che rappresenta il marito e determinate a raggiungere il proprio successo a prescindere (o a discapito) del volere di quest’ultimo.

IL DRAMMA UMANO E SOCIALE IN BOSS

Thriller politico, sicuramente, però anche un signor dramma. Boss è una Serie Tv estremamente metaforica, dove la decadenza sociale di Chicago diventa la decadenza fisica del suo condottiero.

La prima puntata si apre con uno schiaffo, capace già nei primi istanti di mettere le carte in tavola con asettica freddezza: a Tom Kane viene diagnosticata una malattia rarissima e degenerativa, la demenza da corpi di Lewy.
Un serpente simile al Parkinson che striscia nel cervello, assume il controllo neurologico del malato corrodendo lentamente tutto quello che trova, lasciando sulla sua strada solo macerie.
Aspettativa di vita, 5 anni al massimo.

Il Boss decide di tenere nascosta a tutti la sua fragilità, perché da perfetto capo sa che nel branco non c’è posto per i vecchi leoni acciaccati, pena l’essere abbandonato. Non lo dice a nessuno meno che alla figlia, ripudiata in favore della carriera anni prima e che cerca di ritrovare in un barlume di sincero amore paterno, una volta che l’incombere del ticchettio dell’orologio si fa sempre più forte nelle orecchie.

Ancora un lustro per rimanere in sella al City Hall quindi, indicare la via e trovare un erede degno di proseguirla. Una versione giovane e rampante di se stesso, come il tesoriere Ben Zajac, spinto verso la candidatura alla carica di governatore dello stato. Tra errori di calcolo e l’avanzare della malattia, Kane si ritroverà a comprendere ancora una volta di essere l’unico di cui potersi fidare.

QUESTO È IL MOMENTO BUONO PER RECUPERARE BOSS

Il cinismo è la carta vincente di Boss, serie cupa come poche se ne sono viste di recente. Due stagioni dai toni fortemente dark, che vale la pena di vedere se si amano gli intrighi di palazzo e la “politica da corridoi”, dove tessere relazioni e girarle a proprio vantaggio è più importante che governare. Anche le storyline secondarie seguono il filone tracciato dalla trama, come la torbida relazione clandestina tra Kitty O’Neill, l’assistente del sindaco, e Zajac.

Boss

Kitty è, insieme a Kane, il personaggio meglio riuscito della serie, e non lo dico per le innumerevoli scene vietate ai minori (dalla tensione erotica non indifferente) che la vedono protagonista. Compita e professionale in pubblico, istintiva predatrice sessuale nel privato, quasi una valvola di sfogo dallo schifo che è costretta a vedere e fare stando a stretto contatto di un’amministrazione tanto deviata.

In conclusione, questo sembra il momento ideale per recuperare questa serie. Un po’ perché la politica americana è un tema molto sensibile nell’attualità degli ultimi mesi, un nervo scoperto che può essere interessante toccare; un po’ per arrivare preparati alle vere elezioni americane, che inizieranno a fine mese.

Non ho grandi dubbi sul fatto che il repubblicano Tom Kane, per una volta, voterà democratico.

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